Riedizione della gara a seguito di appello e conferma dell'aggiudicazione: ottemperanza o ricorso per l'annullamento?

Federica Grazioso De Pascale
04 Giugno 2021

Laddove l'esame delle censure formulate con un ricorso avverso un'aggiudicazione disposta a valle della riedizione di una gara disposta dal Giudice di appello hanno ad oggetto la violazione o elusione del giudicato della sentenza del Consiglio di Stato, tale esame ha quale ineludibile presupposto logico-giuridico l'interpretazione della sentenza d'appello e pertanto è un'attività di esclusiva competenza del giudice dell'ottemperanza che ha emesso il provvedimento.

Il caso. A seguito del giudizio di appello, la stazione appaltante - in esecuzione del dictum del Consiglio di Stato – ha proceduto ad una parziale riedizione della procedura di gara.

Tale procedura era stata oggetto di un primo giudizio definito con sentenza del T.A.R., poi riformata in appello, con la quale il Consiglio di Stato aveva ritenuto necessario un intervento suppletivo della Commissione di gara sulla specifica valutazione di equivalenza di due valori attribuiti ai concorrenti ai fini del punteggio finale.

La stazione appaltate, dopo aver nominato un consulente tecnico, aveva provveduto alla riedizione della gara confermando, successivamente, l'aggiudicazione già disposta (ed oggetto del primo ricorso proposto innanzi al TAR).

L'originaria ricorrente - poi appellante - contestava quindi con ulteriore ricorso al TAR l'esito della nuova procedura, determinatosi a seguito della sua parziale riedizione.

La stazione appaltante ne eccepiva l'inammissibilità poiché tutte le doglianze attenevano all'esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato e, pertanto, dovevano essere proposte innanzi allo stesso giudice d'appello mediante ricorso per ottemperanza.

L'iter motivazionale e le conclusioni del TAR. A giudizio del Collegio, l'eccezione sollevata dalla stazione appaltante è fondata ed il ricorso è inammissibile in quanto le censure avverso la nuova aggiudicazione sono state proposte mediante autonoma azione di annullamento laddove, viceversa, i rilievi posti alla base del ricorso attengono tutte all'attuazione della sentenza del Consiglio di Stato e, come tali, da sollevare tramite ottemperanza al diverso giudice funzionalmente competente.

Nello specifico, pur trattandosi di “un segmento di attività nuova” – e come tale connotata da margini di libertà decisionale – le censure sollevate sono rivolte a sindacare l'operato della Commissione successivo alla pronuncia del Consiglio di Stato e pertanto i margini di valutazione sulle censure medesime non possono che determinarsi “per sottrazione”.

In altre parole, la stessa distinzione tra ciò che si colloca “dentro” o “fuori” alla portata del giudicato, tra ciò che costituisce manifestazione di un potere confermativo dalla pronuncia e ciò che costituisce esercizio della residua discrezionalità da riconoscere all'amministrazione (a sua volta strumentale alla distinzione tra vizi di nullità per violazione/elusione del giudicato e illegittimità autonome), presuppone, sul piano logico prima che giuridico, una determinata interpretazione del dictum del Consiglio di Stato, che non può essere operata da un Giudice diverso da quello che ha emesso il provvedimento.

Ciò preclude in radice, pertanto, la possibilità di operare una distinzione tra vizi di “scorretta” esecuzione della sentenza e vizi propri della discrezionalità residua, arrestandosi all'esame dei secondi.

In definitiva, dichiarando inammissibile il ricorso, il TAR ha stabilito che nel caso in esame il solo Consiglio di Stato, quale giudice dell'ottemperanza, aveva il potere di sindacare sulla riedizione della gara, salva la possibilità di rimettere al diverso giudice competente l'esame delle questioni relative al “prosieguo dell'azione amministrativa che non impinge nel giudicato”.

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