Carmelo Minnella
13 Maggio 2021

Vanno dichiarate inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto legge n. 28 del 2020 nella parte in cui hanno stabilito che nel periodo compreso tra il 9 marzo e il 31 luglio 2020 la modalità ordinaria di partecipazione all'udienza penale fosse quella “in presenza”.

Si attendeva una presa di posizione chiara della Corte costituzionale ai tentativi di “normalizzazione” del processo penale da remoto, quale forma alternativa di celebrazione di presenza del rito penale. La risposta della Consulta sembra essere chiara: la partecipazione a distanza è nata per far fronte al rischio epidemiologico legato alla diffusione del COVID-19 e tutte le diverse disposizioni che si sono via via susseguite hanno avuto come obiettivo quella di realizzare un bilanciamento (non sempre riuscito) con le insopprimibili esigenze di tutela del diritto di difesa che mal sopporta una immediatezza “mediata” del processo penale.

Si confonde la digitalizzazione del processo penale con la presenza da “remoto”. Consequentur, una volta cessata l'emergenza sanitaria dovrebbero sparire tutte le disposizioni che sembrano invece portare a regime il processo da remoto. Le sensazioni – ahime! – sono altre: con un cauto pessimismo (o forse realismo?), nelle aule di giustizia si vocifera che la tendenza sarà quella del non voltarsi indietro e, dietro la sacrosanta digitalizzazione del processo, si metta dentro anche la celebrazione sempre più a distanza del processo penale (ossia due ambiti profondamente differenti).

Vedremo. Sicuramente l'imputato, anche prima della pandemia, era sempre più lontano dalle aule di udienza, dovendosi accontentare di vederla in uno schermo. Adesso allontaniamo pure l'avvocato? Il diritto penale non è del fatto e il processo penale dell'imputato? Non dovrebbe servire ad accertare il fatto contestato nel pieno rispetto dei diritti (e non delle graziose concessioni) della difesa dell'accusato?

La quaestio iuris. La vicenda sottoposta all'attenzione della Consulta è emblematica della volontà di non accettare il ritorno alla normalità: quello della celebrazione del processo penale in presenza, nel pieno rispetto dell'oralità, dell'immediatezza e del contraddittorio (per quello che di questi tre pilastri possa esserne rimasto e non sia stato sgretolato). Nel corso di un processo che vedeva imputato un uomo per maltrattamenti e violenza sessuale, esaurita la fase istruttoria, il 21 maggio 2020 (dopo un rinvio) veniva per la discussione finale. In detta udienza il Presidente del Collegio giudicante ha chiesto alle parti se volessero prestare il consenso alla trattazione “da remoto”. Preso atto del mancato consenso espresso dalla difesa dell'imputato, il remittente ha sospeso il giudizio, ritenendo rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3 del d.l. n. 28/2020 laddove, con un cambio di rotta, lo svolgimento del “processo penale telematico” è divenuta una modalità di svolgimento del tutto residuale.

Il percorso legislativo: dal rinvio dell'udienza al processo da remoto. Il Giudice a quo prende atto che mentre i primi decreti legge (nn. 9 e 11 del 2020) prevedevano il differimento delle udienze, con il decreto Cura Italia, nel percorrere tale strada del rinvio dei processi, aveva in un primo momento previsto che, per i procedimenti non sospendibili, la partecipazione dei detenuti avvenisse con collegamento da remoto. In sede di conversione del d.l. n. 18/2020 avvenne una “inversione a U”: la legge n. 27/2020 introdusse a regime l'estensione generalizzata della modalità telematica delle udienze penali, in quanto dal 9 marzo al 30 giugno 2020 prevedeva la modalità di trattazione da remoto alle udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, delle parti private e dei rispettivi difensori, dagli ausiliari del Giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti. A ciò si aggiungeva che il Giudice, prima dell'udienza, fa comunicare ai difensori e alle parti, al pubblico ministero e agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione giorno, ora e modalità del collegamento (dovendosi considerare legittimo impedimento in caso di impossibilità tecnica del difensore di partecipare all'udienza da remoto, per un cattivo funzionamento del sistema di videoconferenza: così, la recente Sez. I, n. 16120/2021).

Il cambio di direzione: si torna “in presenza”. Lo stesso giorno dell'entrata in vigore (il 30 aprile 2020) della l. n. 27/2020 di conversione, il Governo ha introdotto altro d.l. – per l'appunto il n. 28/2020 – nel quale, aggiungendo un periodo finale nel comma 12-bis dell'art. 83 d.l. n. 18/2020, ha previsto che le disposizioni del processo da remoto non si applicano salvo che le parti vi acconsentano, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti (non modificata dalla legge di conversione n. 70/2020, che ha solo accorciato dal 31 luglio al 30 giugno 2020 il tempo di vigenza delle neo disposizioni).

Respinti i dubbi di esproprio della funzione legislativa. La virata operata dal d.l. n. 28/2020 ha fatto dubitare il Tribunale di Spoleto della norma censurata in quanto contenente una disciplina di segno del tutto contrario a quella nell'atto legislativo approvato pochi giorni prima dal Parlamento, svilendone la prerogativa legislativa dell'organo diretta espressione della sovranità che appartiene al popolo, in violazione dell'art. 70 Cost.

I Giudici delle leggi hanno rigettato tali dubbi di incostituzionalità in quanto, all'opposto, il Governo si è limitato ad adempiere (come risulta dai lavori preparatori) alla richiesta di modifica contenuta negli ordini del giorno recepiti dal Governo medesimo nel corso del procedimento di approvazione, da parte della Camera dei deputati, della legge di conversione al d.l. n. 18/2020, poi pubblicata come legge n. 27/2020.

Difetto di rilevanza della questione. La Consulta accoglie l'eccezione di inammissibilità dell'Avvocatura generale dello Stato in quanto la disposizione censurata non può che essere interpretata nel contesto in cui deve operare: quella in cui la garanzia del diritto di difesa richiede che le parti, ed in particolare l'imputato, debbono essere informate con ragionevole anticipo della data, dell'ora e delle modalità di svolgimento dell'udienza, così da esprimere il loro eventuale consenso alla partecipazione da remoto.

Invece nel caso di specie tale comunicazione era mancata. Pertanto, una volta che le parti si sono presentata fisicamente all'udienza, non può in alcun modo ritenersi che esse potessero, in quella sede, essere interpellate in ordine alla loro volontà di acconsentire alla celebrazione della medesima in video collegamento. Manca, in definitiva, la rilevanza della quaestio, non potendo il giudice a quo dare in alcun modo applicazione alla norma censurata.

L'aumento dei contagi dello scorso autunno ha portato ad ampliare il perimetro del processo da remoto. La Corte Costituzionale ricorda che anche in momenti successivi il Governo, sempre in sede di decretazione d'urgenza, ha disciplinato le modalità di trattazione delle udienze penali, prevedendo che alcune udienze potessero svolgersi mediante collegamento telematico subordinatamente al consenso delle parti, previo interpello del Giudice (com'è avvenuto, ad opera del d.l. n. 137/2020, in occasione del rinnovato aumento dei contagi in autunno). Mentre il successivo d.l. n. 149/2020 ha previsto come modalità "ordinaria" di svolgimento dell'udienza nel giudizio dinanzi alla Corte di Appello quella del contraddittorio solo cartolare, a meno che le parti, almeno quindici giorni prima dell'udienza, manifestino la volontà di presenziare all'udienza.

Il processo da remoto nasce (e muore) solo per fronteggiare l'emergenza Coronavirus. È al paragrafo 3.5. che la Consulta chiude le porte al processo da remoto, dopo che l'emergenza sanitaria sarà finita. Si afferma, infatti, che la disciplina succedutasi nel tempo ha risentito, oltre che alla necessità di trovare un ragionevole punto di sintesi tra il contenimento del contagio e la garanzia dei diritti di difesa, anche della esigenza di calibrare le diverse risposte normative e, in particolare, quella riguardante l'estensione dei presupposti per far ricorso all'udienza penale da remoto, sulla base dell'andamento della diffusione del contagio. Una volta azzerato il contagio, la partecipazione nel processo penale non potrà che essere “solo” di presenza, non dovendosi più bilanciare contrapposti interessi di rilievo costituzionale e situazione pandemica di eccezionale portata, come quella non ancora cessata.

(Fonte: Diritto e Giustizia.it)