Il concordato preventivo in sintesi: tra codice della crisi e decreto correttivo

Alessio Di Dio
28 Maggio 2021

Il codice della crisi d'impresa prevede una rinnovata disciplina del concordato preventivo. Gli autori evidenziano come il codice della crisi abbia riorganizzato i principali indirizzi interpretativi che si sono consolidati nell'applicazione pratica, chiarito le finalità perseguite dall'istituto e valorizzato ulteriormente la figura del concordato in continuità, lasciando, invece, al concordato liquidatorio un ruolo marginale.
Considerazioni generali

La disciplina del concordato preventivo – originariamente prevista nell'ambito della legge fallimentare del 1942 – è stata oggetto di numerose modifiche normative, spesso aventi natura episodica, emergenziale e non organica (DL 35/2005, D.lgs. 169/2007, DL 83/2012, DL 83/2015).

Anche al fine di porre rimedio ai difetti di coordinamento tra le riforme che si sono succedute nel tempo, il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza ha, dunque, previsto una rinnovata disciplina del concordato preventivo – riorganizzando i principali indirizzi interpretativi che si sono consolidati nell'applicazione pratica – chiarendo le finalità perseguite dall'istituto, valorizzando (ulteriormente) la figura del concordato in continuità e lasciando, invece, al concordato liquidatorio un ruolo marginale.

Tuttavia, la crisi pandemica che da circa un anno ha colpito l'intero sistema produttivo ha imposto un ulteriore differimento dell'effettiva operatività del Codice della crisi, originariamente previsto per il mese di agosto 2020.

Difatti, il D.L. 23/2020 (cd. Decreto Liquidità), oltre alla previsione di particolari misure finalizzate a garantire la continuità aziendale in un contesto economico particolarmente deteriorato (si veda, in particolare, la proroga di sei mesi dei termini di adempimento per le procedure di concordato preventivo e per gli accordi di ristrutturazione omologati nonché, con riferimento alle procedure pendenti alla data del 23 febbraio 2020 ed in attesa di omologazione da parte del tribunale, la concessione di un ulteriore termine di novanta giorni per il deposito di un nuovo piano o di una nuova proposta che tenga in debita considerazione le peculiarità derivanti dal contesto storico di riferimento), ha individuato la data del 1° settembre 2021 come termine per l'entrata in vigore del Codice della crisi.

Da ultimo, in linea con quanto previsto dalla Legge n. 155/2017, contenente la delega bifasica all'esecutivo per la redazione del testo di riforma delle procedure concorsuali, il D.Lgs. n. 147/2020 (cd. Decreto Correttivo) completa il quadro normativo adottando talune disposizioni correttive agli istituti disciplinati all'interno del Codice, chiarendo il contenuto di talune previsioni e coordinandone la disciplina.

Tali considerazioni preliminari rendono particolarmente evidente un contesto assai variegato ed altresì una copiosa produzione normativa, per lo più derivante dall'avvicendarsi di eventi che hanno compromesso, medio tempore, la puntuale attuazione dei desiderata del legislatore della riforma.

Orbene, nell'ambito degli istituti previsti dal Codice della crisi con la finalità di prevenire la liquidazione giudiziale, il concordato preventivo costituisce una procedura concorsuale giudiziale riservata agli imprenditori commerciali non piccoli (o meglio, che non siano imprenditori minori), che favorisce la composizione della crisi mediante una soluzione concordata con i creditori e avente la duplice finalità di 1) perseguire il risanamento economico e finanziario dell'impresa, qualora la crisi sia temporanea e reversibile e 2) evitare il fallimento (ed ora, la liquidazione giudiziale) e le relative conseguenze, quando la crisi sia definitiva e irreversibile.

Tale procedura, disciplinata agli articoli 84-120 CCII, si articola in varie fasi che saranno di seguito esaminate.

Presupposti e inizio della procedura

Con riferimento ai presupposti per l'accesso alla procedura, l'art. 85 del nuovo Codice della crisi chiarisce, anzitutto, che “per proporre il concordato l'imprenditore, soggetto a liquidazione giudiziale ai sensi dell'articolo 121, deve trovarsi in stato di crisi o di insolvenza”.

Viene, dunque, confermato che presupposto soggettivo per l'accesso alla procedura di concordato è la qualità di imprenditore commerciale, purché venga superato almeno uno dei limiti dimensionali fissati dall'art. 2 comma 1 lett. d) del CCII (in precedenza contenuti nell'art. 1, comma 2, l.f.).

Il presupposto oggettivo consiste, invece, nello stato di crisi o d'insolvenza.

A fini di chiarezza, occorre precisare che nel concetto di stato di crisi è ricompreso anche lo stato di insolvenza, che ne costituisce la fase più grave e che, come già prevedeva l'art. 5 l.f., “si manifesta con inadempimenti o altri fattori esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

Lo stato di crisi è, invece, definito come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate” (art. 2, comma 1, lett. a) CCII).

Quanto alle finalità perseguite dal concordato preventivo, l'art. 84 CCII chiarisce che tale procedura concorsuale è volta primariamente a realizzare il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio. A questa disposizione può riconoscersi rilevanza dal punto di vista interpretativo in quanto consente di escludere l'ammissibilità di quelle proposte di concordato che non prevedano alcun soddisfacimento dei creditori (le cd. proposte a zero) o garantiscano loro un soddisfacimento irrisorio.

Con riferimento alla natura del concordato preventivo, questo può essere in continuità o liquidatorio. Ai sensi dell'art. 84 CCII, ciò che distingue le due tipologie di concordato è anzitutto rappresentato dalla diversa provenienza delle risorse impiegate per soddisfare i creditori.

Difatti, è in continuità aziendale quel concordato che trae i mezzi “in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”;è, invece, liquidatorio il concordato in cui le risorse per la soddisfazione dei creditori derivino principalmente dalla liquidazione dei beni del debitore.

Lo stesso art. 84, comma 2, CCII precisa che la continuità aziendale può essere diretta o indiretta, sgombrando così il campo da possibili incertezze applicative – che si erano poste in passato – circa la configurabilità di un piano concordatario che preveda la continuità indiretta dell'attività d'impresa. A tal proposito, viene evidenziato che la continuità è diretta allorquando venga realizzata dallo stesso debitore, mentre invece è indiretta qualora sia prevista “la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso […]”.

Il Decreto Correttivo è intervenuto sul citato comma 2 dell'art. 84 CCII, precisando che la continuità indiretta può realizzarsi mediante la cessione, usufrutto o conferimento dell'azienda in una o più società (anche di nuova costituzione). Può, inoltre, sussistere in caso di affitto di azienda, anche quando il contratto sia stato stipulato anteriormente al deposito del ricorso, ma in funzione della futura presentazione della proposta.

Alla luce di tale modifica, emerge che se il contratto di affitto d'azienda previsto nell'ambito di un concordato con continuità indiretta potrà essere sottoscritto anche prima del deposito del ricorso – sia pure con le precisazioni suesposte – gli altri negozi in forza dei quali l'azienda potrà essere gestita da un soggetto differente dal creditore (i.e., la cessione, l'usufrutto e il conferimento) potranno essere stipulati esclusivamente in un momento successivo, in esecuzione del piano.

In tale contesto, il legislatore ha mostrato un deciso favor per la tutela e la conservazione dell'impresa che mantenga una residua operatività, valorizzando così l'avviamento e preservando i livelli occupazionali.

Infatti, definendo la nozione di continuità aziendale il legislatore ha chiarito come questa debba assicurare “il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall'omologazione”.

Si è voluto così garantire l'effettività della “dimensione oggettiva” della continuità, che è stata individuata dal Codice della crisi facendo riferimento a specifici requisiti dimensionali (mantenimento di un determinato numero di lavoratori rapportati alla media di quelli alle dipendenze dell'impresa negli ultimi due anni) e temporali (permanenza dei requisiti dimensionali per almeno un anno dopo l'omologa del piano), al fine di evitare abusi dello strumento concordatario (Cfr. D. Burroni, Concordato preventivo, in S. Sanzo – D. Burroni (a cura di), Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Bologna, 2019, 128).

In tal modo, il legislatore ha inteso bilanciare le confliggenti esigenze di riservare l'accesso al concordato in continuità ai soli casi in cui la continuità sia effettiva e reale con l'esigenza di non imporre regole di gestione dell'impresa – limitative della libertà dell'imprenditore - aventi una lunga durata.

Proprio al fine di limitare condotte abusive, il debitore che voglia beneficiare di un concordato preventivo con continuità è tenuto a dare conto – nell'ambito del piano di concordato – della funzionalità della prosecuzione dell'attività ad assicurare il ripristino dell'equilibrio economico finanziario dell'impresa e alla realizzazione dell'interesse dei creditori.

Con riferimento, invece, al criterio da adottare ai fini della qualificabilità di un concordato quale concordato in continuità, l'art. 84, comma 3, CCII fa espresso riferimento al criterio della prevalenza. E dunque, al concordato misto (ipotesi in cui il piano concordatario prevede, allo stesso tempo, la liquidazione dei beni non funzionali alla prosecuzione dell'attività d'impresa e la continuazione delle attività aziendali) dovrà applicarsi la disciplina del concordato in continuità qualora preveda che “i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”; qualora tali caratteristiche non ricorrano, al concordato misto si applicherà la disciplina del concordato preventivo liquidatorio. Le conseguenze applicative di tale distinzione non sono trascurabili, in quanto l'applicazione della disciplina del concordato in continuità comporta l'assenza di soglie minime di soddisfacimento dei creditori – invece previste dalla disciplina del concordato liquidatorio - quali condizioni di ammissibilità alla procedura.

Va evidenziato che il Decreto Correttivo è intervenuto sul testo dell'art. 84, comma 3, CCII, eliminando la possibilità – prevista dalla versione originaria del Codice – di calcolare il ricavato derivante dalla cessione del magazzino ai fini della valutazione (prevista dalla disciplina del concordato in continuità aziendale) del soddisfacimento dei creditori in misura prevalente con il ricavato della continuità aziendale diretta o indiretta.

La disciplina recata dal Codice della crisi chiarisce, inoltre, che la prevalenza del soddisfacimento dei creditori con i proventi della continuità aziendale “si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un'attività d'impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso”. Anche tale disposizione è chiaramente espressione del favor legislativo per la tutela occupazionale nell'ambito del concordato preventivo.

Ad ogni modo, al fine di evitare che la proposta concordataria risulti generica, viene precisato che dovrà essere indicata l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore, che ben può consistere nella prosecuzione o rinnovo di rapporti contrattuali (con il debitore o con il suo avente causa).

Ad ulteriore conferma del fatto che nell'ambito dell'impostazione fatta propria dal legislatore delegato il concordato liquidatorio è considerato come uno strumento la cui applicazione deve essere limitata ai soli casi in cui sia immediatamente apprezzabile la maggiore utilità che ne deriverebbe per i creditori rispetto alla liquidazione giudiziale, l'art. 84, comma 4, CCII prevede quale condizione di ammissibilità del concordato liquidatorio che “l'apporto di risorse esterne deve incrementare di almeno il dieci per cento, rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale, il soddisfacimento dei creditori chirografari, che non può essere in ogni caso inferiore al venti per cento dell'ammontare complessivo del credito chirografario”.

Con riferimento al contenuto della proposta occorre precisare, anzitutto, che questa deve essere fondata su un piano che sia fattibile (sia dal punto di vista giuridico sia economico). La legge chiarisce che spetta al tribunale verificare la fattibilità del piano sotto entrambi i profili, superando così quella interpretazione secondo la quale il sindacato del tribunale sarebbe stato limitato ai soli profili di fattibilità giuridica, non potendo invece svolgere una valutazione sulla fattibilità economica del piano (la distinzione tra le due tipologie di fattibilità era stata elaborata da Cass. civ., SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521).

Anche il nuovo Codice della crisi – così come la legge fallimentare – lascia ampia libertà nell'individuazione dei rimedi per il superamento della crisi. Ciò può, infatti, avvenire attraverso: 1) una ristrutturazione dei debiti accompagnata dalla soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma; 2) l'attribuzione ad un assuntore delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato; 3) l'eventuale suddivisione dei creditori in classi; 4) la previsione di trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.

Proposta e piano di concordato

È bene precisare che, nella terminologia utilizzata dal legislatore, con il sostantivo “proposta” si fa riferimento al contenuto negoziale del concordato, mentre il piano concordatario è quel documento avente la funzione di illustrare le componenti economiche e patrimoniali oltre alle modalità e i tempi di esecuzione della proposta.

La disciplina del contenuto della proposta e del piano di concordato, recata dall'art. 87 CCII, presenta rilevanti differenze rispetto a quanto previsto dal previgente art. 161 della legge fallimentare. Tra le novità più rilevanti – che saranno analiticamente analizzate nel prosieguo – appare sin da ora opportuno sottolineare come la nuova disciplina ponga particolare attenzione all'individuazione dettagliata nel piano delle iniziative che saranno intraprese al fine di superare la crisi, anche nell'ottica di conservare e valorizzare l'azienda.

Con riferimento alle formalità da rispettare relativamente all'avvio della procedura, anche nel silenzio dell'art. 87 CCII, sembra pacifico che la domanda di ammissione alla procedura debba essere proposta con ricorso sottoscritto dal debitore al tribunale del luogo ove l'impresa ha la sede principale. Ciò infatti si desume dalla previsione generale di cui all'art. 37 CCII. Così come previsto dalla disciplina previgente, al fine di evitare comportamenti elusivi del debitore, il trasferimento della sede dell'impresa avvenuta nell'anno precedente al deposito del ricorso è inefficace ai fini dell'individuazione del tribunale competente.

Quanto ai soggetti a cui è riconosciuta la facoltà di proporre la domanda di concordato, anche il legislatore della riforma conferma l'approccio restrittivo già fatto proprio dalla legge fallimentare, in base al quale solamente al debitore è riconosciuta l'iniziativa della proposizione della domanda di concordato.

Al momento della presentazione della proposta di concordato, il debitore è tenuto a presentare, in primo luogo, la documentazione di cui all'art. 39 CCII, che è richiesta ai fini dell'accesso a qualunque procedura di regolamentazione della crisi e dell'insolvenza regolata dal Codice della crisi.

Appare evidente come tali documenti ed informazioni relative alla situazione economico-patrimoniale del debitore sono ora individuate in maniera assai più dettagliata rispetto a quanto previsto all'art. 160 della legge fallimentare.

L'art. 87 CCII individua invece i contenuti del piano e – anche in questo caso – lo fa indicandoli in modo analitico. Il piano di concordato dovrà, quindi, indicare a) le cause della crisi; b) la definizione delle strategie d'intervento e, in caso di concordato in continuità, i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria; c) gli apporti di finanza nuova, se previsti; d) le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, con indicazione di quelle eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e delle prospettive di recupero; e) i tempi delle attività da compiersi, nonché le iniziative da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi pianificati e quelli raggiunti; f) in caso di continuità aziendale, le ragioni per le quali questa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori; g) ove sia prevista la prosecuzione dell'attività d'impresa in forma diretta, un'analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura.

Il Decreto Correttivo chiarisce inoltre che, nell'ipotesi di concordato in continuità aziendale, il debitore dovrà presentare nell'ambito del piano di concordato anche il piano industriale e la prospettazione dei suoi effetti sul piano finanziario.

Dall'analisi delle previsioni normative indicate e della documentazione da depositare per accedere alla procedura, emerge un più accentuato obbligo di rendere note le vicende relative all'impresa e alle ragioni che hanno determinato la crisi, rispetto a quanto previsto dalla legge fallimentare.

Un elemento di novità è, inoltre, rappresentato dall'obbligo, a carico del debitore, di indicare le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, oltre alle relative prospettive di recupero.

Il Codice della crisi disciplina, poi, alcuni strumenti volti a preservare il patrimonio dell'impresa, nelle more della procedura di concordato, anche neutralizzando l'operatività di alcune norme del codice civile.

A tal proposito, l'art. 89 CCII prevede l'inapplicabilità degli artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi 4,5, e 6, 2482-ter, 2484, n. 4, e 2545-duodecies c.c. nel periodo che intercorre tra la data di deposito della domanda e l'omologazione.

L'art. 86 CCII disciplina, invece, la moratoria in caso di concordato in continuità, trasponendo – seppure con alcune novità – quanto già previsto dall'art. 186-bis della legge fallimentare. Tale previsione ha la ratio di consentire al debitore di utilizzare per la gestione dell'impresa, almeno in via temporanea, i flussi originati dalla continuità aziendale, che altrimenti avrebbero dovuto essere impiegati per soddisfare i creditori titolari di cause legittime di prelazione.

È ora previsto che la moratoria possa avere una durata massima di due anni dal momento dell'omologazione (l'art. 186-bis l.f. prevedeva la durata massima di un anno) e, a differenza del passato in cui i creditori interessati non avevano diritto al voto, è previsto che i creditori interessati siano ammessi al voto per la differenza tra il valore del proprio credito maggiorato degli interessi e il valore attuale dei pagamenti previsti nel piano calcolato con particolari modalità.

Con riferimento, invece, al trattamento riservato aicrediti tributari e contributivi, l'art. 88 CCII non presenta profili di novità sostanziale rispetto a quanto previsto dall'art. 182-ter della legge fallimentare (come modificata dall'art. 1, comma 81, l. 232/2016).

Di particolare rilevanza – seppure in continuità con quanto già previsto dall'art. 161, comma 3, l.f. – è l'art. 87, comma 2, CCII, che prevede l'obbligo per il debitore di depositare, assieme alla domanda, la relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Una relazione analoga deve essere presentata anche nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano.

La relazione di attestazione certifica non solo la fattibilità economica del piano – anche se il giudizio finale di fattibilità è rimesso al Tribunale – ma anche la veridicità dei dati aziendali posti alla base del piano.

Nel caso di concordato in continuità, a mente dell'art. 87, comma 3, CCII, la relazione del professionista indipendente deve attestare che la prosecuzione dell'attività sia “funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori”.

Il preconcordato e la fase di ammissione

Anche il nuovo Codice della crisi, all'art. 44, comma 1, lett. a), reca la disciplina della domanda prenotativa (anche definita “preconcordatoo domanda con riserva), già disciplinata dall'art. 161, comma 6, l.f..

Si tratta di quella domanda che ha ad oggetto l'assegnazione dei termini di cui all'art. 44, comma 1, lett. a), CCII con la quale il debitore deposita, unitamente alla domanda, unicamente i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi (o, per le imprese non soggette all'obbligo di redazione del bilancio, le dichiarazioni dei redditi relative ai tre esercizi precedenti), l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione.

La documentazione ulteriore di cui all'art. 39 CCII è invece depositata in un momento successivo, nel termine assegnato dal tribunale.

Nel periodo intercorrente tra il deposito della domanda e la scadenza del termine per la presentazione della proposta e della ulteriore documentazione richiesta, il debitore può compiere, oltre agli atti di ordinaria amministrazione, gli atti di straordinaria amministrazione che siano urgenti e preventivamente autorizzati dal tribunale. Egli è, inoltre, tenuto ad adempiere agli obblighi informativi disposti dal tribunale e a depositare la situazione finanziaria.

Anche nel Codice della crisi resta, quindi, la possibilità per il debitore di depositare la domanda di concordato con riserva della presentazione della proposta e del piano nell'ambito del procedimento unitario.

Rispetto alla disciplina previgente sono però previste talune ulteriori limitazioni: 1) il termine massimo entro il quale il debitore è tenuto a depositare la proposta di concordato preventivo, con il piano, l'attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità, oltre alla documentazione di cui all'art. 39, comma 1, CCI oppure gli accordi di ristrutturazione di debiti, è di 60 giorni; 2) tale termine è prorogabile di ulteriori 60 giorni, ma solo se non sono pendenti domande di apertura della liquidazione giudiziale; 3) la proroga è possibile fino a 120 giorni se il debitore si è attivato tempestivamente presso l'OCRI, 4) l'assegnazione del termine deve essere espressamente richiesta dal debitore, 5) non è più prevista la domanda di concordato come riconvenzionale alla domanda di apertura della liquidazione giudiziale.

Al ricorrente che non abbia presentato, nel termine fissato dal giudice, una proposta di concordato o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione, non è consentito presentare – a pena di inammissibilità - nei successivi due anni una nuova domanda di concordato con riserva.

Anche al di fuori dell'ipotesi di concordato con riserva, il tribunale, qualora ritenga che non ricorrano i presupposti, dopo aver sentito il debitore in camera di consiglio, provvede a dichiarare, con decreto non soggetto a reclamo, inammissibile la proposta di concordato.

D'altra parte, qualora ritenga sussistenti i presupposti per l'ammissione alla procedura, valuta la correttezza dei criteri di formazione delle eventuali classi di creditori e dichiara, con decreto non reclamabile, aperta la procedura, provvedendo altresì a delegare un giudice alla procedura; ad ordinare la convocazione dei creditori; alla nomina del commissario giudiziale; fissare un termine per il deposito delle somme necessarie a coprire le spese della procedura; ordinare al ricorrente di consegnare al commissario giudiziale copia delle scritture contabili.

Proposte concorrenti

L'art. 90 CCII – confermando quanto già previsto dalla disciplina previgente – prevede che possano essere formulate, a determinate condizioni e subordinatamente al fatto che la procedura sia stata avviata dal debitore (che, come evidenziato, è l'unico soggetto legittimato a presentare domanda di ammissione al concordato), proposte alternative rispetto a quella presentata dal debitore.

In tal modo, viene garantita la possibilità di selezionare la proposta di concordato che sia più soddisfacente per gli interessi dei creditorie viene favorito il mercato dei crediti concorsuali permettendo la cessione di tali crediti a soggetti che siano interessati anche alla possibile acquisizione dell'impresa.

La disciplina delle proposte concorrenti contenuta nel Codice della crisi rimane fedele all'impostazione originaria dell'istituto (come già disciplinato dalla legge fallimentare) pur apportando alcune modifiche.

E dunque, le proposte concorrenti: 1) possono essere proposte solamente nell'ambito di una procedura di concordato introdotta dal debitore, 2) possono essere proposte da creditori che siano titolari di crediti pari almeno al 10 % della massa (originariamente o per effetto di acquisti di crediti), 3) non possono essere presentate ove il debitore abbia presentato una proposta che prevede il soddisfacimento in misura superiore a determinate soglie (che sono state modificate con la riforma).

Ebbene, la legittimazione alla proposizione della domanda di concordato è limitata – così come nella disciplina previgente – ai soli soggetti che siano titolari di crediti di ammontare complessivo pari al 10 per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata dal debitore. Viene altresì precisato che ai fini del computo di tale percentuale non si considerano i crediti “della società che controlla la società debitrice, delle società da questa controllate e di quelle sottoposte a comune controllo”.

Al fine di garantire il rispetto dei principi di trasparenza e libertà di concorrenza, al debitore è precluso – anche per interposta persona, mediante il coniuge, parte di unione civile, convivente di fatto, parenti, affini entro il quarto grado o parti correlate – formulare proposte concorrenti.

Come già accennato, il legislatore ha escluso l'ammissibilità delle proposte concorrenti allorquando il debitore abbia formulato una proposta (in sede di presentazione della domanda di concordato) che assicuri determinate soglie di soddisfazione dei creditori.

Ad oggi, la soglia di soddisfacimento dei creditori chirografari che è necessario assicurare al fine di escludere l'ammissibilità delle proposte concorrenti è stata fissata al trenta per cento (è, invece, pari al venti per cento qualora il debitore si sia attivato tempestivamente presso l'OCRI), a differenza di quanto avveniva con l'art. 163 l.f. che prevedeva una soglia pari al 30 per cento nel concordato in continuità e del 40 per cento nel concordato liquidatorio.

L'art. 90, comma 6, CCII precisa che, ferma restando la legittimazione esclusiva in capo ai creditori, la proposta può prevedere l'intervento di terzi e, se il debitore ha la forma di società per azioni o a responsabilità limitata, un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto d'opzione.

Giova evidenziare come manchi una disciplina espressa circa il possibile contenuto della proposta concorrente e si ritiene, quindi, che sia soggetta ai medesimi limiti applicabili alla proposta del debitore.

Orbene, la proposta concorrente potrà avere – in linea di principio - gli stessi contenuti della proposta originariamente presentata dal debitore, differenziandosi solamente da un punto di vista quantitativo, o possa invece prevedere modificazione relative al trattamento riservato ai creditori. Il contenuto della proposta concorrente potrà anche differenziarsi significativamente da quello della proposta originaria e potrà – addirittura – risultare del tutto diverso anche da un punto di vista qualitativo.

La disciplina relativa al procedimento non ha subito variazioni sostanziali rispetto al passato.

E dunque, anche ai sensi del Codice della crisi, a seguito del deposito della proposta di concordato da parte del debitore, si può aprire (eventualmente) una fase istruttoria a beneficio dei creditori e dei terzi potenzialmente interessati a formulare una proposta concorrente.

Infatti, all'art. 92, comma 3, CCII è previsto che il commissario giudiziale fornisca ai creditori che ne fanno richiesta – previa assunzione di obblighi di riservatezza – le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti, in base alle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore oltre ad ogni altra informazione rilevante in possesso del debitore.

Il commissario è, dunque, tenuto a valutare la serietà delle richieste pervenute, oltre alla congruità delle stesse, così da evitare che possano essere poste in essere attività di mero disturbo.

Il termine ultimo entro il quale può essere depositata la proposta concorrente è trenta giorni prima della data stabilita per la votazione dei creditori. Occorre evidenziare che in passato tale termine era riferito all'adunanza dei creditori, che è stata ora abolita dalla nuova disciplina; ad oggi, quindi, le proposte concorrenti potranno essere presentate fino a trenta giorni prima del termine a decorrere dal quale possono essere espresse le manifestazioni di voto.

Le proposte – sia quella originaria che quelle concorrenti – possono comunque essere modificate fino a venti giorni prima della votazione dei creditori.

Come meglio evidenziato nel prosieguo con riferimento alle maggioranze necessarie per l'approvazione della proposta di concordato (sul punto, si veda infra), si evidenzia sin da ora che i creditori che presentano una proposta di concordato concorrente (nonché le società controllate, controllanti o sottoposte a comune controllo) hanno diritto di voto sulla medesima proposta solamente se collocati in una classe autonoma.

Offerte concorrenti

L'art. 91 CCII disciplina le offerte concorrenti – conformemente a quanto già previsto dall'art. 163-bis l.f. – affermando che “Quando il piano di concordato comprende un'offerta irrevocabile da parte di un soggetto già individuato e avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso, dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni, il tribunale o il giudice da esso delegato dispone che dell'offerta stessa sia data idonea pubblicità al fine di acquisire offerte concorrenti”.

La finalità delle offerte concorrenti è anzitutto quella di contemperare la libertà del debitore di formulare il piano di concordato con il (confliggente) interesse dei creditori alla più proficua liquidazione e gestione del patrimonio del debitore, anche contrastando la prassi dei cd. piani preconfezionati. Tali obiettivi sono perseguiti incentivando i soggetti interessati (siano essi creditori o terzi) a competere con gli offerenti individuati dal debitore nel piano originario, così da assicurare il massimo realizzo dalla cessione dei beni, massimizzando l'interesse dei creditori.

La disciplina si applica a tutte le ipotesi in cui, anche prima della omologazione, sia prevista una qualsiasi forma di liquidazione del patrimonio del debitore e mira a scongiurare la prassi dei concordati chiusi (o preconfezionati).

A tal proposito, l'art. 91 CCII prevede che la procedura si applichi ai casi in cui il piano di concordato: 1) preveda un'offerta irrevocabile da parte di un soggetto pre-individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, a titolo oneroso, di tutto o parte dell'azienda o di specifici beni che la compongono; 2) il debitore, prima dell'apertura della procedura di concordato, abbia stipulato un contratto avente la finalità di trasferire non immediatamente l'azienda, una sua parte o specifici beni che la compongono; 3) preveda anche il trasferimento del godimento dell'azienda.

Tale procedura sembra, comunque, essere inapplicabile con riferimento ai beni di minore valore in quanto sarebbe eccessivamente onerosa e non giustificata dalla maggiore utilità che si potrebbe trarre dalla cessione di tali beni.

Nelle ipotesi indicate all'art. 91 CCII, il tribunale o il giudice delegato (in considerazione del fatto che ciò avvenga prima o dopo l'apertura della procedura di concordato) dispone che venga data idonea pubblicità a terzi dell'offerta o del contratto, così da sollecitare le manifestazioni di interesse concorrenti, volte a massimizzare il realizzo per la massa dei creditori.

L'art. 91, comma 3, CCII prevede che se, nel termine assegnato, pervengano manifestazioni di interesse, il tribunale o il giudice delegato dovranno disporre con decreto l'apertura della procedura competitiva. Trattandosi di una procedura complessa e onerosa, è previsto che questa venga attivata solamente a fronte di concrete manifestazioni d'interesse.

Quanto alla procedura, è necessario anzitutto che il decreto che dispone l'apertura della procedura competitiva, di cui deve essere data idonea pubblicità ex art. 92, comma 5, CCII, stabilisca le modalità di presentazione delle offerte, fissandone i parametri minimi che ne assicurano la comparabilità; i requisiti di partecipazione degli offerenti oltre ai tempi di accesso alle informazioni rilevanti e alle modalità con cui i commissari devono fornirle; le modalità di svolgimento della procedura, determinando l'aumento minimo del corrispettivo che le offerte devono prevedere, le garanzie da prestare, le forme di pubblicità e la data dell'udienza per l'esame delle offerte.

Ebbene, dall'esame dell'art. 91 CCII emerge come siano state sostanzialmente conservate le stesse modalità già previste dall'art. 163-bis l.f., con l'elemento di novità che la vendita può - ma non deve necessariamente - avvenire dinnanzi al giudice delegato, la cui presenza potrà essere limitata alle ipotesi di vendita di beni di maggior valore.

I seguenti elementi sono caratteristici della presentazione delle offerte concorrenti: 1) tali offerte devono essere presentate in forma segreta e non sono efficaci se non conformi a quanto previsto dal decreto o ove siano sottoposte a condizione; 2) sono rese pubbliche nel giorno stabilito per la gara alla presenza degli offerenti e di eventuali terzi; 3) in presenza di più offerte si procede alla gara tra gli offerenti e tale gara deve concludersi almeno 20 giorni prima della data fissata per il voto dei creditori anche quando il piano prevede che la vendita o aggiudicazione abbia luogo dopo l'omologazione. In tal modo, il proponente potrà modificare la propria proposta alla luce dell'esito della procedura competitiva.

Parimenti in linea con quanto previsto dalla previgente disciplina recata dalla legge fallimentare sono anche le previsioni secondo cui con la vendita o aggiudicazione, se precedente, in favore di un soggetto differente dall'originario offerente indicato nel piano, questi e il debitore sono liberati dalle obbligazioni assunte e viene, inoltre, disposto il rimborso delle spese sostenute per la formulazione dell'offerta (entro il limite massimo del tre per cento del prezzo indicato). D'altra parte, qualora all'esito della procedura competitiva non vengano presentare offerte concorrenti, l'originario offerente rimane comunque vincolato ai termini della propria offerta.

Peraltro, ai sensi dell'art. 91, comma 11, CCII, le medesime regole trovano applicazione anche all'ipotesi di domanda di assegnazione dei termini ex art. 44, comma 1, lett. a), CCII, pur sussistendo una riserva di compatibilità della disciplina.

Organi della procedura

Nel nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza c'è una sezione denominata “Organi e amministrazione”, che non era presente nella struttura della legge fallimentare con specifico riferimento al concordato preventivo. In tale sede non sono però presi in esame tutti gli organi del concordato né viene delineata una disciplina completa di quelli presi in esame, ma vengono piuttosto dedicate alcune peculiari previsioni relative al commissario giudiziale (art. 92 CCII) e alla pubblicità del decreto (art. 93 CCII).

La disciplina relativa agli altri organi della procedura è, invece, contenuta in altre sezioni del Codice della crisi.

Nel prosieguo della trattazione, quindi, saranno esaminati i tratti caratterizzanti degli organi della procedura di concordato.

Tribunale e giudice delegato. Il tribunale è un organo della procedura del concordato preventivo a cui è affidato il compito di vagliare l'ammissibilità della proposta e del piano. Come detto, tale potere è stato rafforzato rispetto al passato, in quanto al tribunale è attribuito il potere di esaminare la fattibilità del piano sia sotto il profilo giuridico sia quello economico.

Al tribunale in composizione collegiale il debitore indirizza le proprie istanze, dal momento di apertura della procedura fino alla designazione del giudice delegato. A tale organo è altresì attribuito il compito di risolvere, in sede di reclamo, eventuali conflitti che insorgano relativamente al compimento di atti, da parte del debitore, per i quali sia necessaria l'autorizzazione scritta da parte del giudice delegato.

Con il decreto di apertura della procedura, il tribunale può anche stabilire regole di funzionamento della procedura. Tra queste, ad esempio, la fissazione di una soglia al di sopra della quale un atto è considerato di straordinaria amministrazione (e richiede, quindi, l'autorizzazione del giudice delegato) o il potere di autorizzare – in caso di urgenza – il compimento di determinati atti, anche senza porre in essere procedure competitive.

Al tribunale, in composizione collegiale, è poi riservato il giudizio di omologa del concordato dopo la sua approvazione.

Successivamente all'apertura della procedura, il tribunale delega un proprio componente, il giudice delegato, a sovraintendere la procedura stessa e ad emettere i provvedimenti autorizzativi richiesti dal proponente o che ne regola lo svolgimento della procedura.

Tale organo, avente autorità tutoria, ha il compito di presiedere l'adunanza dei creditori e di ammettere provvisoriamente – ai fini del voto e del calcolo delle maggioranze – i crediti contestati. Al giudice delegato spetta, infine, il compito di riferire al tribunale relativamente all'approvazione del concordato.

Commissario giudiziale. L'art. 92 CCII disciplina la figura del commissario giudiziale, pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni, alla cui attività si applicano – in forza di un espresso richiamo normativo - le disposizioni previste dall'art. 126 in materia di accettazione dell'incarico, dell'art. 133 relativamente ai reclami avverso gli atti e le omissioni del curatore, della revoca ex art. 134 CCII e della responsabilità ex art. 136 CCII del curatore, nonché quanto previsto all'art. 137 CCII relativamente al compenso del curatore.

Ad ogni modo, occorre evidenziare che la disciplina recata dal Codice della crisi d'impresa con riferimento al commissario giudiziale non apporta innovazioni di rilievo rispetto a quanto previsto dalla legge fallimentare.

Il commissario giudiziale, avente funzioni di vigilanza, è tenuto alla verifica dell'elenco dei creditori e debitori, come risultante dalle scritture contabili (al quale deve apportare le necessarie rettifiche), redige l'inventario del patrimonio del debitore oltre ad una relazione sulle cause del dissesto.

A tal proposito, giova evidenziare che l'art. 92 CCII disciplina i doveri informativi del commissario giudiziale rispetto ai creditori e ai terzi nella prospettiva della presentazione delle proposte ed offerte concorrenti sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore oltre ad ogni altra informazione rilevante in suo possesso.

Come già evidenziato, la collaborazione del commissario giudiziale è volta a favorire la competizione tra i soggetti potenzialmente interessati, così da massimizzare il beneficio per i creditori, limitando, allo stesso tempo, l'accesso a tali informazioni solamente ai soggetti che si dimostrino seri ed affidabili.

Il commissario giudiziale è, inoltre, tenuto a comunicare al pubblico ministero i fatti di cui sia venuto a conoscenza nell'ambito delle sue funzioni che possano essere d'interesse dell'autorità giudiziaria ai fini dello svolgimento delle indagini preliminari.

Egli deve anche provvedere alla trascrizione del decreto di apertura della procedura nei pubblici registri, quando il debitore sia titolare di beni assoggettati al regime pubblicitario della trascrizione. Si registra, a tal riguardo, una differenza rispetto al previgente art. 166 l.f., in quanto sembrerebbe che la cancelleria del tribunale non sia più tenuta a pubblicare il decreto di apertura della procedura presso la Camera di Commercio.

Il Decreto Correttivo, modificando la formulazione dell'art. 94 CCII, prevede ora che il commissario giudiziale sia coinvolto anche nell'ipotesi in cui giudice sia chiamato ad autorizzare atti di straordinaria amministrazione prima dell'omologazione del concordato preventivo nonché qualora il Tribunale debba autorizzare - in caso di urgenza – atti quali, ad esempio, l'alienazione, affitto di azienda, senza porre in essere adempimenti pubblicitari e procedure competitive.

Gli artt. 103-105 CCII disciplinano, invece, i provvedimenti immediati del commissario giudiziale. Le principali novità ivi contenute attengono, anzitutto, all'obbligo per il commissario giudiziale di annotare sotto l'ultima scrittura dei libri contabili presentati il decreto di apertura del concordato e celebrare dinnanzi a sé la procedura competitiva a fronte della presentazione di offerte concorrenti qualora non sia previsto nel decreto di apertura che questo debba essere celebrato dinnanzi al giudice delegato.

Comitato dei creditori. Il comitato dei creditori costituisce anch'esso un organo della procedura di concordato preventivo ed è disciplinato – in linea con quanto già previsto dalla disciplina previgente – all'art. 114 CCII.

A ben vedere, l'art. 114 CCII, con riferimento all'individuazione delle caratteristiche di tale organo e della disciplina ad esso applicabile, si limita a far rinvio alle disposizioni di cui agli artt. 138 e 140 CCII, nei limiti della compatibilità, salvo precisare che alla sostituzione dei membri del comitato provvede in ogni caso il tribunale.

Ad ogni modo, risulta opportuno evidenziare che il comitato è composto di tre o cinque membri scelti tra i creditori, in modo da rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei crediti e avuto riguardo alla possibilità di soddisfacimento dei crediti stessi.

Quanto alla funzione svolta, il comitato dei creditori è, anzitutto, chiamato a vigilare sull'operato del curatore, autorizzandone gli atti ed esprimendo pareri nei casi previsti dalla legge, ovvero su richiesta del tribunale o del giudice delegato.

Le deliberazioni del comitato sono prese a maggioranza dei votanti, nel termine massimo di quindici giorni successivi a quello in cui la richiesta è pervenuta al presidente.

Al comitato e ad ogni suo componente è riconosciuto il potere di ispezionare, in qualunque tempo, le scritture contabili e i documenti della procedura oltre ad avere diritto di chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al debitore.

Il comitato dei creditori viene nominato in caso di concordato con cessione di beni al fine di assistere alla liquidazione esercitando un novero di poteri che sono indicati nel decreto di omologa, che li può differentemente modulare.

Con riferimento, infine, alle regole applicabili al comitato dei creditori nel concordato preventivo, come detto, si tratta della disciplina applicabile allo stesso organo nell'ambito della liquidazione giudiziale, contenuta agli artt. 138 e 140 CCII, alla cui trattazione si rinvia.

Domanda di concordato: effetti sul patrimonio del debitore

L'art. 94 CCII, rubricato “Effetti della presentazione della domanda di concordato”, ripropone essenzialmente quanto già contenuto all'interno della previgente disciplina, prevedendo il cd. spossessamento attenuato.

Dalla data di presentazione della domanda di concordato (e sino all'omologazione) il debitore conserva, seppure sotto la stretta vigilanza del commissario giudiziale, sia l'esercizio della propria attività imprenditoriale, sia l'amministrazione dei relativi beni.

Per quanto concerne gli atti di straordinaria amministrazione, il tribunale può stabilire – con decreto – un limite di valore entro il quale non è dovuta alcuna autorizzazione da parte del giudice delegato.

Per tutti gli atti eccedenti tale ‘soglia', requisito necessario per il loro espletamento è l'ottenimento dell'autorizzazione da parte del giudice delegato medesimo.

In mancanza, l'atto dovrà ritenersi inopponibile ai creditori concorsuali.

La reale portata innovativa della norma in esame, rispetto a quanto contenuto nel previgente art. 167 l.f. concerne la possibilità di procedere all'esecuzione di atti di dismissione (quale, a titolo esemplificativo, la cessione di ramo di azienda) in un momento antecedente rispetto all'omologazione da parte del Tribunale.

Infatti, sovente accade che il periodo intercorrente tra l'omologazione e la liquidazione dell'azienda e/o dei suoi beni abbia un significativo impatto sul valore di realizzo derivante dalle operazioni di vendita, a causa di una pluralità di circostanze che comportano una complessiva svalutazione dei vari assets ricompresi all'interno del patrimonio dell'impresa.

In tale contesto, facendo seguito ad una prassi già ampiamente diffusa, la norma consente, qualora risulti funzionale e compatibile con il soddisfacimento dei creditori, di procedere alla dismissione di determinati beni prima dell'intervenuta omologazione, mediante l'utilizzo di procedure competitive, previa stima ed adeguate forme di pubblicità.

Tuttavia, in casi di particolare urgenza, viene consentito al Tribunale di autorizzare l'alienazione del complesso aziendale, o l'affitto del medesimo, prescindendo dall'adozione delle consuete ed adeguate forme di pubblicità nonché delle procedure competitive che solitamente devono essere adottate al fine di individuare i soggetti in possesso di requisiti sufficienti alla conservazione dell'integrità del valore aziendale.

In relazione a tale fattispecie, il Decreto Correttivo è intervenuto introducendo due ulteriori condizioni, necessarie per fare luogo alle procedure semplificate di alienazione: l'art. 15 CCI conferma l'applicabilità della previsione normativa ai soli casi di urgenza ma inserisce, da un lato – come già evidenziato - l'obbligo di preventiva audizione del commissario giudiziale e, dall'altro, l'ulteriore parametro dell'irreparabile compromissione dell'interesse al miglior soddisfacimento dei creditori.

Sembrerebbe, pertanto, che il legislatore ‘correttivo' abbia di fatto introdotto un ulteriore controllo da parte del tribunale, investito non soltanto dell'individuazione delle ipotesi di urgenza ma altresì della valutazione dell'incidenza delle predette situazioni sul valore di dismissione dei beni aziendali e, in definitiva, sulle ragioni creditorie.

Tuttavia, giova sottolineare come la valutazione circa la grave compromissione dell'interesse al miglior soddisfacimento dei creditori sia intrinsecamente connaturata al concetto di particolare urgenza: difatti, l'impianto complessivo ideato dal Codice della crisi, con riferimento alle procedure anticipate di alienazione e affitto di azienda, si pone come obiettivo principale di contrastare fenomeni di eccessiva e repentina svalutazione degli asset e, pertanto, appresta un efficace strumento di tutela indiretta al ceto creditorio.

Per tali ordini di ragioni è opportuno accogliere con favore questa presa di posizione, chiaramente orientata nell'ottica di una gestione maggiormente proficua delle operazioni di dismissione.

Il legislatore, infatti, ben consapevole del fatto che le tempistiche necessarie per fare luogo e dare avvio alle predette operazioni siano solitamente lunghe e tendono a dilatarsi ulteriormente, ha predisposto un agile strumento emergenziale consegnandolo nelle mani del Tribunale, organo che dovrebbe essere in possesso di una “sensibilità” tale da fargli comprendere le articolate situazioni che potrebbero compromettere il valore di realizzo e, conseguentemente, le pretese creditorie.

Domanda di concordato: effetti sui contratti in corso di esecuzione

La regola generale, con riferimento ai contratti pendenti, rimane quella dell'automatica prosecuzione degli stessi (art. 97 CCII).

Pertanto, la presentazione della domanda di concordato non produce alcun effetto nei riguardi dei contratti in corso di esecuzione, fatti salvi i casi in cui il debitore, con l'istanza di accesso alla procedura concordataria, chieda al tribunale l'autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento di uno o più contratti nell'ipotesi in cui la prosecuzione di detti rapporti non sia funzionale all'esecuzione del piano.

La disciplina dettata dal Codice della crisi è intervenuta sul punto al fine di garantire una maggior tutela al contraente cd. “in bonis” i cui interessi, al momento della presentazione della domanda di concordato da parte del debitore, potrebbero essere pregiudicati da una richiesta di sospensione o di scioglimento dei vincoli contrattuali in essere avanzata dal debitore medesimo.

In effetti, giova rilevare come l'istanza di sospensione, a differenza di quella di scioglimento che può essere depositata solo allorquando siano stati presentati il piano e la proposta di concordato, possa essere avanzata dal debitore anche nella fase cd. prenotativa” (o di “preconcordato”) ovvero contestualmente al deposito della domanda di accesso al concordato.

Il comma settimo della disposizione in analisi precisa, tuttavia, che la sospensione richiesta prima del deposito della proposta e del piano non può essere autorizzata per una durata eccedente il termine concesso dal tribunale ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera a), CCII ”ovvero il termine, compreso tra i trenta ed i sessanta giorni, entro il quale il debitore deve depositare la proposta di concordato preventivo con il piano nonché l'attestazione di veridicità della documentazione e la fattibilità del piano medesimo.

Alla luce di tali esigenze, l'art. 97 CCII ha previsto che il debitore, insieme all'istanza mediante la quale richiede l'accesso alla procedura concordataria, debba altresì procedere alla notifica dell'atto alla controparte contrattuale il cui rapporto è stato oggetto di una richiesta di sospensione o di scioglimento.

In tal modo l'obiettivo è quello di realizzare un effettivo contemperamento tra le diverse esigenze e gli opposti interessi, prevedendo una sostanziale obbligatorietà della preventiva instaurazione del contraddittorio tra le parti, concedendo altresì al contraente in bonis la facoltà di opporsi alla richiesta (di sospensione o di scioglimento) avanzata dal debitore mediante il deposito di una memoria scritta entro sette giorni dall'avvenuta notificazione dell'istanza.

La previsione di una tempistica così stringente per l'esercizio dell'opposizione da parte del contraente in bonis trova la sua ratio nell'esigenza di garantire l'agilità e la rapidità della procedura, pur nel rispetto di tutti gli operatori economici, i quali dovranno attivarsi prontamente per tutelare le proprie ragioni nella sede opportuna.

La sospensione o lo scioglimento del contratto hanno efficacia a far data dalla notificazione, da parte del debitore, del provvedimento autorizzativo emesso dal tribunale.

In relazione a tale circostanza, l'art. 15 del Decreto Correttivo ha previsto l'impossibilità per la controparte sia di esigere la prestazione dal debitore sia di risolvere il contratto per inadempimento di obbligazioni con scadenza successiva al deposito della domanda di concordato nel periodo compreso tra la notificazione dell'istanza di sospensione o di scioglimento e la data della notificazione del provvedimento autorizzativo.

Giova infine segnalare che le modifiche recentemente introdotte dal Decreto Correttivo hanno interessato un ulteriore profilo della disciplina in analisi.

È stata infatti nuovamente introdotta la disposizione che prevede l'inefficacia di qualsiasi patto che consenta l'esercizio della facoltà di recesso, relativamente ai contratti totalmente o parzialmente ineseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti, alla data di deposito della domanda di accesso al concordato preventivo.

La peculiare disciplina dei contratti stipulati con pubbliche amministrazioni. Notevoli peculiarità si rinvengono con riferimento ai contratti stipulati dall'impresa in crisi con le amministrazioni pubbliche.

L'art. 95 CCII si occupa direttamente del tema prevedendo che i contratti in corso di esecuzione, stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto del deposito della domanda di concordato, a condizione che il professionista che abbia attestato la conformità e/o la fattibilità del piano preveda altresì la ragionevole capacità di adempimento da parte dell'impresa.

Tale disposizione si pone l'obiettivo di realizzare un sostanziale equilibrio tra due posizioni confliggenti. Da un lato, quella del debitore che, con particolare riferimento alle ipotesi di concordato in continuità, ha la necessità di conservare integralmente i contratti già stipulati onde poter effettivamente dare seguito a quanto contenuto nella proposta concordataria e, dall'altro, quella del contraente che, in considerazione degli interessi pubblici coinvolti, necessita di adeguate garanzie a tutela degli impegni assunti.

Anche in tale ipotesi, dunque, la regola generale è quella della prosecuzione dei contratti pendenti, essendo altresì disposta l'inefficacia di qualsiasi patto derogatorio rispetto ai principi appena esposti.

Degna di nota è l'ulteriore previsione – contenuta all'interno dei commi terzo e quarto dell'art. 40 CCII – che consente all'impresa in crisi che presenti una domanda di concordato la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici, previa autorizzazione del tribunale (e, successivamente all'apertura della procedura, del giudice delegato, acquisito il parere del commissario giudiziale).

La partecipazione a procedure ad evidenza pubblica, tuttavia, deve essere preceduta dal deposito di una relazione, da parte del professionista indipendente, che certifichi la conformità al piano dell'eventuale aggiudicazione della commessa, nonché della ragionevole possibilità per l'impresa di adempiere agli obblighi derivanti del contratto.

Pertanto, la preventiva verifica, da un lato, della capacità del debitore di adempiere alle obbligazioni che andrà a contrarre e, dall'altro, dell'effettiva conformità al piano ed agli obiettivi dello stesso, rappresenta un momento essenziale nonché propedeutico al coinvolgimento dell'imprenditore nelle procedure di aggiudicazione di contratti pubblici.

Giova infatti precisare come una rappresentazione corretta e trasparente dell'effettiva capacità dell'impresa tuteli in maniera adeguata sia gli interessi della pubblica amministrazione, sia quelli delle imprese concorrenti al regolare svolgimento della gara.

Il regime di prededucibilità

Il Codice della crisi, in linea di continuità con la disciplina dettata dalla legge fallimentare, conferma la regola della prededucibilità, secondo la quale, in deroga al principio della par condicio creditorum, taluni crediti possono essere soddisfatti direttamente e per intero nel corso della procedura concorsuale.

Originariamente, tale peculiare trattamento era riservato alle spese e ai debiti contratti per l'amministrazione e lo svolgimento della procedura concorsuale. Tuttavia, la crescente esigenza di individuare misure alternative al fallimento (oraliquidazione giudiziale) tali da consentire il salvataggio dell'impresa in crisi, ha indotto il legislatore ad estendere il beneficio della prededuzione ad ulteriori ipotesi consentendo, al ricorrere di determinate circostanze, l'accesso al credito da parte dell'imprenditore incentivando i soggetti finanziatori ad erogare liquidità anche in situazioni di particolare incertezza circa la solvibilità e le prospettive dell'impresa in crisi.

Nell'ambito del concordato preventivo, infatti, i crediti che attengono alla prosecuzione dei contratti pendenti - per il periodo successivo all'ammissione - nonché quelli derivanti da nuovi rapporti beneficiano del trattamento preferenziale consistente nella prededuzione, a condizione che tali rapporti risultino conformi con il piano approvato dai creditori (sul punto, Cass. civ., sez. VI, 16 maggio 2018, n. 12044).

In tale contesto, le modifiche introdotte sul tema risultano orientate nell'ottica di una generale finalità di riordino e di semplificazione delle forme di finanziamento erogate nei confronti dell'imprenditore, alla luce delle incertezze e dei contrasti interpretativi sorti in relazione a talune disposizioni della legge fallimentare.

Il Codice della crisi, infatti, all'art. 6, comma primo, elenca i crediti cui è attribuito il beneficio della prededuzione tra i quali rientrano: a) i crediti relativi alle spese sostenute dall'organismo di composizione della crisi d'impresa e dall'organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento; b) i crediti professionali sorti in funzione della domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione e per la richiesta di misure protettive, nei limiti del 75% del credito accertato e a condizione che l'accordo sia omologato; c) i crediti professionali sorti in funzione della presentazione della domanda di concordato preventivo, nei limiti del 75% del credito accertato e a condizione che la procedura sia aperta; d) i crediti legalmente sorti durante le procedure concorsuali; e) nonché i cd. “finanziamenti prededucibili”, disciplinati espressamente all'interno degli articoli 99, 101 e 102.

Con specifico riferimento alla procedura di concordato preventivo, inoltre, l'art. 46 CCII – rubricato “Effetti della domanda di accesso al concordato preventivo” – prevede, al comma quarto, che i crediti di terzi sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili”.

La cd. "nuova finanza". La normativa di recente introduzione, sulla falsariga di quanto già previsto dagli artt.182 quater e ss. l.f., fornisce – per il tramite degli articoli 99, 101 e 102 – una regolamentazione maggiormente organica dei finanziamenti prededucibili.

Trattasi, in particolare, di risorse ottenute dall'imprenditore, rispettivamente, prima dell'omologazione del concordato, durante l'esecuzione dello stesso ovvero mediante un'erogazione effettuata dai soci.

Ai sensi dell'art. 99 CCIIil debitore, con la domanda di accesso al concordato, può chiedere di essere autorizzato (con ricorso presentato dinnanzi al tribunale competente), anche prima del deposito della documentazione da allegare alla domanda, a contrarre finanziamenti in qualsiasi forma, compresa la richiesta di emissione di garanzie,assistiti dal beneficio della prededucibilità, a condizione che gli stessi risultino funzionali all'esercizio dell'attività imprenditoriale e che, in ogni caso, siano volti a consentire la migliore soddisfazione dei creditori nel rispetto del principio della par condicio creditorum.

La richiesta del debitore può altresì avere ad oggetto il mantenimento delle linee di credito già esistenti al momento della presentazione della domanda.

Il ricorso deve essere accompagnato dalla relazione di un professionista indipendente che certifichi la funzionalità dei finanziamenti alla migliore soddisfazione dei creditori.

Potrà prescindersi dalla predetta relazione solo nella peculiare ipotesi in cui il Tribunale ravvisi l'urgenza di provvedere onde evitare il verificarsi di pregiudizi gravi ed irreparabili alla prosecuzione dell'attività aziendale.

Ai fini della corretta proposizione del ricorso, il debitore è gravato dall'onere di specificare nel dettaglio la destinazione dei finanziamenti (per l'allocazione delle risorse dovrà dunque presentare una sorta di ‘piano industriale'), nonché di fornire puntuale indicazione delle motivazioni in base alle quali la preclusione all'erogazione degli stessi potrebbe compromettere l'esercizio dell'attività aziendale e/o il proficuo proseguimento della procedura.

Giova altresì rilevare come una simile disciplina – di particolare favore per il debitore – trovi giustificazione solo allorquando il debitore medesimo dimostri di non essere in grado di reperire le risorse di cui necessita con forme di finanziamento interne all'impresa.

Infine, il comma sesto dell'art. 99 CCII, al fine di prevenire potenziali condotte fraudolente, prevede che i crediti derivanti da finanziamenti possano essere privati del beneficio della prededucibilità qualora: (i) il ricorso (o l'attestazione di cui al comma terzo) contenga delle informazioni non veritiere ovvero ometta l'indicazione di circostanze rilevanti; (ii) il debitore abbia commesso atti di frode nei confronti dei propri creditori al fine di ottenere l'autorizzazione da parte del Tribunale; (iii) e, infine, venga dimostrato che i soggetti erogatori erano a conoscenza dei contegni fraudolenti tenuti dal debitore medesimo.

L'art. 101 CCII, invece, trova applicazione nella fase esecutiva del concordato preventivo e, segnatamente, nell'ipotesi in cui il concordato preveda la continuazione dell'attività aziendale, prevedendo il beneficio della prededucibilità in favore dicrediti derivanti da finanziamenti, in qualsiasi forma concessi, ivi compresa l'emissione di garanzie, in esecuzione di un concordato preventivo omologato (o di accordi di ristrutturazione dei debiti).

La disciplina dei finanziamenti prededucibili erogati in corso di esecuzione della procedura trova la propria ratio nella necessità di garantire, da un lato, la realizzazione degli obiettivi di risanamento che il debitore intende perseguire in conformità al piano concedendogli lo “scudo” della prededucibilità onde favorire l'ingresso di nuovi investitori/finanziatori e, dall'altro, di concedere adeguata tutela ai soggetti erogatori nell'eventualità in cui la procedura non dovesse sortire gli esiti sperati.

Similmente a quanto poc'anzi rilevato in relazione ai finanziamenti prededucibili autorizzati prima dell'omologazione, anche l'art. 101 CCII prevede – come norma di chiusura – che i crediti da finanziamento in esecuzione del piano possano essere privati della loro natura prededucibile.

Ciò può avvenire nei casi in cui: i) il piano di concordato presentato dal debitore contenga delle informazioni false ovvero omissioni circa dati rilevanti; ii) il debitore abbia compiuto atti fraudolenti nei confronti dei creditori.

I finanziamenti erogati dai soci. L'art. 102 CCII estende la disciplina appena descritta ai finanziamenti erogati dai soci dell'impresa.

Infatti, in deroga agli artt. 2467 e 2497-quinquies del codice civile, il beneficio della prededuzione trova applicazione altresì ai finanziamenti erogati dai soci in qualsiasi forma, inclusa l'emissione di garanzie e controgaranzie, fino all'ottanta per cento del loro ammontare.

La peculiarità di tale disposizione è desumibile, in primo luogo, dalla deroga operata nei confronti dell'art. 2467 c.c.

Quest'ultimo, norma cardine in tema di finanziamenti effettuati dai soci in favore della società, prevede come regola generale la postergazione del rimborso dei medesimi rispetto alla soddisfazione degli altri creditori dell'impresa allorquando i predetti finanziamenti siano stati effettuati in un momento in cui risulti un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto.

Viene ad integrarsi, in tal modo, una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria prevista dalla norma (Per una analisi più dettagliata del tema cfr. ex multis S. Fortunato “La società a responsabilità limitata: lezioni sul modello societario più diffuso”, Torino, 2017; G.F. Campobasso “Manuale di diritto commerciale”, 2017; G.M. D'Aiello, “Finanziamenti anomali dei soci: postergazione legale e concorso dei creditori”, in Il Fall., n. 1/2020).

Tuttavia, nella particolare ipotesi presa in considerazione dal Codice della crisi viene previsto un limite alla prededuzione, quantificato nell'ottanta per cento dell'ammontare complessivo del finanziamento effettuato.

La menzionata medesima norma prende in considerazione l'ulteriore ipotesi che si verifica allorquando il soggetto finanziatore acquisti la qualità di socio durante l'esecuzione del concordato preventivo prevedendo, in tale contesto, la parificazione della posizione di quest'ultimo a quella dei terzi; pertanto, anch'egli potrà godere del beneficio della prededuzione per l'intero importo del proprio credito.

Il pagamento dei debiti pregressi

Ulteriori rilevanti e significative novità si rinvengono con riferimento ai debiti sorti anteriormente alla procedura concordataria, nell'ipotesi in cui sia prevista la continuità aziendale.

In tale contesto, infatti, vengono in rilievo le disposizioni dettate dall'art. 100 CCII il quale, sulla base di quanto già stabilito dal comma quinto dell'art. 182-quinquies l.f., prevede la possibilità per il debitore di chiedere al tribunale l'autorizzazione al pagamento dei predetti debiti, a condizione che gli stessi siano relativi a prestazioni di beni e servizi funzionali al proficuo svolgimento della procedura ed alla corretta soddisfazione dei propri creditori.

A tal fine, similmente a quanto previsto in tema di finanziamenti prededucibili, risulta necessario che un professionista indipendente attesti l'essenzialità dell'adempimento di tali prestazioni ai fini della prosecuzione dell'attività d'impresa.

Le novità di maggior rilievo introdotte sul tema hanno ad oggetto, in primo luogo, la tutela dei lavoratori.

Infatti, viene previsto che il tribunale può autorizzare il pagamento della retribuzione dovuta per la mensilità antecedente il deposito del ricorso ai lavoratori addetti all'attività di cui è prevista la continuazionecon l'evidente finalità non incidere sul trattamento economico delle risorse impiegate, posto che le medesime risultano indispensabili ai fini della prosecuzione dell'attività al pari di fornitori e/o nuovi finanziatori.

Ulteriore disposizione di importanza peculiare è quella di cui al comma secondo dell'art. 100 CCII che prevede la possibilità per il debitore di richiedere al tribunale l'autorizzazione al pagamento delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all'esercizio dell'impresa”, a condizione che il professionista indipendente attesti che il rimborso delle rate in scadenza non lede i diritti degli altri creditori.

Il voto nel concordato preventivo e le maggioranze richieste per l'omologazione

La novità più dirompente sulla disciplina del concordato preventivo è da ravvisarsi senza dubbio con riferimento alle procedure di voto.

Si è proceduto, infatti, all'eliminazione della adunanza dei creditori, cuore pulsante dell'intera procedura regolata dalla legge fallimentare.

Giova a tal proposito rilevare che quest'ultima prevedeva, come regola generale, l'espressione del voto da parte dei creditori nel corso di una apposita adunanza e solo in via eccezionale, per il tramite del comma terzo dell'art. 175 l.f., si ammetteva la possibilità per il tribunale di disporre l'adunanza in via telematica.

Il Codice della crisi, in netta controtendenza rispetto alla disciplina previgente, prevede, all'art. 107 CCII, che il voto dei creditori è espresso con modalità telematiche.

Orbene, pare opportuno rilevare come una modifica di tale rilievo trovi adeguata giustificazione nella necessità di assicurare una modalità più agile ed immediata per l'esercizio del diritto di voto, garantendo in ogni caso il rispetto del contraddittorio tra le parti.

Obiettivo, quest'ultimo, coerente ed in linea con le direttive previste dalla legge delega.

Il voto, dunque, è espresso per iscritto, a mezzo posta elettronica certificata inviata al commissario giudiziale (art. 107, comma 8, CCII).

Per quanto concerne gli aspetti meramente procedurali, occorre rilevare che il menzionato art. 107 CCII prevede una rigorosa scansione temporale dei diversi adempimenti.

Infatti, fino a venti giorni prima del termine stabilito per il voto vi è la possibilità di modifica delle proposte di concordato.

Almeno quindici giorni prima della data stabilita per l'espletamento delle procedure di voto il commissario giudiziale informa i creditori circa i contenuti della relazione da lui redatta nonché in merito alle proposte definitive e concorrenti eventualmente presentate dai creditori (art. 107, comma 3).

Nei successivi dieci giorni viene instaurato il contraddittorio tra il debitore, il commissario giudiziale ed i creditori (oltre a coloro i quali abbiano, eventualmente, presentato delle proposte concorrenti). Ciascun creditore può, in questa sede, esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili le proposte di concordato ed altresì sollevare contestazioni in merito ai crediti ammessi; il debitore, invece, ha la facoltà di contestare i crediti nonché di esporre le ragioni in base alle quali le eventuali proposte concorrenti non possano essere ammesse (art. 107, comma 4, CCII).

Cinque giorni prima della data stabilita per il voto il commissario giudiziale procede al deposito della relazione definitiva contenente tutte le osservazioni svolte nelle fasi precedenti e comunica le medesime ai creditori (art. 107, comma 6, CCII).

Termine, quest'ultimo, modificato dal Decreto Correttivo che, all'art. 17, ha quantificato in sette giorni dalla data del voto il deposito della relazione definitiva e l'espletamento degli oneri comunicativi da parte del commissario giudiziale.

Inoltre, il medesimo articolo ha altresì circoscritto temporalmente il contenuto del successivo comma 7 dell'art. 107, prevedendo che i provvedimenti del giudice delegato debbano essere comunicati al debitore, ai creditori, al commissario giudiziale nonché a tutti i soggetti interessati “almeno due giorni prima della data stabilita per il voto”.

Per quanto concerne il calcolo delle maggioranze, l'art. 109 CCII ripropone la disciplina contenuta nell'art. 177 l.f.

Ai fini dell'approvazione del concordato è pertanto necessario il voto favorevole da parte della maggioranza dei crediti ammessi (e, nel caso in cui vi siano delle classi di creditori, la maggioranza delle classi).

Viene confermata la previsione che inibisce la partecipazione dei creditori privilegiati alle operazioni di voto, fatta eccezione del caso in cui i medesimi rinuncino, in tutto o in parte, al privilegio ed altresì l'ulteriore disposizione che parifica, a livello sostanziale, la posizione dei creditori privilegiati a quelli chirografari, qualora il bene su cui grava il privilegio risulti incapiente ed il piano non preveda la soddisfazione integrale.

Di recente introduzione è, invece, la disposizione del comma primo dell'art. 109 CCII che ha come obiettivo quello di mitigare la posizione di particolare rilievo rivestita da coloro i quali risultano titolari di posizioni creditorie particolarmente onerose.

Viene infatti previsto che nel caso in cui un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, il concordato è approvato se abbia riportato la maggioranza per teste dei creditori ammessi al voto”.

Occorre tuttavia rilevare come, seppur nell'apprezzabile intento di riequilibrare le rispettive posizioni dei creditori concorsuali, la previsione in esame attribuisca poteri particolarmente significativi alle cd. minoranze, consentendo loro di paralizzare le operazioni di voto in questa peculiare ipotesi.

Il comma quinto del medesimo art. 109 CCII, conformemente a quanto già previsto dalla l.f., esclude dalle predette operazioni di voto e dal computo delle maggioranze – in ragione dall'evidente conflitto di interessi che investe tali soggetti – il coniuge, i parenti e gli affini del debitore entro il quarto grado.

Occorre tuttavia precisare come il Codice della crisi abbia esteso tale disciplina altresì al convivente di fatto del debitore, a testimonianza di un sostanziale allineamento della disciplina delle procedure concorsuali alla mutata coscienza sociale che riconosce pari dignità all'unione matrimoniale ed a quella di fatto (per ulteriori approfondimenti sul punto v. Legge 20 maggio 2016 n. 76, cd. Legge Cirinnà).

Ciò detto, terminate le operazioni di voto appena descritte, il commissario giudiziale redige una apposita relazione all'interno della quale vengono inseriti i voti favorevoli e contrari espressi dai creditori, con l'indicazione nominativa dei votanti e dell'ammontare dei rispettivi crediti (art. 110, comma 1, CCII).

Tale relazione viene depositata in cancelleria entro il giorno successivo a quello della chiusura delle votazioni.

Giudizio di omologazione e fase esecutiva. In linea con la disciplina prevista dalla legge fallimentare, l'oggetto delle verifiche di competenza del tribunale concerne la procedura nel suo complesso, dal momento della proposizione della domanda di concordato sino all'approvazione da parte dei creditori.

Il tribunale, incaricato del giudizio di omologazione, procede alla verifica congiunta del regolare svolgimento della procedura, dell'ammissibilità giuridica della proposta, della fattibilità economica del piano predisposto dal creditore nonché degli esiti della votazione, tenendo conto della relazione svolta dal commissario giudiziale.

All'esito delle predette verifiche, e nell'ipotesi in cui le stesse abbiano avuto positivo esito, il tribunale procede all'omologazione del concordato con sentenza.

Nell'ipotesi in cui, invece, il tribunale decida di non omologare il concordato, lo stesso procederà eventualmente, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, a dichiarare con sentenza l'apertura della liquidazione giudiziale (art. 49 CCII).

Qualora il concordato preveda la cessione di beni, il tribunale, nella sentenza di omologazione, provvede alla nomina di uno o più liquidatori e di un comitato di creditori, determinando altresì le modalità di liquidazione (art. 114 CCII).

Il provvedimento adottato dal tribunale, sebbene efficace tra le parti dal momento della sua pubblicazione, necessita di essere iscritto nel registro delle imprese onde concludere le formalità necessarie affinché lo stesso possa esprimere la sua efficacia anche nei confronti dei terzi.

Inoltre, secondo quanto previsto dall'art. 51 CCII, le parti (o qualsiasi interessato) possono presentare reclamo contro la sentenza del tribunale che pronuncia sull'omologazione del concordato preventivo.

Il reclamo deve essere proposto con ricorso da depositare nella cancelleria della corte d'appello competente nel termine di trenta giorni decorrenti, per le parti, dalla data di notificazione del provvedimento a cura dell'ufficio e, per gli altri interessati, dalla data dell'iscrizione nel registro delle imprese.

Il predetto strumento, ai sensi dell'art. 116 CCII, può essere altresì utilizzato per contestare la validità di operazioni di trasformazione, fusione o scissione della società debitrice, qualora siano previste dal piano concordatario, precisando tuttavia che gli effetti di tali operazioni siano irreversibili in caso di successiva risoluzione o annullamento del concordato.

Particolare rilievo riveste la previsione di cui all'art. 115 CCIIper il tramite della quale viene concessa al liquidatore giudiziale la legittimazione all'esperimento di ogni azione finalizzata al recupero dei crediti del debitore o ad ottenere la disponibilità di beni del medesimo nonché la possibilità di esercitare l'azione sociale di responsabilità.

La fase esecutiva del concordato preventivo, invece, è disciplinata dagli artt. 114-118 CCII.

Ai sensi dell'art. 117 CCII il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione della domanda nel registro delle imprese.

Il debitore è tenuto a compiere ogni atto necessario al fine di dare esecuzione alla proposta omologata; ciò vale anche in caso di proposte concorrenti avanzate dai creditori.

Infatti, secondo quanto previsto dal comma quinto del medesimo articolo, i creditori che abbiano presentato la proposta di concordato, poi approvata ed omologata, possono denunciare al tribunale i ritardi e le omissioni del debitore nell'esecuzione della proposta medesima, mediante ricorso notificato al debitore ed al commissario giudiziale, potendo altresì richiedere l'attribuzione a quest'ultimo dei poteri necessari per adempiere in luogo del debitore.

Risoluzione e annullamento del concordato

La disciplina della risoluzione e dell'annullamento del concordato non è stata oggetto di modifiche significative a seguito della riforma.

L'art. 119 CCII riprende, infatti, i contenuti già delineati dall'art. 186 l.f. prevedendo che il concordato possa essere risolto nel caso di inadempimento da parte del debitore, ovvero quando non vengano costituite le garanzie promesse dal debitore o qualora il debitore non adempia regolarmente agli obblighi derivanti dal concordato.

Condizione essenziale, tuttavia, è che tale inadempimento non sia di scarsa importanza e sia tale, dunque, da giustificare la domanda di risoluzione.

Il termine per la proposizione dell'istanza di risoluzione è di un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato.

Giova segnalare, tuttavia, come la disciplina di recente introduzione abbia esteso il novero dei soggetti autorizzati alla presentazione dell'istanza al tribunale con l'obiettivo di far fronte a situazioni di inerzia da parte di creditori che non vogliano assumersi l'onere di richiedere giudizialmente la risoluzione del concordato.

Infatti, accanto alla generale legittimazione dei creditori, è stata aggiunta quella del commissario giudiziale (ove richiesto da un creditore) al fine di consentire una più rapida definizione del procedimento rispetto a quanto disposto in precedenza.

Nel caso di risoluzione del concordato preventivo potrà essere aperta la liquidazione giudiziale qualora uno o più soggetti legittimati abbiano assunto l'iniziativa in tal senso ed il tribunale accerti l'esistenza dello stato di insolvenza nonché la non sussistenza dei presupposti di cui all'art. 2, comma 1, lett. d), CCII.

Degna di nota è, da ultimo, la disposizione introdotta dall'art. 18 del Decreto Correttivo in tema di apertura della liquidazione giudiziale in caso di risoluzione del concordato.

È stato infatti previsto che, in tale ipotesi, il tribunale non potrà dichiarare aperta la liquidazione giudiziale qualora lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di accesso al concordato, venendo così a mancare uno dei presupposti legittimanti sopra menzionati.

Diversamente dalla risoluzione, l'annullamento del concordato può verificarsi allorquando il debitore abbia: i) dolosamente esagerato il passivo; ii) dissimulato o sottratto una parte rilevante dell'attivo.

L'istanza, ai sensi dell'art. 120 CCII, può essere proposta dal commissario o da qualunque creditore nel termine di sei mesi dalla scoperta del dolo e, in ogni caso, entro i due anni dalla scadenza del termine per l'ultimo adempimento previsto dal concordato.

La disciplina del concordato di gruppo

La disciplina relativa ai gruppi di imprese rappresenta una delle più interessanti novità introdotte dal Codice della crisi.

Gli artt. 284-292 CCII, contenenti un'organica disciplina del concordato di gruppo, rappresentano un vero e proprio spartiacque con il passato: in precedenza, infatti, il legislatore si è occupato del fenomeno dei gruppi in modo assai sporadico e disorganico, in coerenza con le risultanze dei dibattiti dottrinali e giurisprudenziali che escludevano radicalmente la configurabilità di un'insolvenza di gruppo.

Il Codice della crisi si è pertanto fatto carico dell'esigenza di prevedere una disciplina unitaria del fenomeno, onde scongiurare il proliferare di distinte procedure concorsuali per le diverse società facenti parte di un unico complesso imprenditoriale in dissesto e garantire al contempo la piena tutela dei creditori di ogni società attraverso un unico progetto di ristrutturazione finalizzato alla massimizzazione del valore degli asset delle imprese coinvolte.

Con riferimento all'ambito di applicazione delle disposizioni di nuova introduzione, l'art. 2, comma 1, lett. h), CCII definisce il gruppo di imprese come “l'insieme delle società, delle imprese e degli enti, escluso lo Stato, che, ai sensi degli artt. 2497 e 2545- septies del codice civile, sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica sulla base di un vincolo partecipativo o di un contratto”.

Trattasi, a ben vedere, di una definizione di netta derivazione codicistica che prende spunto dalla disciplina della direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 e ss. c.c. sebbene, differentemente da questi ultimi, venga inserito il riferimento all'esercizio della direzione e coordinamento anche da parte di una persona fisica e non soltanto da società o enti.

L'assetto appena descritto è stato tuttavia oggetto di modifiche ad opera del Decreto Correttivo di recente emanazione, il quale, da un lato, ne restringe l'ambito di applicazione inserendo tra i soggetti esclusi dalla disciplina dei gruppi di imprese gli enti territoriali e, dall'altro, ne amplia la portata includendo – oltre alle società o enti che sono sottoposti alla direzione e coordinamento – anche le società o enti che esercitano il suddetto controllo.

Accesso alla procedura. Le imprese rientranti nel perimetro di applicazione appena descritto, ove in stato di crisi o di insolvenza e aventi ciascuna il proprio centro principale di interessi nel territorio dello stato italiano, possono – ai sensi di quanto previsto dall'art. 284 CCII – proporre domanda di accesso al concordato preventivo presentando un unico ricorso.

Nel caso in cui le imprese del gruppo abbiano il proprio centro principale di interessi in circoscrizioni giudiziarie diverse, l'art. 286 CCII delinea due diversi criteri per l'individuazione del tribunale competente: in relazione al centro principale di interessi della società o ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento o, in mancanza, facendo riferimento all'impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria in base alle risultanze dell'ultimo bilancio approvato.

Il tribunale, qualora accolga il ricorso, provvede alla nomina di un unico giudice delegato e di un unico commissario giudiziale.

Si precisa tuttavia che, al fine di consentire al tribunale di effettuare una congrua attività valutativa, la domanda di accesso alla procedura deve contenere l'esposizione particolareggiata delle ragioni di maggiore convenienza sottostanti alla scelta di presentare un piano unitario ovvero piani tra loro interferenti, una serie di informazioni analitiche circa la struttura del gruppo ed i relativi vincoli contrattuali esistenti tra le imprese che ne fanno parte nonché il bilancio consolidato di gruppo, ove redatto.

In ogni caso, come già anticipato, viene prevista la possibilità di predisporre un piano unitario relativo a tutte le società del gruppo ovvero una pluralità di piani reciprocamente collegati.

Resta inteso che la scelta di predisporre un piano unitario o piani reciprocamente collegati non debba in alcun modo interferire con l'obiettivo del risanamento dell'esposizione debitoria e del riequilibrio della situazione finanziaria di ciascuna impresa coinvolta.

Per tali ragioni, ed in linea con la disciplina generale del Codice della crisi sul concordato preventivo, si richiede che un professionista indipendente attesti la veridicità dei dati aziendali nonché la fattibilità dalla proposta (o delle proposte) presentate.

Con riferimento, invece, al contenuto del piano, l'art. 285 CCII dispone che lo stesso possa prevedere la liquidazione di talune imprese la cui attività non risulti di manifesta utilità per il gruppo e proseguire l'attività principale mediante altre imprese del gruppo.

Anche per i gruppi di imprese si applica il criterio della prevalenza quale discrimen tra concordato liquidatorio e concordato in continuità, trovando spazio la disciplina di quest'ultimo qualora “confrontando i flussi complessivi derivanti dalla continuazione dell'attività con i flussi complessivi derivanti dalla liquidazione, risulta che i creditori delle imprese del gruppo sono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”.

Si prevede inoltre che il piano possa disporre l'esecuzione di operazioni contrattuali e riorganizzative, ivi inclusi trasferimenti di risorse infragruppo, a condizione che un professionista indipendente attesti che tali operazioni risultino necessarie ai fini della continuità aziendale e coerenti con l'obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo.

Le modalità dell'esercizio del voto da parte dei creditori nonché le maggioranze richieste per l'approvazione della proposta seguono le regole generali della disciplina concordataria.

Per ovvie ragioni, vengono esclusi dalla votazione i crediti infragruppo, vantati da altre società del gruppo nei confronti delle imprese ammesse alla procedura.

Al termine delle predette operazioni, il tribunale – sussistendone i presupposti ed all'esito delle verifiche di cui è investito – procede all'omologazione secondo le forme ordinarie.

Giova infine sottolineare una ulteriore peculiarità della disciplina del concordato di gruppo rispetto alle disposizioni generali in tema di risoluzione ed annullamento.

L'art. 286 CCII prevede infatti che il concordato di gruppo omologato non può essere risolto o annullato qualora i presupposti per la risoluzione o l'annullamento si verifichino soltanto rispetto a una o ad alcune imprese del gruppo, fatta eccezione per l'ipotesi in cui risulti significativamente compromessa l'attuazione del piano anche nei confronti di tutte le altre imprese.

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