Irripetibili le somme versate a titolo di mantenimento del figlio maggiorenne anche se ha un contratto di apprendistato
14 Maggio 2021
Massima
Può ritenersi sufficiente ai fini del raggiungimento dell'indipendenza economica un impiego tale da consentire al figlio un reddito corrispondente alla sua professionalità e un'appropriata collocazione sul mercato, adeguata alle sue attitudini e aspirazioni. Per potersi parlare di indipendenza economica, occorre valutare oltre al tipo di contratto, anche la durata dello stesso e la retribuzione effettivamente percepita. La cessazione dell'obbligo di corrispondere il contributo di mantenimento al figlio maggiorenne divenuto economicamente indipendente decorre dalla proposizione della domanda e le somme eventualmente già corrisposte sono irripetibili. Il caso
In sede divorzio giudiziale, Tizio ha presentato ricorso al Giudice Istruttore domandando: - in via principale la revoca dell'obbligo, posto a suo carico dai provvedimenti provvisori assunti dal Presidente, di versare alla moglie l'assegno di € 180,00 quale contributo al mantenimento del figlio maggiorenne; - in via subordinata la riduzione dell'assegno con contestuale richiesta di restituzione delle somme indebitamente percepite dalla resistente. A fondamento delle domande avanzate il ricorrente ha dedotto di essere venuto a conoscenza del fatto che il figlio lavorasse e percepisse un reddito tale da assicurargli l'indipendenza economica. Costituitasi nel subprocedimento la resistente ha insistito per il rigetto della domanda eccependo: - che il figlio non sarebbe stato ancora economicamente autosufficiente in quanto avrebbe percepito solo redditi da lavoro modesti e variabili frutto di un contratto di apprendistato a termine; - che le somme percepite per il mantenimento del figlio avrebbero natura alimentare e quindi non sarebbero suscettibili di ripetizione. Il Giudice dopo aver richiamato, anche in punto di diritto, i presupposti che giustificano la modifica delle statuizioni assunte in sede presidenziale (ovvero l'esistenza di circostanze sopravvenute- c.d. quid novi) e valutata la condizione economica e lavorativa del figlio maggiorenne, ha disposto la revoca dell'assegno a far data dalla domanda, respingendo la richiesta di restituzione delle somme eventualmente corrisposte dal padre per il mantenimento del ragazzo. La questione
La pronuncia in esame fornisce inizialmente una disamina chiara, sia pur sintetica, dei presupposti da valutare per poter ritenere raggiunta l'indipendenza economica da parte del figlio maggiorenne che svolge attività lavorativa nelle forme dell'apprendistato e conseguentemente ingiustificato il permanere dell'obbligo di mantenimento da parte dei genitori. In un secondo passaggio viene richiamato il principio per cui gli effetti di ogni provvedimento giurisdizionale retroagiscono al momento della domanda e ribadito il carattere alimentare dell'assegno di mantenimento a favore del figlio. A giudizio del Tribunale è esclusa, quindi, la possibilità di chiedere la ripetizione (ossia la restituzione) di quanto versato. Le soluzioni giuridiche
L'ordinanza in commento merita attenzione per avere in primo luogo fornito una interpretazione piuttosto elastica del concetto di indipendenza economica in tutti i casi in cui il figlio maggiorenne svolga un'attività lavorativa attraverso forme contrattuali (come l'apprendistato) non connaturate da quelle “garanzie di stabilità” tipiche invece di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Il Giudice chiarisce, infatti, nel provvedimento emesso che le tipologie contrattuali che riguardano i ragazzi giovani sono tendenzialmente a tempo determinato o part-time ma non per sola questa ragione possono ritenersi “intrinsecamente precarie”. Per poter considerare un soggetto economicamente indipendente non bisogna, infatti, soffermarsi solo ad analizzare la natura del rapporto (apprendistato o part-time etc..) ma occorre verificare anche la durata dello stesso e l'entità della retribuzione percepita. Nel caso in esame il Giudice, ribadendo preliminarmente che il mantenimento della prole, quale obbligo a carico dei genitori, non può essere sine die, ossia non può durare all'infinito,ha disposto la revoca dell'assegno di mantenimento facendo perno sul fatto che il ragazzo lavorasse comunque in modo continuativo da ormai oltre 1 anno (con contratto della durata di 32 mesi), avesse 27 anni, e percepisse una retribuzione non certo irrisoria. Inoltre, è stata posta l'attenzione sul fatto che non fosse stata fornita la prova da parte della resistente che il lavoro svolto dal figlio presso un punto vendita di generi alimentari non fosse confacente alle sue aspirazioni. Il Tribunale affronta da ultimo la questione della decorrenza della cessazione dell'obbligo di mantenimento e della ripetibilità delle somme percepite in forza di un provvedimento giudiziale poi revocato. Sul punto il Giudice, richiamati alcuni precedenti giurisprudenziali in materia (Cass. 21346/2017 e Cass. 13609/2016), si è limitato a chiarire che la revoca debba decorrere dalla data della proposizione della domanda e che le somme eventualmente corrisposte sono irripetibili. Una conclusione cui si perviene secondo il seguente ragionamento: - un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio; - Il carattere sostanzialmente alimentare dell'assegno di mantenimento a favore del figlio comporterebbe che “la normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda vada contemperata con i principi di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità di dette prestazioni (cfr. Cass., 10 dicembre 2008 n. 28987; Cass., 20 luglio 2015, n. 15186; Cass., 4 luglio 2016, n. 13609). La parte che abbia, quindi, già ricevuto le prestazioni previste nel provvedimento giudiziale poi modificato non può essere costretta a restituirle, né può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo. Mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione. Osservazioni
a) I presupposti del raggiungimento dell'indipendenza economica L'ordinanza in commento torna ad occuparsi del controverso tema dell'indipendenza economica del figlio, riguardo al quale i giudici di legittimità, nel corso degli ultimi decenni, hanno manifestato orientamenti non sempre uniformi. La giurisprudenza ha più volte definito i limiti del concetto di indipendenza del figlio maggiorenne, statuendo che non qualsiasi impiego o reddito fa venir meno l'obbligo del mantenimento (Cass. n. 18/2011), sebbene non sia necessario un lavoro stabile, essendo sufficienti un reddito o il possesso di un patrimonio tali da garantire un'autosufficienza economica (Cass. n. 27377/2013). Secondo un orientamento più rigoroso lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto solo in presenza di un impiego tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità e un'appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni (v. Cass. n. 4765/2002; Cass. n. 21773/2008; Cass. n. 14123/2011; Cass. n. 1773/2012). Il giudizio in ordine all'accertamento dei suoi presupposti va effettuato caso per caso e deve basarsi su “criteri di relatività”, dovendo essere ancorato al percorso scolastico, universitario e post -universitario del soggetto, alle condizioni attuali del mercato del lavoro, con particolare riferimento al settore a cui egli aspira (Cfr. Cass. civ., 26 gennaio 2011, n. 1830). Per valutare, quindi, il raggiungimento dell'autonomia del figlio si ritiene necessario che egli acquisisca “un'appropriata collocazione in seno al corpo sociale” (Cass. civ., 10 aprile 1985, n. 2372) o arrivi a percepire “un reddito corrispondente alla professionalità acquisita” (Cass. civ., 26 gennaio 2011, n. 1830). Il lavoro del figlio dovrà, quindi, essere stabile e duraturo tale da consentire un tenore di vita adeguato e dignitoso (Cass. n. 12477/2004). Esiste però anche un diverso orientamento (cui si adegua anche l'ordinanza in commento) più elastico che accentua il richiamo al principio di autoresponsabilità, in considerazione della diversa strutturazione del mercato del lavoro, e riparametra il concetto di indipendenza economica anche in relazione alla diffusa e crescente disoccupazione giovanile. È stato chiarito in particolare che l'obbligo di mantenimento non possa essere sempre correlato solo al mancato rinvenimento «di un'occupazione del tutto coerente con il percorso di studio o di conseguimento di competenze professionali o tecniche prescelto» e che, al contrario, «l'attesa o il rifiuto di occupazioni non perfettamente corrispondenti alle aspettative possono costituire, se non giustificati, indici di comportamenti inerziali non incolpevoli» (Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12952). In altri termini, si è ritenuto che, soprattutto oltre una certa età, il figlio debba cercare di rendersi comunque autonomo, a tal fine anche accettando occupazioni non del tutto aderenti alle proprie aspirazioni o alla propria formazione, in attesa di poter eventualmente realizzare i propri sogni in un momento successivo. Il concetto di indipendenza economica è stato definito, quindi, facendo riferimento all'art. 36 Cost. e identificato dunque con il raggiungimento di una retribuzione sufficiente a soddisfare le esigenze di vita primarie e ad assicurare “un'esistenza libera e dignitosa” (Cass. civ., 11 gennaio 2007, n. 407). Un orientamento questo che è stato confermato peraltro anche in tempi recenti dalla Corte di Cassazione (Cfr. Cass. civ. sez. I, ord. 14 agosto 2020, n.17183; Cass. civ. sez. I, 17 febbraio 2021, n.4219) la quale, facendo perno sul principio di autoresponsabilità, ha chiarito l'obbligo di mantenimento legale cessa addirittura con la maggiore età del figlio spettando al richiedente, e non al genitore onerato, dimostrare la mancanza d'indipendenza economica e di essersi impegnato sia nella propria preparazione professionale o tecnica, sia nella ricerca di un'occupazione lavorativa. Il figlio divenuto maggiorenne ha, quindi, diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni. Con l'ordinanza in esame, che si adegua a questo secondo orientamento, particolare rilievo è stato attribuito dal Giudice al fatto che il figlio avesse ormai 27 anni, lavorasse già da un anno con una retribuzione non elevata ma comunque adeguata. Mentre la specifica tipologia del rapporto contrattuale di lavoro (apprendistato) è passata in secondo piano Il Tribunale ha valorizzato la capacità del figlio di inserirsi e rimanere nel mercato del lavoro (seppur attraverso un contratto di apprendistato) e di svolgere un'attività che gli garantisca l'indipendenza economica nei termini sopra descritti. Un approccio questo che vuole chiaramente scongiurare che l'obbligo di mantenimento dei figli da parte dei genitori possa protrarsi oltre ragionevoli limiti di tempo, dando così origine a posizioni parassitarie (Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. civ., 7 luglio 2004, n. 12477; Cass. civ., 6 aprile 1993, n. 4108). Si tratta di un tema che ha un riscontro applicativo sempre più attuale, evidentemente legato alle difficoltà che oggi i giovani incontrano rispetto all'inserimento nel mondo del lavoro ed all'ormai abituale ricorso delle aziende a stage, tirocini, apprendistato e contratti a termine. Vale la pena sottolineare che sul binomio contratto di apprendistato e indipendenza economica non vi sono mai state posizioni univoche da parte dei Tribunali. Parte della giurisprudenza di legittimità e di merito sostiene infatti che non potrebbe definirsi indipendente sotto il profilo economico il figlio impiegato con lavori che prevedano assunzioni a tempo determinato (incluso l'apprendistato) perché tali tipologie contrattuali non garantirebbero una sufficiente stabilità. (Cfr. Cass. civ., sez. VI-I civile, ord., 14 settembre 2020, n. 19077; Trib. Ancona, sent., n. 306/2019; Cass. civ., 11 gennaio 2007 n. 407, App. Roma 14 ottobre 2016 n. 6080).
b) La ripetibilità delle somme corrisposte per il mantenimento del figlio maggiorenne e autosufficiente in forza di un provvedimento giudiziale poi revocato. Nell'ordinanza in commento viene affrontata anche la questione, più volte dibattuta in giurisprudenza con pronunce spesso discordanti, relativa alla possibilità per il genitore obbligato di ripetere le somme che abbia versato per il mantenimento del figlio dal momento in cui il titolo che sanciva tale obbligo è venuto meno, perché revocato con provvedimento giudiziale, e/o comunque dal momento in cui quest'ultimo è diventato economicamente indipendente. Sulla questione è necessario preliminarmente effettuare un distinguo: - se le somme corrisposte dal genitore obbligato sono state impiegate per soddisfare le esigenze tipicamente alimentari, cioè correlate al mantenimento di un figlio convivente non ancora autosufficiente, non sarà possibile domandare la ripetizione ossia la restituzione delle somme percepite dall'alto genitore (c.d. principio di irripetibilità delle prestazioni alimentari (Cfr. Cass. Cass. civ., sez. VI - 1 ord., 04 luglio 2016, n. 13609; Cass. civ., sez. VI – 1, ord., 24 ottobre 2017, n. 25166) - se, invece, le suddette somme non sono state utilizzate per mantenere il figlio maggiorenne in quanto egli era già capace di provvedere a se stesso, allora la ripetizione può essere legittimamente domandata e ragionevolmente conseguita (Cass. n. 3659/2020). Su tale secondo scenario la Corte di Cassazione ha stabilito che «il principio di irripetibilità delle somme versate, in caso di revoca giudiziale dell'assegno di mantenimento, non trova applicazione in assenza del dovere di mantenimento medesimo». In altri termini, è ben possibile domandare la restituzione delle somme indebitamente percepite dall'altro genitore atteso che il principio di irripetibilità (secondo cui le somme corrisposte a titolo di contributo al mantenimento dei figli in forza di provvedimenti modificati o revocati sono irripetibili, impignorabili e non compensabili) resterebbe solo limitato a prestazioni dirette ad assicurare unicamente, per la loro misura e le condizioni economiche del percipiente, i mezzi necessari per fare fronte alle esigenze essenziali di vita. (Cfr. anche Cass. civ., sez. I, 23 maggio 2014, n. 11489 Est. Giancola).
In conclusione, Il Tribunale di Bari, con la pronuncia in commento, ha aderito al primo indirizzo giurisprudenziale sancendo l'irripetibilità delle somme versate per il mantenimento del figlio benché quest'ultimo lavorasse e fosse già economicamente autosufficiente. Può supporsi (non essendo specificato nel provvedimento in commento) che il Giudice abbia valorizzato il fatto che l'importo dell'assegno mensile fosse sostanzialmente modesto (appena € 180,00) e presunto correttamente, quindi, che detto esborso potesse avere solo svolto una funzione prettamente “alimentare”. Va evidenziato, tuttavia, che l'ordinanza in commento si discosta, però, dall'orientamento prevalente (Cfr. Cass. civ. ord. n. 3659/2020) che ha escluso che l'assegno possa avere funzione alimentare nel caso in cui il contributo risulti destinato a favore di chi abbia già raggiunto una posizione di indipendenza economica e non necessiti più del sostentamento assicurato dal genitore. È quindi del tutto lecito, da parte del genitore obbligato, chiedere la restituzione quando si verifichino eventi che determino l'autosufficienza del figlio beneficiario. La irripetibilità delle somme versate dal genitore obbligato all'ex coniuge si giustifica, quindi, solo ove gli importi riscossi abbiano assunto una concreta funzione alimentare, che non ricorre ove ne abbiano beneficiato figli maggiorenni ormai economicamente indipendenti, in un periodo in cui era noto il rischio restitutorio.
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