Il problema della vaccinazione anticovid, in Italia, per le famiglie «senza fissa dimora»
Giovanni Iorio
09 Giugno 2021
Il diritto alla vaccinazione contro il Covid-19 dovrebbe essere garantito a tutti. Eppure le famiglie «senza fissa dimora» non sono state considerate, nel corso del 2021, dal Piano vaccinale. Il contributo cerca di fare luce su una realtà poco indagata, individuando alcune soluzioni operative che permetterebbero di riaffermare anche per i «senza fissa dimora» questo fondamentale diritto alla salute.
Le famiglie «senza fissa dimora»: una realtà poco conosciuta
Nel corso del 2021, la questione della vaccinazione anticovid delle famiglie «senza fissa dimora» non è stata inserita nell'agenda del legislatore e del governo. Il tema, anzi, sembra non esistere. E così, non si dice che una parte della popolazione attualmente presente in Italia rischia di non essere vaccinata.
Si muova, in primo luogo, da una definizione: sono «senza fissa dimora» le persone che si trovano nell'impossibilità e/o nell'incapacità di provvedere autonomamente al reperimento e al mantenimento di un'abitazione in senso proprio (Cass. 1° dicembre 2011, n. 25726).
Quanti sono? Difficile dirlo. Secondo un'indagine Istat, pubblicata nel 2015, in quel periodo erano 50.724 le persone senza fissa dimora. Questa rilevazione, tuttavia, risulta troppo datata, specie se si considera il periodo pandemico che ci accompagna da più di un anno. In questo quadro, la povertà crescente in Italia deve far riflettere: indagini più recenti evidenziano che, nel corso del 2020, 5,6 milioni di persone (pari al 9,4% della popolazione) hanno vissuto in una situazione di indigenza (https://www.istat.it/it/archivio, 4 marzo 2021). Ora, il numero delle persone che rientrano nella soglia della povertà, secondo gli indici elaborati dall'Istat, non corrisponde certo a coloro che si trovano senza fissa dimora. Tuttavia, l'impressionante dato getta più di un dubbio sull'attuale attendibilità delle rilevazioni fornite nel 2015. Si aggiunga, inoltre, che le proiezioni degli ultimi mesi sottolineano come siano circa 500.000 le persone destinate a non essere vaccinate.
La verità è che non si dispone di elementi ufficiali su quante siano, attualmente, le persone senza fissa dimora. Ancor meno si sa della composizione e delle dinamiche di questi nuclei familiari. Il che, però, non può costituire un'esimente per non discutere del tema e cercare di prospettare soluzioni, anche attraverso l'impiego di strumenti privatistici.
Le cure «urgenti» e «necessarie» per tutti (il nucleo «irriducibile» del diritto alla salute)
Il diritto alla salute spetta all'individuo in quanto tale (artt. 2,32, comma 1, Cost.). Pertanto, nei casi in cui venga in considerazione l'applicazione dei diritti che appartengono alla persona, è garantita la parità fra gli individui (italiani e stranieri europei o extraeuropei). Né, come è noto, a questa conclusione si può opporre il dato letterale rinvenibile nell'art. 3, comma 1, Cost. («tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»). Ormai da tempo, infatti, la Corte costituzionale insegna che «il principio di eguaglianza, pur essendo nell'art. 3 della Costituzione riferito ai cittadini, debba ritenersi esteso agli stranieri allorché si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, garantiti allo straniero anche in conformità dell'ordinamento internazionale» (Corte cost. 23 novembre 1967, n. 120; Corte cost., 31 luglio 2020, n. 186).
Le Carte sovranazionali confermano, costantemente, che è la «persona» ad essere titolare del diritto alla salute: si veda, ad esempio, l'art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948; l'art. 12 del Patto sui diritti economici, sociali e culturali, adottato nel dicembre del 1966 dall'Assemblea generale dell'ONU ed entrato in vigore il 3 gennaio del 1976; la dichiarazione di Alma Ata sull'assistenza sanitaria primaria, adottata dalla Conferenza internazionale sull'assistenza sanitaria tenutasi nel settembre del 1979; la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (la Carta di Nizza), proclamata il 7 dicembre 2000.
L'accenno alle fonti sovranazionali evidenzia, tra l'altro, come la nozione del diritto alla salute sia varia ed articolata. Si muove da un contenuto essenziale, caratterizzato dall'esigenza di assicurare all'individuo cure mediche «urgenti» e «necessarie», per giungere ad una definizione più ampia, comprensiva del diritto a condurre un tenore di vita idoneo a garantire la salute ed il «benessere» personale (il concetto, in quest'ultimo caso, si collega al riconoscimento di una serie di diritti sociali).
Ci si deve domandare, allora, se il diritto alla salute spetti ad ogni individuo (senza che si possano istituire differenze o gerarchie) anche quando esso venga declinato secondo un'accezione che richiama, ad esempio, il «benessere sociale». I giudici delle leggi, sul punto, hanno affermato che il legislatore può subordinare l'erogazione di determinate prestazioni, che non riguardino gravi situazioni di urgenza, al fatto che la permanenza dello straniero in Italia non abbia carattere episodico e non sia di breve durata (Corte cost. 30 luglio 2008, n. 306).
Questa impostazione ha trovato accoglimento nel d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, recante il «Testo unico delledisposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero». Qui si distingue la posizione degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia da quella degli stranieri presenti in maniera irregolare nel territorio italiano.
Quanto ai primi, l'attuale formulazione dell'art. 34, comma 1, d.lgs. n. 286/1998, stabilisce che hanno l'obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale e hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italianiper quanto attiene l'obbligo contributivo, l'assistenza erogata in Italia dal servizio sanitario nazionale e la sua validità temporale: «(a) gli stranieri regolarmente soggiornanti che abbiano in corso regolari attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo o siano iscritti nelle liste di collocamento; (b) gli stranieri regolarmente soggiornanti o che abbiano chiesto il rinnovo del titolo di soggiorno, per lavoro subordinato, per lavoro autonomo, per motivi familiari, per asilo, per protezione sussidiaria, per casi speciali, per protezione speciale, per cure mediche ai sensi dell'articolo 19, comma 2, lettera d-bis, per richiesta di asilo, per attesa adozione, per affidamento, per acquisto della cittadinanza; (b-bis) i minori stranieri non accompagnati, anche nelle more del rilascio del permesso di soggiorno, a seguito delle segnalazioni di legge dopo il loro ritrovamento nel territorio nazionale».
Quanto agli stranieri irregolari in Italia, non in regola cioè con le norme relative all'ingresso ed al soggiorno, sono assicurate «le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva» (art. 35, comma 3, d.lgs. n. 286/1998).
Sul significato da attribuire alle espressioni cure urgenti o comunque essenziali non sempre la nostra giurisprudenza ha manifestato posizioni univoche. Restando però al diritto positivo, si deve valorizzare il tenore letterale dell'art. 35, comma 2, del T.U. immigrazione. Questa disposizione, dopo aver previsto che sono assicurate le «cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali», aggiunge che sono«in particolare» garantite una serie di cure e tutele previste nelle successive lettere (dalla a alla e). Ai fini che qui interessano, la lettera (c) stabilisce che sono garantite«le vaccinazioni secondo la normativa e nell'ambito di interventi di campagne di prevenzione collettiva autorizzati dalle regioni». L'avverbio «in particolare» sta a significare che le cure previste dalle lettere (a), (b), (c), (d) ed (e) debbono intendersi come «urgenti e necessarie». E fra quest'ultime, come appena ricordato, vi sono le vaccinazioni ai fini di prevenzione collettiva.
In sintesi. Il diritto alla salute nel suo nucleo «essenziale» (inteso come diritto a cure «urgenti e necessarie») appartiene qualsiasi persona, a prescindere dalla cittadinanza italiana o straniera (e, in quest'ultimo caso, dalla presenza regolare o meno nel territorio italiano). E poiché la vaccinazione nell'ambito di campagne di prevenzione collettiva appartiene al suddetto novero di cure essenziali, non vi è dubbio che il diritto alla vaccinazione spetti a qualsiasi persona, nessuna esclusa.
Il diritto alla salute dei «senza fissa dimora» che siano cittadini italiani o stranieri regolarmente presenti nel territorio italiano
Il discorso, però, diventa più complesso quando ci si confronta con i senza fissa dimora. Tenendo presente il T.U. immigrazione, che individua due distinti corpi normativi, si deve aver riguardo in primo luogo ai senza fissa dimora che siano cittadini italiani o stranieri presenti regolarmente nel territorio italiano.
Ebbene, nell'ordinamento italiano, al fine di poter esercitare i fondamentali diritti civili e sociali, occorre l'iscrizione anagrafica: grazie ad essa, in particolare, vengono rilasciate la carta d'identità, la tessera sanitaria (con possibilità di scegliere il medico di base), la tessera elettorale. L'iscrizione anagrafica non è una «concessione» da parte dell'autorità competente, ma un vero e proprio diritto soggettivo per tutti i cittadini italiani e per quelli stranieri (europei o extraeuropei) regolarmente presenti nel Paese (Cass. Sez. Un. 19 giugno 2000, n. 449).
Per le persone con dimora stabile, ai fini dell'iscrizione anagrafica si utilizza il criterio della residenza che, per l'art. 43, comma 2, c.c., è «il luogo in cui la persona ha dimora stabile». Invece, per coloro che si trovino senza fissa dimora viene in considerazione, almeno in prima battuta, il criterio del domicilio, definito dal primo comma della citata norma codicistica come il luogo in cui la persona «ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi». Ed infatti, l'art. 2, comma 3, della l. 24 dicembre 1954, n. 1228 (recante l'«Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente»), prevede che «la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel comune dove ha stabilito il proprio domicilio. La persona stessa, al momento della richiesta di iscrizione, è tenuta a fornire all'ufficio anagrafe gli elementi necessari allo svolgimento degli accertamenti atti a stabilire l'effettiva sussistenza del domicilio. In mancanza del domicilio, si considera residente nel comune di nascita». Al fine di consentire all'ufficiale dell'anagrafe di accertare che la persona senza fissa dimora disponga di un luogo fisico corrispondente al proprio domicilio, varranno prove documentali, oltre alle dichiarazioni del diretto interessato. La sede dei propri interessi, così, potrà essere anche la mensa o un bar dove l'homeless si reca quotidianamente.
La persona così viene iscritta in una via fittizia: presso l'anagrafe, in sostanza, deve essere istituita una via territorialmente non esistente (fittizia, appunto), cui viene dato un nome convenzionale. Essa deve essere creata con un atto della giunta comunale. Nella realtà, tuttavia, non può certo dirsi che il diritto di iscrizione in parola abbia ricevuto un'effettiva e diffusa attuazione. Nel 2020, infatti, risulta che su un totale di circa 8.000 comuni, poco più di 200 (il 2,5%) abbiano istituito la via fittizia che consente l'iscrizione anagrafica alle persone senza fissa dimora (Dente, Vie Fittizie per i senza dimora: Comuni ancora in quarantena, in http://www.vita.it/it, 1° ottobre 2020).
Per questa via, la negazione del diritto soggettivo all'iscrizione anagrafica finisce per tradursi in un forte affievolimento del diritto alla salute. Ed infatti, la residenza consente di accedere al Servizio sanitario nazionale, ossia ad un sistema di strutture e servizi che hanno lo scopo di garantire, in condizione di uguaglianza, l'accesso all'erogazione equa delle prestazioni sanitarie, fra cui la somministrazione delle vaccinazioni.
Il diritto alla salute degli stranieri «senza fissa dimora» presenti irregolarmente in Italia
Gli stranieri irregolarmente presenti nel territorio in Italiano non possono iscriversi al SSN. La materia rientra nell'Accordo Stato-Regioni n. 255/CSR del 20 dicembre 2012, per il quale i cittadini dell'Unione europea senza la Tessera europea di Assicurazione malattia (TEAM), senza attestazione di diritto di soggiorno, senza requisiti per l'iscrizione al SSN accedono alle prestazioni sanitarie urgenti o essenziali, oltre ai programmi di medicina preventiva, attraverso un tesserino con codice ENI (Europeo non iscrivibile). Gli stranieri senza regolare permesso di soggiorno (Stranieri Temporaneamente Presenti - STP) non possono iscriversi all'SSN, ma accedono alle cure ambulatoriali urgenti o comunque essenziali, oltre che ai programmi di medicina preventiva, attraverso il rilascio di un tesserino con codice individuale STP.
Ora, la non iscrizione al SSN già di per sé preclude l'accesso ad una serie di prestazioni mediche che spettano invece a coloro che di quel servizio fanno parte.
Ma non solo. Pure la fruizione di cure urgenti e necessarie potrebbe essere problematica per chi si trova nel territorio italiano in situazione di irregolarità e senza una fissa dimora. È vero che in base all'art. 35, comma 5, del T.U. immigrazione, «l'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano». Tuttavia, non può negarsi come il timore di segnalazione all'autorità giudiziaria costituisca di fatto una forte remora nel chiedere assistenza agli apparati pubblici. Si aggiunga, inoltre, che i problemi di comunicazione linguistica ed i differenti approcci culturali al tema della salute rendono di fatto ancora più difficoltosa la richiesta di assistenza in quei casi in cui l'intervento del medico sia urgente e necessario.
Il Piano vaccinale ed i «senza fissa dimora»: due realtà separate
Prima della diffusione epidemica del Covid-19, databile agli inizi del 2020, esisteva un Piano nazionale della prevenzione vaccinale (PNPV) 2017-2019. Tra i suoi obiettivi vi era il contrasto alle disuguaglianze attraverso la promozione di interventi vaccinali nei gruppi di popolazioni marginalizzati o particolarmente vulnerabili. In questi gruppi erano compresi anche i migranti irregolari, i rifugiati e i richiedenti asilo, per i quali si auspicavano strategie e azioni ad hoc.
Invero, con il diffondersi del coronavirus tutti i Paesi hanno avvertito la necessità di adottare nuove strategie. Rimanendo ai provvedimenti più recenti, si deve avere riguardo, in Italia, al decreto del Ministero della salute del 12 marzo 2021, recante l'approvazione del «Piano strategico nazionale delle infezioni da SARS-CoV-2». Il Piano è costituito dal documento denominato «Elementi di preparazione e di implementazione della strategia nazionale» di cui al decreto del Ministero della salute del 2 gennaio 2021; ed è costituito dal documento denominato «Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti SARS-CoV-2/COVID 19 del 10 marzo 2021», redatto dal Ministero della salute di concerto con la Presidenza del Consiglio dei ministri, l'Istituto superiore di sanità, l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) e l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Questi provvedimenti non si occupano dei «senza fissa dimora».
Ed ancora, con ordinanza del 9 aprile 2021, n. 6, il Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica e per l'esecuzione della campagna vaccinale nazionale, ha disposto che (in linea con il Piano nazionale approvato con decreto del 12 marzo 2021), la vaccinazione debba rispettare il seguente ordine di priorità: persone di età superiore agli anni 80; persone con elevata fragilità e, ove previsto dalle Raccomandazioni ad interim, familiari conviventi, genitori, tutori, affidatari; persone di età compresa tra i 70 e i 79 anni e, a seguire, di età inferiore.
Sempre il Commissario straordinario, con ordinanza del 24 aprile 2021, n. 7, ha individuato una serie di soggetti, non iscritti al SSN, e cionondimeno rientranti nel programma divaccinazione grazie al provvedimento loro dedicato. Fra questi, vi sono i cittadini italiani iscritti all'AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all'estero), che vivono temporaneamente sul territorio italiano, nonché i dipendenti delle Istituzioni dell'Unione europea ed i relativi familiari che vivono sul territorio nazionale (art. 1). Gli enti che detengono gli elenchi di queste persone sono tenuti a comunicarli al «Sistema tessera sanitaria» gestito dal Ministero dell'economia e della finanza. Il Sistema, quindi, procede alla creazione di un «codice» che servirà per prenotare la somministrazione del vaccino (art. 2).
Non è certo facile orientarsi all'interno dei diversi provvedimenti emanati, molti dei quali non possiedono il rango di legge o di atti equiparati alla legge. Almeno una considerazione, peraltro, deve essere compiuta. Ben vengano, sia chiaro, norme che (in attuazione dell'art. 32 Cost.) predispongono le condizioni «operative» affinché anche i non iscritti al SSN possano accedere alla vaccinazione. Non si comprende, però, per quale ragione i senza fissa dimora siano rimasti esclusi dall'ultimo provvedimento citato (nonché da quelli precedenti del legislatore emergenziale).
Non vale la pena soffermarsi troppo sui motivi che consentono di individuare nelle persone che vivono per strada una categoria di soggetti «estremamente vulnerabili»: non disporre di una casa vuol dire, per ciò solo, versare in situazioni drammatiche dal punto di vista economico, sociale, psicologico e psichiatrico; vuol dire, ancora, essere esposti continuamente a situazioni di degrado e alla possibilità di contrarre più facilmente una serie di malattie che non si è in grado di curare adeguatamente. Significa pure, a guardare le cose secondo una prospettiva generale, non mettere in sicurezza l'intera popolazione contro il rischio di contrarre il Covid-19. Sulla base di questi rilievi, non soltanto i senza fissa dimora dovrebbero essere inseriti nelle categorie di persone da vaccinare prioritariamente rispetto alle altre; nei loro confronti dovrebbero essere dispiegati pure una serie di strumenti specifici in grado di consentire effettivamente l'esercizio del diritto alla salute. Diversamente, il rischio – per nulla teorico – è che l'auspicata previsione della «precedenza» nella somministrazione si risolva in una sterile proclamazione.
Si potrebbe dire, a questo punto: è vero che i senza dimora non sono stati ricondotti in una categoria a sé stante dai provvedimenti che negli ultimi mesi si sono succeduti. Tuttavia, proprio perché il diritto alla vaccinazione riguarda tutti (nessuno escluso), gli stessi comunque potranno accedere alla somministrazione mettendosi in fila; e magari in quelle file preferenziali allorché dimostrino di possedere determinate patologie (malattie respiratorie, oncologiche, e così via) descritte nel Piano vaccinale. In realtà, le attuali regole di somministrazione del vaccino escludono che in molti casi ciò possa avvenire, giacché la non iscrizione al Servizio sanitario nazionale preclude l'accesso alla campagna vaccinale. In questo modo, una parte dei senza fissa dimora sono destinati a rimanere senza vaccino.
In conclusione
A coloro che non siano iscritti al SSN e siano presenti nel territorio italiano dovrebbe essere attribuito un «codice» per la prenotazione vaccinale. Pare essere, questa, la via più veloce e semplice per assicurare sin da subito l'esercizio del diritto alla vaccinazione, pur in assenza di altri interventi di cui poc'anzi si è fatto cenno. La previsione di un codice individuale dovrebbe accompagnarsi ad un (minimo) piano organizzativo in grado di intercettare la platea dei destinatari e di convogliarla verso i presidi territoriali in cui ricevere la somministrazione.
Ed in assenza di interventi legislativi? Ebbene, accanto alla fondamentale azione degli enti non profit potrebbe valorizzarsi in materia l'istituto dell'amministrazione di sostegno. Appare difficilmente discutibile il fatto che (almeno nella gran parte dei casi) la persona senza tetto si trovi in una situazione di menomazione fisica e/o psichica (cfr. l'art. 404 c.c.); e che questa situazione incida sulla possibilità di provvedere «ai propri interessi» (nel caso che ci occupa, alla vaccinazione). L'amministratore di sostegno nominato dal tribunale, dunque, potrà essere investito di una serie di compiti. In particolare: (a) assisterà la persona nella pratica di iscrizione anagrafica dei senza fissa dimora, occupandosi di profili burocratici e legali che appaiono di difficile gestione per chi si trovi in una situazione di indigenza; (b) avrà cura, ove possibile, di contattare la famiglia dell'indigente, attivandosi per il compimento di tutti quegli atti che fossero necessari nell'interesse dell'amministrato. Non si scordi, infatti, che i familiari sono tenuti, ai sensi dell'art. 433 c.c., al mantenimento di chi si trovi in uno stato di bisogno. Se è vero che la persona interessata ha la «facoltà» di domandare gli alimenti ai sensi dell'art. 438, comma 1, c.c. (il che esclude l'ipotesi di un'azione pubblica surrogatoria), un soggetto preposto alla cura della persona bisognosa potrebbe aiutare la stessa ad ottenere l'adempimento dell'obbligo alimentare; (c) assisterà l'amministrato nel compimento di quegli atti necessari per accedere alla vaccinazione (ad esempio: prenotazione on line, comunicazione del primo appuntamento e del richiamo, e così via).
Si noti un particolare, che potrebbe avere rilievo non soltanto ai fini del radicamento della competenza territoriale. Ai sensi del ricordato art. 404 c.c. l'amministratore di sostegno è nominato dal giudice tutelare del luogo in cui la persona bisognosa ha la residenza o il domicilio. Ebbene, il giudice che nomina un amministratore accerta e riconosce, per ciò stesso, che il beneficiario ha il domicilio in un determinato luogo: questo accertamento potrebbe essere fatto valere dall'amministratore che si occupi, in nome e per conto del senza tetto, dell'iscrizione anagrafica presso la via fittizia (iscrizione che, come ricordato in precedenza, richiede la verifica del domicilio della persona).
Ad essere nominati amministratori di sostegno potrebbero essere, ove esistenti, gli stessi uffici del comune che si occupano istituzionalmente della gestione della tutela giuridica delle persone. L'idea è quella della creazione di un circolo «virtuoso» che: inizi dall'istanza per la nomina di un amministratore di sostegno da parte dei servizi sociali (art. 406, comma 3, c.c.); prosegua con l'iniziativa degli uffici comunali che, nella veste di amministratori di sostegno, propongono l'iscrizione anagrafica dei senza tetto; termini con l'atto di iscrizione da parte degli uffici comunali competenti.
Si potrebbe affermare, in senso contrario, che l'amministrazione di sostegno non è nata per le finalità sopra accennate. In realtà, se c'è un istituto a protezione delle persone deboli che possiede una naturale capacità espansiva, esso è proprio quello in parola. Del resto, non si prospetta un'inammissibile forzatura nel momento in cui si afferma che gli indigenti si vengono a trovare quasi sempre in una situazione di menomazione fisica o psichica che impedisce di provvedere ai propri interessi (nel caso di specie, di esercitare un diritto fondamentale come quello della salute).
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Sommario
Le famiglie «senza fissa dimora»: una realtà poco conosciuta
Le cure «urgenti» e «necessarie» per tutti (il nucleo «irriducibile» del diritto alla salute)
Il diritto alla salute dei «senza fissa dimora» che siano cittadini italiani o stranieri regolarmente presenti nel territorio italiano
Il diritto alla salute degli stranieri «senza fissa dimora» presenti irregolarmente in Italia
Il Piano vaccinale ed i «senza fissa dimora»: due realtà separate