Legislazione d'emergenza: garanzie e limiti (temporali) provengono dalle alte CortiFonte: DL 17 marzo 2020 n. 18 Articolo 83 | DL 8 aprile 2020 n. 23 Articolo 36 | disp. att. c.p.p. 28 luglio 1989 n. 271 Articolo 146 bis | Costituzione 27 dicembre 1947 n. 0 Articolo 24 | Costituzione 27 dicembre 1947 n. 0 Articolo 111 | Costituzione 27 dicembre 1947 n. 0 Articolo 3 | Cass. Pen. sez. IV, 14 aprile 2021, n. 17782 | Cass. Pen. sez. I, 5 febbraio 2021, n. 16120 | Corte Cost., 11 maggio 2021, n. 96 | DL 30 aprile 2020 n. 28 Articolo 3 | L. 25 giugno 2020 n. 70
17 Maggio 2021
Com'è noto, in tempo di pandemia, si è sviluppata in maniera intesa una disciplina del tutto eccezionale anche in materia processuale penale. Di fonte all'emergenza sanitaria da Covid-19, inizialmente si è previsto il differimento delle udienze e la sospensione o il rinvio delle attività processuali differibili, allo scopo di ridurre al minimo le forme di contatto personale che avrebbero favorito il propagarsi dell'epidemia. Così, l'art. 83 del d.l.17 marzo 2020 n. 18 (c.d. Cura Italia) ha stabilito per il periodo dal 9 marzo al 15 aprile 2020 il rinvio di tutte le udienze dei procedimenti civili e penali, pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, a data successiva al 15 aprile 2020 e la sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali (atti introduttivi del giudizio o dei procedimenti esecutivi, ricorsi, impugnazioni, controricorsi, opposizioni, depositi di atti difensivi, ecc.), fatta eccezione per le ipotesi previste dall'articolo 83, comma 3, lettere a), b) e c). L'articolo 36 del d.l. 8 aprile 2020 n. 23 (c.d. Decreto Liquidità) ha successivamente prorogato all'11 maggio 2020 il termine del 15 aprile, estendendo di ulteriori ventisei giorni il periodo di sospensione dei termini processuali. In particolare la sospensione dei termini processuali ha comportato l'esclusione dei giorni ricompresi tra il 9 marzo e l'11 maggio dal calcolo di tutte le scadenze processuali, i termini per i ricorsi o il deposito di atti difensivi, che sarebbero ripresi: in buona sostanza, si è inizialmente sostenuto, è come se il periodo compreso tra il 9 marzo e l'11 maggio non fosse previsto nel calendario. Di conseguenza, ai fini della corretta individuazione della scadenza temporale, il tempo eventualmente trascorso prima della sospensione, doveva essere sommato a quello che iniziava a trascorrere successivamente alla stessa. Qualora il termine, invece, avrebbe avuto inizio durante il periodo di sospensione, lo stesso iniziava a decorrere soltanto alla fine di detto periodo, quindi dal 12 maggio 2020. Parallelamente è stata incrementata la partecipazione alle attività con il collegamento a distanza, potenziando gli strumenti del processo telematico, mettendo “a regime” la disciplina di cui all'art. 146-bis disp. att. c.p.p., fermi restando gli adattamenti imposti dall'emergenza sanitaria e dalle peculiarità dei procedimenti disposti tanto con norme di carattere ordinario, quanto di grado inferiore o soft law (protocolli e linee guida sono stati adottati nell'ambito dei singoli distretti giudiziari) (v. amplius, L. PIRAS, Udienza penale da remoto: misura emergenziale o futuro del processo penale? in ilprocessotelematico.it). La scelta non è andata esente da critiche. Le censure si sono sviluppate tanto sul piano della inevitabile riduzione delle garanzie proprie di un “giusto” processo (artt. 24 e 111 Cost.) (contraddittorio “ritardato”, contrazione dell'esercizio del diritto di difesa e immediatezza infranta), quanto su quello dell'equo regime processuale imposto dall'art. 3 Cost. che l'opzione ha determinato, quanto, infine, sul versante, più pratico, della dotazione precaria o del tutto assente dei mezzi informatici di cui sono carenti le nostre aule di giustizia, con ripercussioni sul regolare svolgimento delle udienze e, più in generale, sull' amministrazione della giustizia. Su tale sfondo si collocano tre decisioni emesse, rispettivamente, dalla Cassazione e dalla Corte costituzionale che meritano attenzione in quanto affrontano alcuni aspetti essenziali della disciplina appena tratteggiata. La prima decisione, legata alla sospensione delle attività processuali, è quella emessa il 7 maggio scorso dalla Sez. IV della Cassazione (n. 17782) che ha stabilito un principio di diritto di assoluta rilevanza quanto alla corretta portata dell'art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020. Nel caso di specie l'imputato, condannato in primo grado il 5 giugno 2019 per la partecipazione ad associazione finalizzata al narcotraffico, all'esito del giudizio abbreviato, alla pena di sei anni ed otto mesi di reclusione, sanzione confermata in appello il 26 ottobre 2020 ha presentato l'istanza di scarcerazione sul presupposto dell'avvenuta decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare in data 3 settembre 2020 (un anno a far data dal dispositivo di primo grado, cioé 5 giugno 2020 + 90 giorni per la redazione della sentenza ex art. 304 comma 1, lett. c) c.p.p. rigettata dal giudice procedente. Il Tribunale per il riesame confermava l'impostazione della Corte di appello e rigettava la richiesta dell'imputato ritenendo che nel termine di fase andasse computato quest'ultimo con l'aumento della sospensione dei 64 giorni, dal 9 marzo all'11 maggio 2020, come previsto dalla legge emessa in stato d'emergenza. Per cui, al 26 ottobre 2020, non era ancora trascorso il termine di fase, con conseguente persistente efficacia della misura custodiale. L'imputato proponeva ricorso per cassazione lamentando l'avvenuto decorso dei termini massimi di fase di custodia cautelare, essendo spirato il termine annuale tra il primo e il secondo grado, pur aggiungendo i 90 giorni di sospensione per la redazione della sentenza. In particolare, deduce come “improprio” il richiamo indiscriminato della sospensione dei termini di custodia cautelare, non potendosi sostenere che il processo non avrebbe potuto essere celebrato a causa dell'emergenza sanitaria. Ebbene, la Sezione IV, richiamata una sua precedente decisione del 24 marzo 2021, n. 12161 ma, ancor più quanto sostenuto dalle Sez. un. 26 novembre 2020, n. 5292, Sanna che, seppur in motivazione, hanno precisato con riferimento alla sospensione della prescrizione (analogamente disciplinata) che essa non può operare in maniera generalizzata, rendendosi necessaria l'effettività di una stasi processuale, il Supremo Collegio afferma, ora, che “la sospensione dei termini procedurali di cui al richiamato art. 83, comma 2 – per il periodo che va dal 9 marzo all'11 maggio 2020 – pur riguardando formalmente tutti i procedimenti penali in corso nel periodo di riferimento, trova applicazione soltanto nei procedimenti penali in cui siano effettivamente operanti termini procedurali per il compimento di un qualsivoglia atto processuale (ad esempio, rinvio dell'udienza, presentazione dell'impugnazione o redazione della sentenza). La stessa lettera della norma indica che "Nei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini ai sensi del comma 2 sono altresì sospesi, per lo stesso periodo, il corso della prescrizione e i termini di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p." facendo dipendere sia la sospensione del corso della prescrizione sia la sospensione dei termini di durata massima delle misure cautelari dalla contestuale ed effettiva sospensione dei termini processuali per i procedimenti che si trovano nelle condizioni indicate nel richiamato art. 83, comma 2 ossia nella fase procedimentale in cui stia decorrendo un termine per il compimento di un atto del processo; una diversa interpretazione -indica il Collegio- sarebbe inconciliabile con quanto stabilito dal citato art. 83, comma 2 che prevede la sospensione di tutti i termini procedurali relativi al "compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali"; ciò che, evidentemente, presuppone che nel procedimento interessato un atto debba essere compiuto entro un certo termine; diversamente, in mancanza cioé di atti da compiere e di termini procedurali in corso, la sospensione, così come congegnata dal legislatore (prescegliendo una tra le plurime alternative astrattamente possibili), non ha motivo di operare. Per la Sez. IV la disciplina, nel contemperare le esigenze emergenziali derivanti dalla pandemia con il diritto dell'imputato ad una ragionevole durata del processo, è dettata dal criterio del maggior contenimento possibile del sacrificio imposto al diritto di difesa, per cui affinché essa possa “realmente” operare occorrerà verificare in concreto, caso per caso, se nel periodo di operatività considerato dall'art. 83 vi sia stata l'impossibilità (o meno) di compiere un atto processuale che si sarebbe collocato in quell'arco di tempo. Il d.l. n. 18 del 2020 non avrebbe, dunque, sancito un arresto generalizzato dell'attività giudiziaria, disponendo la indiscriminata (e cassata) sospensione in tutti i procedimenti anche dei termini massimi di custodia cautelare. Merito della condividbile conclusione raggiunta dalla Corte è quello di non offrire una teorica applicabilità della sospensione a tutti i procedimenti penali nel periodo di riferimento, ma quella di richiedere una doverosa verifica, per ciascun procedimento, della effettiva decorrenza di termini procedurali (per il compimento di atti di carattere processuale) destinati ad essere sospesi ai sensi del più volte menzionato art. 83 comma 2. Decisiva appare, allora, l' indicazione diretta al giudice del rinvio, che avendo accesso all'intero fascicolo, dovrà verificare se nel corso del procedimento di merito si sia concretizzata o meno, nel periodo in riferimento vi sia stata una effettiva sospensione di termini procedurali in corso per il compimento di una qualsivoglia attività processuale, eventualmente anche con riguardo alla posizione dei coimputati nell'ambito del giudizio di cognizione (si pensi, ad esempio, ai termini per la presentazione di eventuali appelli incidentali ex art. 595 c.p.p. ). La seconda decisione affronta una questione riguardante l'udienza da remoto ed è stata emessa dalla Sez. I. In tal caso il Collegio nella decisione n. 16120, invece, trattando dell'udienza innanzi al Tribunale di Sorveglianza giunge ad una apprezzabile conclusione. Chiamata a vagliare la correttezza della nomina del difensore d'ufficio compiuta a fronte di alcuni problemi di collegamento telematico occorsi al difensore di fiducia, che aveva precedentemente fornito tutti i recapiti necessari per ovviare a eventuali difficoltà tecniche, la Corte evidenzia, innanzitutto, la necessità della partecipazione della difesa all'udienza camerale di sorveglianza e, di conseguenza, l'obbligatorietà della convocazione del difensore di fiducia già nominato, a pena di nullità assoluta della stessa udienza nonché degli atti successivi compresa l'ordinanza conclusiva, ai sensi dell'art. 178 lett. c) e 179 c.p.p. In secondo luogo ha formalmente ricondotto nell'ambito del legittimo impedimento l'impossibilità tecnica del difensore di partecipare all'udienza da remoto, per un cattivo funzionamento del sistema di videoconferenza. Entrambi gli approdi operano il giusto inquadramento spettante al mandato difensivo conferito al legale di fiducia, ponendo un limite alla prassi, amplissima e da sempre invalsa, di ritenere quella del difensore una presenza talvolta meramente “formale”, tanto più grave nel caso di udienza non condotta in presenza. Nella sentenza n. 96 emessa in data 12 maggio 2021, invece, la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lett. d), d.l. 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l'introduzione del sistema di allerta Covid-19), convertito, con modificazioni, nella l. 25 giugno 2020, n. 70, sollevate, in riferimento agli artt. 70 e 77 Cost., dal Tribunale ordinario di Spoleto, nella parte in cui questa disposizione, introducendo l'ultimo periodo nel comma 12-bis dell'art. 83, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19), convertito, con modificazioni, nella l. 24 aprile 2020, n. 27, ha stabilito «in aperto contrasto» con tale legge di conversione che, nel periodo compreso tra il 9 marzo e il 31 luglio 2020, «la modalità ordinaria di partecipazione all'udienza penale fosse quella “in presenza”» Nel giudizio a quo le parti sono state informate dal giudice della possibilità di prestare il loro consenso all'udienza “a distanza” quando si erano già presentate fisicamente all'udienza del 21 maggio 2020 e, pertanto, in un momento in cui il rimettente non poteva più dare applicazione alla disposizione di cui deduce l'illegittimità costituzionale. Ebbene, al di là della vicenda concreta sottoposta al loto vaglio, i giudici delle leggi hanno ammesso la compatibilità del regime con la " garanzia del diritto di difesa nella parte in cui richiede che le parti, e in particolare l'imputato, debbano essere informate con ragionevole anticipo della data, dell'ora e delle modalità di svolgimento dell'udienza, così da esprimere il loro eventuale consenso alla partecipazione alla medesima udienza da remoto", salvo osservare che " una volta che tale comunicazione sia mancata e, quindi, le parti si siano presentate fisicamente all'udienza (tanto più, come nel caso di specie, per effetto di un precedente rinvio), non può in alcun modo ritenersi che esse potessero, in quella sede, essere interpellate in ordine alla loro volontà di acconsentire alla celebrazione della medesima udienza da remoto". "Del resto" - osserva la Consulta – "se la previsione della trattazione delle udienze penali da remoto era rivolta a ridurre la diffusione del contagio, sarebbe stato contraddittorio consentire alle parti di manifestare il loro consenso in favore di tale modalità di partecipazione all'udienza quando le stesse erano già fisicamente comparse davanti al giudice". Ma, al di là di tale aspetto, la decisione si apprezza per l'individuazione del limite che la Consulta sembra indicare circa per fruibilità del processo “da remoto”, circoscritto alla situazione contingente. Per i giudici costituzionali il carattere della stessa disciplina, succedutasi nel tempo, sarebbe giustificata in quanto ha cercato un ragionevole punto di sintesi tra il contenimento del contagio e la garanzia dei diritti di difesa, attraverso la individuazione di continue soluzioni. È in tale ottica che vanno interpretati i diversi assetti normativi, che sono stati adottati nel corso dell'ultimo anno, chiara espressione della ricerca di un punto di mediazione fra l' esigenza di calibrare le diverse risposte normative e, in particolare, quella riguardante l'estensione dei presupposti per far ricorso all'udienza penale da remoto, sulla base dell'andamento della diffusione del contagio. Ciò premesso, secondo la lettura dei giudici delle leggi ne discende che una volta “azzerato” il contagio la partecipazione nel processo penale potrà riprendere “solo” di presenza (C. MINNELLA, La consulta inizial a demolire il processo da remoto, in diritto e giustizia, 12 maggio 2021). Quella condizione, infatti, non imporrà l'onere di bilanciare i contrapposti interessi di rilievo costituzionale e di eccezionale portata, come quella non ancora cessata. Per stessa ammissione della Corte, dunque, la partecipazione a distanza è nata per far fronte al rischio epidemiologico legato alla diffusione del COVID-19 e tutte le diverse disposizioni che si sono via via susseguite hanno avuto come obiettivo quella di realizzare un bilanciamento (non sempre riuscito) con le insopprimibili esigenze di tutela del diritto di difesa. Dirimente appare l'affermazione dei giudici delle leggi anche per il legislatore chiamato, di questi tempi, a ridisegnare il processo penale post pandemico e vincolato, così, a ri-Pristinarare, come auspichiamo, l'intero assetto procedura vigente ante emergenza sanitaria o , là dove intenda usufruire di tale semplificata modalità, ri-strutturare in maniera opportuna e completa, ergo, operando un giusto contemperamento di tutte le garanzie che vanno assicurate, un rito “a distanza” ordinario (ancora L. PIRAS, Udienza penale da remoto: misura emergenziale o futuro del processo penale? in ilprocessotelematico.it). |