No all'adottabilità del minore se sussiste un legame con i genitori, anche quando questi ultimi presentino evidenti carenze

10 Giugno 2021

Come valutare lo stato di abbandono del minore quando sia presente un legame del bambino con i genitori e quando è necessario l'ascolto della famiglia affidataria in regime di affidamento preadottivo?
Massima

La famiglia che accoglie il minore in affidamento preadottivo non deve essere sentita nel giudizio di impugnazione del provvedimento che dichiara lo stato di adottabilità. Lo stato d'abbandono del minore non può essere determinato, in via prevalente o esclusiva, dall'incapacità dei genitori di elaborare un progetto di vita futura con il minore, ma deve invece tenersi conto dell'attaccamento del figlio ai genitori biologici, che costituisce elemento decisivo per escludere l'ipotesi dell'adozione

Il caso

Il Tribunale per i Minorenni di Milano dichiarava lo stato di adottabilità di un bambino a causa delle gravi carenze genitoriali della mamma (dalla relazione del servizio sociale competente risultata incapace di organizzarsi per soddisfare i bisogni primari del figlio, che aveva instaurato con lei un legame insicuro ed ambivalente) e della personalità insicura ed immatura del padre, che a sua volta aveva dimostrato scarse risorse genitoriali.

La Corte d'appello, in accoglimento dell'impugnazione proposta dai genitori, revocava lo stato di adottabilità, ritenendo che - sebbene la madre avesse mostrato elementi di inadeguatezza genitoriale tali da rendere opportuna la collocazione del minore al di fuori dalla comunità che lo aveva ospitato insieme alla stessa - i comportamenti censurati non fossero tali da costituire grave ed irreversibile abbandono morale del minore.

A parere del giudice di secondo grado, infatti, le incapacità dei genitori non erano tali da rendere impossibile un progetto di sostegno al bambino che permettesse di evitare l'allontanamento definitivo dalla famiglia; tuttavia, in attesa delle determinazioni da assumere ex art. 330 c.c. e ss., la Corte territoriale riteneva comunque necessario proseguire nella provvisoria sospensione della responsabilità genitoriale e nell'interruzione dei rapporti con i genitori ed i parenti, e mantenere il collocamento del minore nella famiglia affidataria.

Il curatore speciale del minore proponeva ricorso per la cassazione della decisione, deducendo sia la nullità della sentenza per mancata audizione della famiglia affidataria, sia per illogicità della decisione che, pur avendo accertato l'incapacità genitoriale - tanto da confermare l'interruzione dei rapporti tra il minore ed i suoi familiari e del mantenimento del bambino presso la famiglia affidataria – aveva poi fondato la pronuncia su una mera speranza di recupero.

La questione

Come deve essere valutato lo stato di abbandono del minore quando sia presente un legame del bambino con i genitori, e quando è necessario l'ascolto della famiglia affidataria in regime di affidamento preadottivo.

Le soluzioni giuridiche

La prima questione da esaminare è relativa alla dedotta nullità della sentenza di secondo grado per violazione dell'art. 5, comma 1, della legge n. 184/1983 - come modificato dalla legge n. 173/2015 - per difetto di convocazione della famiglia affidataria.

La Corte ha rigettato il motivo, rilevando che la norma invocata si applica esclusivamente all'affidamento familiare – previsto dal titolo I bis della norma (articoli 2-5) - ontologicamente diverso dall'affidamento preadottivo.

Il giudice di legittimità ha precisato che l'obbligo di sentire la famiglia affidataria è stato introdotto dalla legge n. 173/2015 per porre rimedio ai frequenti casi di affidamenti di lunga durata (per il prolungarsi della situazione d'inidoneità dei genitori oltre il termine previsto) per tutelare i minori "a rischio adozione" e le famiglie affidatarie che con questi ultimi hanno instaurato un legame di natura genitoriale. Con l'estensione del contraddittorio agli affidatari, infatti, la norma consegue lo scopo di far conoscere al giudice il loro peculiare punto di vista in “relazione agli interessi del minore”, e consente che le decisioni siano assunte tenendo conto “del grado di stabilizzazione” e della qualità della relazione, in funzione di un equilibrato sviluppo del minore (Cass. civ. sez. I, 5 agosto 2020 n.16695 «Ai sensi dell'art. 5, comma 1, l. n. 184/1983, gli affidatari o l'eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti di adottabilità dei minori»; Cass. civ. sez. I, 15.11.2017, n.27137 «L'art. 5, comma 1, legge n. 148 del 1983, così come modificato dall'art. 2, legge n. 173/2015, dispone che l'affidatario o l'eventuale famiglia collocataria devono essere convocati a pena di nullità nei procedimenti civili in materia di affidamento e adottabilità del minore»).

Quando invece, a seguito di dichiarazione di adottabilità, il minore viene collocato in una famiglia in affidamento preadottivo, la condizione è diversa: si interrompono i rapporti con i genitori biologici, che perdono la responsabilità genitoriale, e il Tribunale per i minorenni, ai sensi dell'art. 15, comma 2 delle medesima legge n. 184/1983, decide in camera di consiglio «sentito il pubblico ministero, nonché il rappresentante dell'istituto di assistenza pubblico o privato o della comunità di tipo familiare presso cui il minore è collocato o la persona cui egli è affidato …» riferendosi chiaramente solo a quei soggetti che hanno avuto in carico il minore prima che, con la dichiarazione di adottabilità, si procedesse a modificare lo status filiale.

Con il secondo motivo è stata invece dedotta la violazione degli articoli 8 e seguenti della legge n. 184/1983 e vizio di motivazione perché il giudice del gravame avrebbe ritenuto accertata l'incapacità genitoriale dei genitori biologici - tanto da confermare sia l'interruzione dei rapporti tra il minore ed i suoi familiari, sia il collocamento del bambino presso la famiglia affidataria – ma poi avrebbe revocato lo stato di adottabilità sulla base di aspetti sentimentali e mere speranze di recupero, in difetto di una effettiva prova della possibilità di recuperare capacità e competenze, così da offrire al figlio una adeguato contesto familiare, in tempi compatibili con le esigenze del minore stesso.

Il motivo è stato ritenuto inammissibile in quanto finalizzato a una diversa valutazione di merito della capacità genitoriale degli appellanti, tuttavia la Cassazione ha precisato che nella decisione impugnata la Corte d'appello aveva sottolineato che dall'ultima relazione del servizio sociale era emersa una importante relazione affettiva della madre con il minore e un sincero attaccamento al figlio, e che, inoltre, il padre aveva iniziato a condurre una vita regolare.

Il giudice di appello, quindi, aveva ritenuto che la separazione del bambino dalla mamma avrebbe comportato «uno stress intenso incidente sul rischio evolutivo, da compensare con cure sostitutive», e, pertanto, operando un bilanciamento tra le criticità dei genitori biologici e l'interesse del minore, aveva ritenuto opportuno non recidere il legame con la famiglia di origine, valutazione comunque non sindacabile nel giudizio di cassazione.

La Suprema Corte, pertanto, ha ribadito che per la dichiarazione dello stato di abbandono è necessario che difetti, da parte dei genitori biologici, quel minimo di cure materiali e psicologiche indispensabili per la crescita del minore (cfr. Cass. civ. n. 3654/2020 e n. 14914/2020) e che sia accertata l'impossibilità di un concreto recupero.

Quando sussiste un interesse del minore a conservare il legame con i genitori, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, lo stato di abbandono non può infatti essere dichiarato, poiché l'adozione legittimante costituisce la "extrema ratio", cui può pervenirsi solo nell'ipotesi in cui tale interesse non si ravvisi (principio recentemente ribadito da Cass. civ. sez. I – 25 gennaio 2021 n. 1476).

Prima di procedere a una radicale recisione del legame con i genitori biologici, quindi, occorre svolgere un'indagine approfondita, che tenga conto di tutti i profili che riguardano i diritti del minore, primo tra tutti quello a non tagliare definitivamente il rapporto con la famiglia di origine (cfr. Cass. civ. sez. I – 13 febbraio 2020, n. 3643)

Con il terzo motivo, infine, la pronuncia della corte territoriale è stata censurata per il mancato esame del fatto decisivo della «mancata elaborazione e rappresentazione di un progetto di recupero della funzione genitoriale» da parte dei genitori.

Anche tale censura è stata dichiarata inammissibile perché finalizzata a una diversa valutazione della capacità genitoriale degli appellanti, ma anche al riguardo la Suprema Corte ha precisato che il giudizio sullo stato d'abbandono non può essere determinato in via prevalente o esclusiva dalla capacità di proporre un progetto di vita futura con il minore.

Il giudice di legittimità ha ricordato che proprio l'articolo 1 della legge n. 184/1983 prevede espressamente il sostegno pubblico alle situazioni di criticità, per favorire il mantenimento delle relazioni genitoriali, talché occorre accertare in primo luogo che vi sia la concreta possibilità di supportare i genitori affinché gli stessi sviluppino il loro rapporto con il minore, avvalendosi anche del servizio sociale territorialmente competente (Cass. civ. ord. 27 marzo 2018, n. 7559).

Solo quando risulti che, nonostante il sostegno alla famiglia, non sia possibile rimuovere la condizione di disagio e difficoltà, o non si preveda un recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, può essere dichiarato lo stato di adottabilità (Cass.civ. sezione I, 22 settembre 2020 n. 19825; Cass. civ. 27 novembre 2017, n. 22589; Cass. civ. ord. 21 giugno 2018, n. 16357).

Nel caso all'esame della Corte di Cassazione, in definitiva, poiché dalla sentenza impugnata emergeva “un nucleo positivo che esclude lo stato di abbandono” e un attaccamento del bambino ai genitori biologici, ma al contempo sussisteva la necessità di un intervento integrativo delle capacità deficitarie da attuarsi anche mediante l'affido eterofamiliare, la decisione della Corte territoriale è stata resa correttamente in quanto la stessa, pur rimettendo al Tribunale per i minorenni l'adozione dei provvedimenti ai sensi dell'art. 330 c.c., ha consentito la conservazione del legame affettivo e relazionale con la famiglia di origine.

Osservazioni

Con riferimento alla questione processuale del mancato ascolto della famiglia alla quale il minore era stato affidato dopo la decisione di primo grado, le argomentazioni della Suprema Corte – che ha ritenuto che la norma invocata (art 5 legge adozione) non sia applicabile all'affidamento preadottivo - paiono corrette.

Ulteriori argomentazioni a sostegno di tale decisione, peraltro, possono trarsi dalla lettura dell'art. 17 della medesima legge n. 184/1983, che prevede che il giudizio di impugnazione deve essere deciso “sentite le parti”: non vi è dubbio infatti che con tale espressione si intendano le parti processuali che hanno preso parte al giudizio di adottabilità, fra le quali deve escludersi che rientri la famiglia dell'affidamento preadottivo, che interviene solo in un momento successivo (si consideri altresì che Cass. civ. sez. I, 10 luglio 2019, n.18542 ha inoltre stabilito che «Gli affidatari di minori, ex art. 5, comma 1, l. n. 184 del 1983 (affido eterofamiliare), così come sostituito dalla l. n. 173 del 2015, devono essere convocati a pena di nullità anche nei procedimenti in tema di responsabilità genitoriale ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore oltre a poter rivolgere segnalazioni o richieste al Pubblico Ministero affinché attivi il procedimento de potestate ma non hanno la qualità di parti)».

Sempre con riferimento al dato normativo, si evidenzia altresì che gli articoli 23 e 24 della legge n. 184/1983 prevedono, rispettivamente, che si debba sentire o, se occorre, si possa sentire, la famiglia alla quale il minore è stato affidato dopo la dichiarazione dello stato di adottabilità, ma con specifico riferimento alla decisione sulla revoca dell'affidamento preadottivo stesso, o all'impugnazione del decreto che ha disposto tale affidamento, restando escluse le altre ipotesi.

Per quanto concerne invece la sussistenza dei requisiti per la dichiarazione di adottabilità, la decisione in commento si inserisce nel solco della giurisprudenza più recente che considera la dichiarazione dello stato di abbandono e la successiva adozione quale extrema ratio, da adottare esclusivamente allorché le capacità genitoriali dei genitori biologici siano completamente compromesse, tanto da far venir meno l'interesse del minore alla conservazione del legame.

È utile ricordare che nel 2013 il legislatore, con il d.P.R. 154 del 28 dicembre, ha modificato l'art. 15, comma 1, lettera C) della legge n. 184/1983 disponendo che lo stato di adottabilità può essere dichiarato quando «le prescrizioni impartite ai sensi dell'articolo 12 sono rimaste inadempiute per responsabilità dei genitori ovvero è provata l'irrecuperabilità delle capacità' genitoriali dei genitori in un tempo ragionevole», mentre la giurisprudenza, sin dal 2008 (in particolare il Tribunale di Bari) aveva introdotto la cosiddetta “adozione mite”, con la quale si dichiara lo stato di “semiabbandono permanente” da parte dei genitori biologici, con i quali il minore non interrompe il proprio legame, che viene però affiancato da quello con gli adottanti, che hanno il compito di supplire alle carenze dei primi (la veste giuridica utilizzata è quella dell'art. 44 lett. d) della legge n. 184/1983)

Del resto, anche la corte EDU, in applicazione dell'art. 8 CEDU, ha più volte stabilito che prima di pronunciare la dichiarazione di adottabilità, il giudice deve preliminarmente accertare se sussista o meno l'interesse del minore a conservare il legame con i suoi genitori biologici, anche se gli stessi presentino carenze nelle loro capacità di cura. La norma ha lo scopo di limitare le ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici nella vita familiare, imponendo agli stati di intraprendere azioni positive che garantiscano il rispetto effettivo della vita familiare e di predisporre strumenti giuridici volti a garantire l'effettività dei diritti degli interessati, in particolare quelli dei minori, anche in caso di conflitto tra i genitori.

È interessante notare, però, che nella decisione in commento (Cass. ord. n. 9456/2021) non si fa riferimento alcuno alla valutazione dei tempi di recupero necessari per rimediare alle criticità che i genitori hanno evidenziato, elemento che, invece, è stato valorizzato in numerose recenti pronunce, in cui si è affermato che il diritto del minore a crescere nella famiglia di origine presuppone che si possa prevedere un recupero delle capacità genitoriali in tempi ragionevoli e compatibili con la superiore esigenza del minore stesso di crescere in modo equilibrato (Cass. civ. sez. I, 22 settembre 2020, n.19825; Cass. civ., sez. I, 4 dicembre 2019, n. 31672; Cass. civ., sez. I, 3 ottobre 2019, n. 24791)

Riferimenti

V. Montaruli, I nuovi confini dell'adozione all'insegna della continuità affettiva, in ilFamiliarista;

Trib. min. Bari 7 maggio 2008, in Fam. dir., 2009, 4, 393

Lydia Ardito, L'adozione mite: dalla sperimentazione all'applicazione, in IlFamiliarista;

Alberto Figone, L'adozione mite e la situazione di semi – abbandono, in IlFamiliarista;

Dogliotti M., Adozione e affidamento, in, Filiazione, Pratica professionale Fam. (a cura di) Annamaria Fasano - Alberto Figone

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