Resistenza a pubblico ufficiale ed esclusione della particolare tenuità del fatto: per la Consulta non c'è incostituzionalità
19 Maggio 2021
Premessa
La preclusione dell'esimente di cui all'art. 131-bis, comma 2, c.p. per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, in quanto collegata unicamente al titolo del reato e non alle concrete modalità del fatto, determina l'inflizione di una pena ingiustificata? Può ritenersi irragionevole? A tali questioni, sollevate dai Tribunali di Torino e di Torre Annunziata, la Corte costituzionale, con sentenza n. 30/2021, ha dato risposta negativa, e nel dichiarare inammissibili e infondate le eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate, ha ritenuto che rientri nella discrezionalità legislativa, in materia di politica criminale ed in presenza di un fatto-reato intrinsecamente offensivo di un bene giuridico complesso e di speciale pregnanza, assegnare ad esso una protezione rafforzata. Con il d.l. n. 53/2019 (disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica), conv. con mod. in l. n. 77/2019, è stato modificato il comma 2 dell'art. 131-bis c.p., nella parte in cui individua i reati per i quali è esclusa l'applicazione della causa di non punibilità, introducendo in questo alveo i delitti commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, per i quali sia prevista una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, nonché i delitti di cui agli artt. 336, 337, 341-bis c.p., quando il reato sia commesso da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni (con il successivo d.l. n. 130/2020 conv. con mod. in l. n. 173/2020 le parole “di un ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni” sono state sostituite dalle attuali “di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni, e nell'ipotesi di cui all'articolo 343”). Come è noto, l'art. 131-bis c.p. è stato introdotto dal d.lgs. n. 28/2015, con il quale si è esercitata la delega contenuta nella l. n. 67/2014: con esso è stata estesa all'intero, configurandola come causa di esclusione della punibilità (e non come causa di esclusione della procedibilità) la particolare tenuità del fatto, che si configura quindi in relazione a fatti di reato, integrati nei loro elementi costitutivi oggettivi e soggettivi e che tuttavia si ritiene di non punire per la tenuità dell'offesa in concreto arrecata. Tale causa di esclusione della punibilità, a norma del primo comma dell'art. 131-bis c.p. che ne individua l'ambito di applicazione ed i presupposti, opera per i reati sanzionati con pena detentiva fino a 5 anni (o con pena pecuniaria sola o congiunta a detta pena), nonché – a seguito della sentenza Corte cost. n. 156/2020 che ha dichiarato illegittimità costituzionale parziale dell'art. 131-bis c.p. – per i reati per i quali, seppur sanzionati con pena superiore ai 5 anni, non sia previsto un minimo edittale di pena detentiva quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, comma 1, c.p. l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. Il secondo comma dell'art. 131-bis c.p., che rileva in questa sede, individua i casi in cui viene esclusa la particolare tenuità del fatto, ossia quando l'autore abbia agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o abbia adoperato sevizie o, ancora, abbia profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta abbia cagionato o da essa siano derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. È dunque l'art. 131, comma 2-bis, c.p. che è stato interessato dall'ennesima modifica normativa, introdotta con il decreto sicurezza del 2019 (e successivamente con il dl. n. 130/2021). In particolare, se con il dl. n. 53/2019 era stata unicamente prevista la modifica dell'art. 131-bis, comma 2, c.p., stabilendosi che venisse aggiunto, in fine, il periodo: “L'offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive”, in sede di conversione, e dunque con l.n. 77/2019, è stato aggiunto l'ulteriore inciso “ovvero nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni”. Per completezza (in quanto le ordinanze di rimessione, entrambe antecedenti, non hanno potuto riguardarlo), va detto che un anno dopo, l'inciso finale (“di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni”) è stato sostituito dall'art. 7 dl. n. 130/2020, conv. con mod. in l. n. 173/2020 che, per un verso, ne ha limitato l'ambito di applicazione e, per altro verso, ne ha ampliato il raggio di azione. Oggi, infatti, l'esclusione dell'esimente non riguarda più i reati di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis c.p., ai danni di qualunque pubblico ufficiale, bensì – in questo riducendone parzialmente l'ambito di applicazione - quelli commessi ai danni “di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni”; per altro verso, l'ambito di esclusione nell'applicazione dell'esimente è stato ampliato, in quanto la stessa non opera con riferimento ad un'ulteriore ipotesi di reato, quella dell'oltraggio a magistrato in udienza, che, dunque, non può mai essere ritenuta di particolare tenuità. Ebbene, la scelta del Governo di intervenire nel 2019 sull'art. 131-bis c.p. ha risposto alla necessità di rafforzare le misure di contrasto dei fenomeni di violenza limitandola inizialmente alle sole competizioni sportive, come si legge nei lavori preparatori e nello specifico nella parte relativa alla modifica introdotta con l'art. 16 del dl. citato (che ha integrato la formulazione anche dell'art. 61, comma 1, c.p. con l'introduzione di una nuova aggravante comune – il nuovo numero 11-septies consistente nell'aver commesso il fatto-reato in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni). Successivamente, l'intento di garantire la punibilità di condotte avvertite in quel frangente di particolare allarme sociale ha portato, nel corso dell'esame del testo normativo presso la Camera dei deputati, a ritenere che non potessero mai costituire ipotesi di lieve entità anche altre ipotesi e sono state quindi apportate quelle ulteriori modifiche che hanno previsto l'esclusione della particolare tenuità del fatto anche quando si procede per i delitti di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.), di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis c.p.) commessi nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni (rectius, attualmente, ai danni “di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni” e nell'ipotesi di cui all'art. 343 c.p.”). Questo testo, definitivamente approvato nella l.n. 77/2019 (prima della ulteriore modifica del 2020) è stato oggetto di eccezione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino, prima, e quello di Torre Annunziata, poi. Le questioni sollevate dal Tribunale di Torino e dal Tribunale di Torre Annunziata in relazione al reato di resistenza a pubblico ufficiale
A distanza tra loro di circa quattro mesi, i giudici monocratici del Tribunale di Torino (con ordinanza del 5 febbraio 2020) e di Torre Annunziata (con ordinanza del 16 giugno 2020) hanno sollevato eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 131-bis, comma 2, c.p., come modificato dall'art. 16, comma 1, lettera b), dl. n. 53/2019 (Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica), conv. con mod. in l. n. 77/2019. Entrambi i giudici rimettenti, nel premettere di dover giudicare due imputati accusati di resistenza a pubblico ufficiale (il Tribunale di Torino procedendo nei confronti di un imputato che, in stato di ebbrezza, aveva usato violenza, con calci, ginocchiate e una testata nei confronti di un pubblico ufficiale che procedeva alla sua identificazione; il Tribunale di Torre procedendo a sua volta nei confronti di un imputato che aveva minacciato e strattonato gli agenti di polizia giudiziaria intervenuti dopo una lite tra lui ed un'altra persona, opponendosi coì al compimento degli accertamenti sull'accaduto) hanno contestato la legittimità costituzionale della norma, nei casi di cui all'art. 337 c.p., indicando come parametri di riferimento gli artt. 3, 27 comma 3, Cost. e – il Tribunale di Torino – anche l'art. 117, comma 1, Cost, in relazione all'art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nonché – il Tribunale di Torre Annunziata – anche per violazione degli artt. 25, comma 2, art. 27, comma 3, e art. 77, comma 2, Cost., quest'ultimo per l'estraneità contenutistica della norma stessa rispetto al dl. ove è inserita. Comune, quindi, ad entrambe le ordinanze di rimessione, la contrarietà ai principi di ragionevolezza, proporzionalità e finalismo rieducativo della pena, avendo riguardo al titolo di reato e non alla specificità del fatto, tale da determinare un “automatismo sanzionatorio” per “presunzione assoluta di particolare tenuità”, non presente in altre fattispecie, tra le quali, veniva tuttavia indicata – oltre al reato di interruzione di pubblico servizio – l'ipotesi dell'oltraggio a magistrato in udienza (fattispecie, questa, cui l'esclusione dell'esimente è stata estesa nel 2020). La decisione
L'omogeneità delle eccezioni, anche con riferimento ai parametri indicati, ed alla denuncia di violazione dell'art. 77, comma 2, Cost. (di cui la Consulta ha sottolineato la valenza assorbente, riguardando il corretto esercizio della funzione legislativa) ha reso opportuna la loro riunione e la trattazione unitaria, tant'è che la Corte costituzionale le ha valutate in un'unica decisione, ossia con la sentenza che qui si commenta, evidenziandosi in essa come “Entrambi i giudici a quibus sospettano che la preclusione dell'esimente di particolare tenuità per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, in quanto collegata unicamente al titolo del reato e non alle concrete modalità del fatto, sia irragionevole e possa determinare l'inflizione di una pena ingiustificata.” La sopravvenienza dell'art. 7, comma 1, dl. n. 130/2020 – che ha modificato l'inciso finale nei termini sopra riassunti – non ha determinato la restituzione degli atti, trattandosi di una nuova disposizione normativa che, nel modificare l'inciso finale, restringendo il novero dei soggetti passivi ed estendendo l'esclusione dell'esimente anche ad una ulteriore ipotesi di reato, non ha inciso sulla questione oggetto del giudizio di costituzionalità, non alterando la norma quanto alla parte oggetto della censura, ma modificandola solo in aspetti marginali e comunque non significativi (valutazione, questa, cui ha proceduto la Consulta direttamente, che ha evidenziato come, nel concreto, le condotte di resistenza oggetto dei capi di imputazione sottoposti al giudizio dei remittenti sono state tenute, in danno di pubblici ufficiali che nello specifico erano agenti di pubblica sicurezza o polizia giudiziaria – e che, come tali, rientrano nelle categorie oggetto, all'attualità, di tutela - per opporsi all'attività da questi intrapresa a fini di identificazione delle persone e accertamento dei fatti). La Consulta ha ritenuto inammissibili e non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da entrambi i tribunali. In primo luogo, non è stata ritenuta fondata l'eccezione di inammissibilità formulata dal Presidente del Consiglio, in quanto entrambi i rimettenti, nel motivare sulla non manifesta infondatezza, hanno ampiamente illustrato la tesi secondo la quale l'esclusione della causa di non punibilità rapportata al solo titolo di reato ex art. 337 c.p. produrrebbe, a loro dire, ingiustificate disparità di trattamento e osterebbe alla proporzionalità della risposta penale. Inammissibile è stata ritenuta solo la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Torino in riferimento all'art. 117,comma 1, Cost., in relazione all'art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; tutte le altre questioni sollevate (dal Tribunale ordinario di Torino, in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. e dal Tribunale ordinario di Torre Annunziata, in riferimento agli artt. 3, 25, comma 2, 27, commi 1 e 3, e 77, comma 2, Cost.) sono state invece ritenute non fondate. L'inammissibilità della prima questione è stata dichiarata in applicazione dei principi già espressi dalla Consulta in varie altre sentenze (Corte Cost. n. 278/2020, n. 254/2020, n. 194/2018 e n. 63/2016), in quanto il reato di resistenza a pubblico ufficiale non rientra tra quelli disciplinati dal diritto dell'Unione europea. Nel merito, la questione sollevata (dal Tribunale di Torre Annunziata) in riferimento all'art. 77 – trattata per prima, perché dirimente rispetto alle altre – è stata ritenuta infondata in quanto la disposizione aggiunta in sede di conversione (che ha riguardato proprio, tra gli altri, il reato di cui all'art. 337 c.p.) non risulta “totalmente estranea” né “intrusa” rispetto al decreto legge, e ciò sia da un punto di vista oggettivo e materiale, sia dal punto di vista funzionale e finalistico: il decreto legge, contenente disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica, è orientato a «garantire più efficaci livelli di tutela della sicurezza pubblica», «rafforzare le norme a garanzia del regolare e pacifico svolgimento di manifestazioni in luogo pubblico e aperto al pubblico», tutto ciò «nel più ampio quadro delle attività di prevenzione dei rischi per l'ordine e l'incolumità pubblica» e su questa scia si è orientata anche l'addizione inserita in sede di conversione (e l'ulteriore modifica – soggettivamente restrittiva – inserita nel 2020). Egualmente infondate sono state ritenute le altre questioni, sollevate sulla base dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e finalismo rieducativo della pena (ossia, in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. (reg. ord. n. 89/2020) e agli artt. 3,25, comma 2, e 27, commi 1 e 3, Cost. (reg. ord. n. 131/2020). Secondo i giudici rimettenti, il divieto di qualificare come particolarmente tenue l'offesa recata da una qualunque condotta di resistenza a pubblico ufficiale è da ritenersi irragionevole, perché, diversamente delle altre preclusioni normative dell'esimente di tenuità, l'esclusione non è determinata da particolari connotazioni del fatto analizzato, ma soltanto, astrattamente, dal titolo del reato, con la conseguenza che un fatto integrante gli estremi del reato di cui all'art. 337 c.p., viene alla fine sanzionato, anche quando in concreto non offensivo, ingenerandosi, così, anche una disparità di trattamento tra titoli di reato omogenei, tra i quali il Tribunale di Torre Annunziata, indica l'interruzione di pubblico servizio e l'oltraggio a magistrato (che, al momento della ordinanza di rimessione, non rientrava tra le fattispecie di reato escluse dall'applicazione dell'esimente, trattandosi di aggiunta inserita solo nel 2020). I rilievi non sono stati ritenuti fondati. Dopo aver analizzato i presupposti, la natura e le caratteristiche della causa di esclusione della punibilità costituita dalla particolare tenuità del fatto, la Consulta sottolinea come, in generale, tutte le cause di non punibilità costituiscono deroghe a norme penali generali: ciò comporta che “la loro estensione impone strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono da un lato la norma generale e dall'altro la norma derogatoria, giudizio che appartiene primariamente al legislatore (Corte cost. n. 156/2020, n. 140/2009 e n. 8/1996)”. Ne deriva che “le scelte del legislatore relative all'ampiezza applicativa della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. sono sindacabili soltanto per irragionevolezza manifesta (Corte cost. n. 156/2020 e n. 207/2017)”, situazione, questa, che non ricorre nel caso del reato di resistenza a pubblico ufficiale, che tutela un bene giuridico complesso, meritevole di speciale protezione. Gli elementi costitutivi della violenza e della minaccia, che connotano i reati di cui agli artt. 336 e 337 c.p., in uno alla natura plurioffensiva degli indicati reati, impediscono di estendere a queste fattispecie la ratio decidendi di altre decisioni nelle quali la consulta è intervenuta direttamente sulla norma incriminatrice (il richiamo, contenuto nella sentenza in commento, è alla sentenza n. 341/1994 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 341 c.p. laddove prevedeva il minimo edittale di sei mesi di reclusione per il reato di oltraggio). “L'esclusione del titolo di reato di cui all'art. 337 c.p. dalla sfera applicativa dell'esimente di tenuità corrisponde quindi - secondo un apprezzamento discrezionale non manifestamente irragionevole - alla peculiare complessità del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice”, che non guarda solo al buon andamento della pubblica amministrazione, ma include anche «la sicurezza e la libertà di determinazione» delle persone fisiche che esercitano le pubbliche funzioni” (in questo senso, Cass. pen., Sez. Un., 22 febbraio - 24 settembre 2018, n. 40981, richiamata dalla Corte costituzionale). In conclusione, secondo la Consulta, “In presenza di un fatto-reato intrinsecamente offensivo di un bene giuridico di tale complessità, l'opzione legislativa di escludere la valutazione giudiziale di particolare tenuità dell'offesa - oltre che non manifestamente irragionevole - non è neppure contrastante con i principi di proporzionalità e finalismo rieducativo della pena, considerato altresì che i criteri di cui all'art. 133, comma 1, c.p., richiamati dall'art. 131-bis, comma 1, c.p., seppure non rilevano agli effetti dell'applicazione della causa di non punibilità, mantengono tuttavia la loro ordinaria funzione di dosimetria sanzionatoria, unitamente a quelli di cui al secondo comma del medesimo art. 133.” Disomogenei, ai fini di un giudizio comparativo, i tertia addotti dai rimettenti nella prospettiva dell'art. 3 Cost. Il reato di abuso d'ufficio ex art. 323 c.p., il rifiuto di atti d'ufficio ex art. 328 c.p. e l'interruzione di pubblico servizio ex art. 340 c.p., reati tutti che incidono sul regolare funzionamento della pubblica amministrazione, non vedono tuttavia direttamente coinvolta la sicurezza e la libertà della persona fisica esercente la funzione pubblica, intesa quale soggetto passivo del reato, che ricorre nel caso della fattispecie della resistenza di cui all'art. 337 c.p., che, come visto, si connota (anche) per la violenza o la minaccia nei confronti della persona fisica; quanto al reato di oltraggio a magistrato in udienza ex art. 343 c.p., l'omissione della sua indicazione nel novero dei reati per i quali va esclusa l'esimente, è stata colmata di recente, con il dl. n. 130/2020. In ragione di tutte queste considerazioni, sono state quindi ritenute infondate le questioni sollevate. In conclusione
L'istituto della particolare tenuità del fatto nasce a seguito e sulla base della delega contenuta all'art. 1, comma 1, lett. m), l. n. 67/2014 in tema di pene detentive non carcerarie. Era quella una prima delega che è stata (solo in questa parte) esercitata, per l'appunto con il d.lgs. n. 28/2015, pubblicato sulla Gazz.Uff. n. 64/2015, per cui a decorrere dal 02/04/2015 è entrato in vigore anche innanzi agli uffici giudizi ordinari l'istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Nell'ambito di tale delega veniva stabilito, all'art. 1, comma 1, lett. m), l. n. 67/2014, che il Governo adottasse uno o più decreti legislativi nel rispetto del seguente principio e criterio direttivo: «escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale». Sono dunque questi i principi cui il Governo avrebbe dovuto attenersi nell'esercitarla. Non è stato tuttavia, del tutto, così. L'iter che ha portato all'approvazione del decreto legislativo ha avuto inizio l'8 gennaio 2015, quando l'atto del Governo 130, contenente l'iniziale schema di decreto legislativo, viene annunciato in Assemblea, per poi essere esaminato dal 13/01/2015 al 3/02/2015 in Commissione II Giustizia (con esito favorevole con condizioni ed osservazioni) e V Bilancio (con esito favorevole) L'iniziale schema di decreto contemplato dall'Atto del Governo 130, che recepiva in toto quello elaborato dalla Commissione presieduta dal prof. F. Palazzo e trasmesso alla Presidenza il 23/12/2014, prevedeva un istituto molto più agile e rispondente ai principi fissati nella legge delega, rispetto al testo che è stato poi approvato in via definitiva L'art. 131-bis c.p., inserito dopo l'articolo 131, partendo dall'assunto che la legge delega fosse, quanto agli elementi di struttura della particolare tenuità del fatto, particolarmente determinata, recepiva in toto e scupolosamente le indicazioni del delegante, limitandosi a prevedere al comma 1 che «Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.»; al comma 2, che «Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale»; infine al terzo comma si prevedeva che «La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante». Come chiarito nella relazione illustrativa, quello schema incardinava (ed incardina tuttora) il giudizio di “particolare tenuità del fatto” a due indici-criteri (la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento) ed il primo di essi, la particolare tenuità dell'offesa, si articolava su due indizi-requisiti, costituiti dalle «modalità della condotta» e dall'«esiguità del danno o del pericolo». Si legge infatti nella relazione illustrativa all'iniziale schema di decreto che i due indici-requisiti (modalità della condotta ed esiguità del danno o del pericolo) dovevano riguardare solo l'offesa di particolare tenuità e non anche il presupposto del comportamento non abituale e si legge soprattutto in esso che volutamente non veniva previsto tra gli indici il grado e l'intensità della colpevolezza. Era questa una scelta fedele ed in linea con i principi fissati dal legislatore delegante ma essa rispondeva anche all'esigenza di «"sganciare” per quanto possibile il giudizio d'irrilevanza da accertamenti di tipo psicologico-soggettivistico, sempre ardui e decisamente tanto più problematici quanto più destinati ed essere effettuati nelle fasi prodromiche del procedimento, secondo la naturale vocazione dell'istituto». Senza dunque richiamare l'art. 133, comma 1, c.p., ma ancorando la valutazione, anche fortemente discrezionale del giudice, a dati di fatto oggettivi (le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo riferiti unicamente al presupposto dell'offesa di particolare tenuità); senza prevedere clausole di esclusione della particolare tenuità dell'offesa non contemplate nella delega e senza dare una definizione al comportamento abituale, la Commissione Palazzo aveva elaborato un testo rispondente ai criteri fissati nella delega («escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento...»), che non attribuiva rilevanza ad esigenze generalpreventive, ancorato a clausole generali e dunque a criteri obiettivi, privi di quelle connotazioni personologiche che rendono particolarmente complessa e complicata l'applicazione della causa di non punibilità. Tralasciando l'analisi delle ulteriori disposizioni contenute nell'Atto di Governo n. 130 – che non rilevano in questa sede – va qui rilevato che, a seguito dell'esame in CommissioneGiustizia della Camera dei deputati e quindi in sede di approvazione definitiva del testo, il testo elaborato in parte de qua, ha subito rilevanti modifiche. Una, essenziale, proprio con l'introduzione della disposizione normativa oggi contemplata dall'art. 131-bis, comma 2, c.p. Come evidenziato in premessa, il secondo comma dell'art. 131-bis c.p. individua i casi in cui viene esclusa la particolare tenuità del fatto ed il suo testo originario, rimasto in parte de qua inalterato (ossia nel caso in cui l'autore che abbia agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o abbia adoperato sevizie o, ancora, abbia profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta abbia cagionato o da essa siano derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona), se, per un verso, non risultava contemplato né nel testo elaborato dalla Commissione Palazzo, né nello schema di decreto contenuto nell'Atto di Governo 130 che aveva integralmente recepito il primo, per altro verso, esso non trovava (e non trova) alcun fondamento nei principi fissati dal legislatore delegante. Si è trattato di una disposizione che è stata introdotta solo successivamente, a seguito dell'esame in Commissione Giustizia della Camera dei deputati e, con un colpo di coda del Governo, in sede di approvazione definitiva del testo legislativo. Ebbene, tutto il comma 2 dell'art. 131-bis c.p., già in sede di approvazione del decreto legislativo del 2015, sembra essere andato oltre i criteri fissati dal legislatore delegante fino quasi ad integrare, a parere di chi scrive, gli estremi di un eccesso nella delega. La legge delega, come espressamente evidenziato nella relazione illustrativa, risultava «sufficientemente determinata quanto agli elementi di struttura della particolare tenuità del fatto» e ciò nonostante sono state previste, con il comma 2 dell'art. 131-bis c.p., delle condizioni preclusive che non erano contemplate dal delegante, in evidente contrasto con quanto apoditticamente affermato nella relazione illustrativa («conseguentemente lo schema di decreto si è scrupolosamente attenuto alle indicazioni del delegante»). In tale contesto, le ulteriori esclusioni all'applicazione dell'esimente, inserite prima nel 2019 e poi, ancora, nel 2020, risentono, a parere di chi scrive, di quel “peccato originale” che discende proprio dall'aver snaturato - con il colpo di coda descritto, realizzato dal Governo in sede di approvazione del d.lgs. n. 28/2015 che ha introdotto l'istituto della particolare tenuità del fatto, e con esso la disposizione del comma 2 dell'art. 131-bis c.p. - i principi espressi dal legislatore delegante, “macchiando” così un istituto che – in linea con l'illuminante lettura che di esso ha dato la nota sentenza delle Sezioni Unite Tushaj - non dovrebbe attribuire rilevanza ad esigenze generalpreventive e che dovrebbe essere ancorato solo a clausole generali e dunque a criteri obiettivi, privi di connotazioni personologiche e automatismi che non hanno altro effetto se non quello di snaturarlo e neutralizzare le finalità che connotano l'esimente in questione. V. BOVE, Particolare tenuità del fatto, Giuffrè, 2019; C. SANTORIELLO, La clausola di particolare tenuità del fatto. Dimensione sostanziale e prospettive processuali, DIKE Giuridica Editore, 2015; R. BARTOLI, L'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. Pen. Proc., 2015, 663; F. PALAZZO, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture, (A proposito della legge n. 67/2014), in Riv. it. dir. proc. pen.,2014, 1693; N. TRIGGIANI (a cura di), La deflazione giudiziaria. Messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto, Giappichelli, 2014; PALIERO, Minima non curat praetor. Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1985; R. BARTOLI, L'irrilevanza penale del fatto. Alla ricerca di strumenti di depenalizzazione in concreto contro la ipertrofia c.d. “verticale” del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1476. |