Donazione di immobile al figlio coniugato, il bene rientra nel regime di comunione?

09 Giugno 2021

Un genitore mediante atto pubblico vorrebbe donare al figlio sposato e in regime di comunione di beni un'unità immobiliare da destinare a sua abituale dimora. A questo punto, il bene è di esclusiva proprietà del figlio oppure rientra nel regime di comunione dei beni?

Quando un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni effettua un'operazione immobiliare, occorre stabilire - ove il contratto sia stato sottoscritto da un solo coniuge - se il bene sia di proprietà esclusiva di colui che formalmente ha effettuato l'acquisto o se anche l'altro coniuge possa vantare dei diritti (evidentemente, invece, il problema non si pone ove entrambi i coniugi procedano all'acquisto dato che ivi scatterà la comproprietà). Il nostro ordinamento al riguardo detta una regola generale (all'art. 177, comma 1 lettera a) c.c.), ma al tempo stesso sancisce una serie di eccezioni alla stessa (art. 179 c.c.). In base alla regola generale costituiscono oggetto della comunione “gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali”, con la conseguenza che quando un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni acquista da solo un immobile, il cespite automaticamente cade in comunione legale dei beni e ciò a prescindere dalla volontà sia del coniuge che ha sottoscritto il contratto sia di quello che non vi ha partecipato: la logica sottesa a detta previsione, introdotta per effetto della riforma del diritto di famiglia regolata dalla Legge 19 maggio 1975 n. 151, è quella di rendere ambo i coniugi partecipi della ricchezza familiare non rilevando chi sia il soggetto che formalmente ha sottoscritto il contratto che determina il trasferimento del bene, in quanto si può ragionevolmente presumere che l'acquisto immobiliare sia il frutto di una cooperazione familiare e dei comuni sacrifici. Costituisce eccezione al principio, l'acquisto di beni “per effetto di donazione o successione, quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione” con la conseguenza che quando un soggetto coniugato in regime di comunione legale dei beni riceve da solo per donazione un immobile, il cespite è di sua esclusiva titolarità senza che, quindi, il coniuge possa vantare pretese di sorta; la logica sottesa a detta previsione, anch'essa introdotta per effetto della riforma del diritto di famiglia regolata dalla Legge 19 maggio 1975 n. 151, è duplice: da un lato quella di “valorizzare” l'elemento volitivo facente capo al donante (il c.d. animus donandi) il quale, come intuibile, vuole arricchire per puro spirito di liberalità un soggetto ben determinato e non il nucleo familiare in genere e dall'altro non vi è l'esigenza di dover rendere il coniuge del donatario partecipe di una ricchezza derivante non dagli sforzi familiari comuni bensì dalla volontà puramente liberale di un soggetto terzo. Tuttavia, nulla vieta al donante - come del resto il cit. art. 179, comma 1 lettera b), c.c. espressamente consente - di attribuire il bene donato anche al coniuge del donatario: deve, però, trattarsi di una specifica previsione inserita nell'atto di donazione che, in quanto tale, richiede il consenso di tutti i soggetti coinvolti (donante, donatario e coniuge).

Pertanto, per rispondere al quesito, il genitore può stipulare l'atto di donazione a favore del figlio che, senza che occorrano né il consenso della nuora né specifiche previsioni contrattuali, diverrà esclusivo proprietario dell'immobile.

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