Deposito a mezzo PEC nel processo penale: conseguenze della scelta di casella errata

Giuseppe Vitrani
14 Giugno 2021

Sono inammissibili i motivi nuovi trasmessi alla Cassazione tramite PEC ad una casella di posta diversa da quella indicata dal provvedimento del 9 novembre 2020, emesso dal DGSIA, ai sensi dell'art. 24, c. 4, d.l. n. 137/2020, conv. con mod. dalla l. n. 176/2020.
Massima

“Sono inammissibili i motivi nuovi trasmessi alla Corte di cassazione tramite posta elettronica certificata ad una casella di posta diversa da quella indicata dal provvedimento del 9 novembre 2020, emesso dal direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176”.

Il caso

Il caso scrutinato dalla Corte di Cassazione presenta aspetti interessanti dal punto di vista del diritto emergenziale e si inserisce nell'ambito di un procedimento penale in cui due soggetti erano stati giudicati responsabili dei reati di cui agli articoli 110 e 437 cod. pen., per avere omesso di attuare idonee cautele per prevenire gli infortuni sul lavoro.

In particolare veniva affermata la concorrente responsabilità degli imputati che, nella condivisa qualità di imprenditori e datori di lavoro, aprivano e gestivano un cantiere edile senza rispettare alcuna disposizione antinfortunistica con riguardo ai rischi di folgorazione, di caduta, d'inciampo, di crollo e in generale di prevenzione degli infortuni sul lavoro, impiegando, senza alcuna protezione e senza dispositivi di protezione individuale, numerosi operai, mai formati sui rischi specifici del cantiere, costretti a lavorare in condizioni pericolose e precarie, senza parapetti e cinture di sicurezza, così esponendoli a gravi rischi per la propria incolumità fisica.

Nel contesto di siffatto procedimento si poneva una istanza di trattazione in pubblica udienza e motivi nuovi, inviata a mezzo PEC e contenente varie eccezioni, in particolare di inutilizzabilità di parte dei verbali dei giudizi precedenti, l'intervenuta prescrizione del reato e l'inutilizzabilità degli atti di ispezione redatti dall'Istituto Nazionale del Lavoro.

La questione

Come emerge dall'analisi del caso, nell'ambito del giudizio di Cassazione si è posta una questione di primaria importanza in relazione all'istanza di trattazione in pubblica udienza e di trasmissione di motivi nuovi.
Segnatamente, si è trattato di discutere dell'ammissibilità dell'istanza in quanto trasmessa ad indirizzo PEC diverso da quello indicato all'interno del provvedimento del 9 novembre 2020, emesso dal direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 (cd. specifiche tecniche DGSIA), e oltretutto senza il rispetto del termine previsto per la proposizione dell'istanza stessa.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione ha risposto in maniera molto chiara, sanzionando l'atto con una doppia inammissibilità e rilevando in particolare:

  • la tardività della richiesta di trattazione orale in pubblica udienza in quanto trasmessa oltre il termine di venticinque giorni liberi prima dell'udienza, come previsto dall'art. 23, comma 8, d.l. 137 del 2020;
  • l'avvenuto invio dei motivi nuovi a una casella di posta elettronica certificata differente da quella prevista dalle specifiche tecniche DGSIA del 9 novembre '20.

Le argomentazioni utilizzate dalla Suprema Corte si fondano sulla normativa emergenziale e cioè sulle disposizioni di cui al decreto-legge n. 137 del 2020, la cui efficacia è, per inciso, prorogata sino al 31 luglio 2021.

Nella prima pronuncia è stato posto l'accento sulla violazione di un termine processuale, quello dei venticinque giorni precedenti l'udienza, posto dall'art. 23, comma 8, d.l. 137 del 2020 ed espressamente qualificato dalla legge come perentorio. Invero, a fronte di udienza fissata al 26 gennaio 2021, i motivi nuovi erano stati inviati solo l'11 gennaio 2021, talché la violazione del suddetto termine era evidente.

La seconda motivazione a sostegno dell'inammissibilità è fondata sul disposto dell'art. 24, comma 4, d.l. 137 del 2020 ai sensi del quale, testualmente, “per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino al 31 luglio 2021, è consentito il deposito con valore legale mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44. Il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e alla sottoscrizione digitale e le ulteriori modalità di invio. Quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la dimensione massima stabilita nel provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al presente comma, il deposito può essere eseguito mediante l'invio di più messaggi di posta elettronica certificata. Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro la fine del giorno di scadenza”.

Come esposto in precedenza, al fine di dare attuazione al disposto normativo, il 9 novembre '20 la DGSIA emanava le specifiche tecniche nel contesto delle quali veniva indicato l'indirizzo PEC che nello specifico caso avrebbe dovuto utilizzare il difensore (depositoattipenali1.cassazione@giustiziacert.it).

Sennonché violando tale precetto, l'invio dei motivi nuovi era stato effettuato al differente indirizzo sez1.penale.cassazione@giustiziacert.it e da ciò derivava la sanzione dell'inammissibilità.

Osservazioni

Le risposte date dalla Corte di Cassazione appaiono ineccepibili.

Per quanto concerne la violazione del termine per la richiesta di trattazione del procedimento in pubblica udienza, come detto, la qualificazione del termine (pacificamente violato) come perentorio non ha lasciato margini di manovra agli Ermellini, che hanno solo potuto rilevare la tardività dell'istanza.

Per quanto concerne l'invio a casella PEC differente da quella indicata dalle specifiche tecniche DGSIA la declaratoria di inammissibilità va di nuovo ricondotta ad una precisa scelta del legislatore, posto che ai sensi dell'art. 24, comma 6-sexies, d.l. 137 del 2020, il quale sanziona appunto con l'inammissibilità il caso dell'atto “trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4”.

Per la verità il comma in questione fa riferimento al solo caso dell'atto di impugnazione trasmesso a casella PEC differente da quella indicata dalle specifiche tecniche. Occorre però considerare:

  • che secondo il comma 6-octies, “le disposizioni del comma 6-sexies si applicano, in quanto compatibili, agli atti indicati al comma 6-quinquies”;
  • che il suddetto comma 6 quinquies si riferisce, tra l'altro, a tutti gli atti di impugnazione, comunque denominati, e dunque anche ai motivi nuovi.

Logica conseguenza di tale ricostruzione normativa, è stata dunque l'applicazione dell'ipotesi di inammissibilità anche al caso in esame, avente ad oggetto l'invio di motivi nuovi.

In conclusione, non si può non rilevare come la pronuncia della Corte di Cassazione appaia corretta sotto ogni punto di vista.

Invero, nel caso scrutinato la Suprema Corte si è trovata nella situazione di dover applicare norme assai chiare, che delineavano in maniera netta la sanzione per il mancato rispetto delle formalità codificate, cosicché a fronte della fissazione di un termine perentorio (per la richiesta di trattazione orale in pubblica udienza) o della previsione della inammissibilità del deposito in caso di errore nell'individuazione della casella PEC di destinazione non vi è spazio ad esempio per ipotesi di sanatoria connesse ad esempio al raggiungimento dello scopo.

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