Il peer to peer lending

Alessandra Viceconte
15 Giugno 2021

Nell'ultimo decennio l'attività bancaria e in particolar modo l'attività di raccolta del risparmio e il conseguente esercizio del credito hanno subito una contrazione, dovuta alla crisi finanziaria statunitense del 2008. Tale situazione ha comportato ad una drastica riduzione nell'offerta di credito alla clientela, comunemente conosciuta come “Credit Crunch”.
Introduzione

Nell'ultimo decennio l'attività bancaria e in particolar modo l'attività di raccolta del risparmio e il conseguente esercizio del credito hanno subito una contrazione, dovuta alla crisi finanziaria statunitense del 2008. Tale situazione ha comportato ad una drastica riduzione nell'offerta di credito alla clientela, comunemente conosciuta come “Credit Crunch”.

Alla luce di tale panorama, gli istituti di credito hanno bisogno di ampliare la gamma di settori dove investire e la clientela deve cercare nuovi mezzi per accedere al credito, differenti da quelli tradizionali.

In tale contesto trova amplio spazio la tecnologia applicata alla finanza, c.d. Fintech, che ha aperto le porte della finanza a piccole imprese, che si sono accaparrate di diritto una piccola percentuale di mercato nell'ambito dell'erogazione dei sevizi finanziari.

Inoltre, tenuto conto del successo delle Star-up fintech ha portato il sistema bancario a stipulare degli accordi con queste ultime.

Occorre precisare che la nascita in Italia di piccole e medie imprese esercenti servizi finanziari è dovuta al “Decreto Crescita 2.0”, (d.l. n. 179/2012), il quale ha modificato il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 c.d. T.U.F. e ha introdotto una disciplina ad hoc circa la raccolta del capitale di rischio da parte del “start-up innovative”, attraverso l'utilizzo di piattaforme online.

Non a caso, il lending-based crowdfunding è nato e si è sviluppato dopo la crisi finanziaria, anche sulla scia della sfiducia nel settore tradizionale sull'onda di nuove forme di finanza alternativa in grado di sfruttare l'opportunità di costi inferiori derivanti dall'uso di tecnologie c.d. FinTech, dall'assenza di requisiti regolatori imposti agli intermediari classici, dalla disintermediazione, con lo scopo di aumentare il livello di inclusione finanziaria e accesso al credito.

Le varie tipologie di prestiti online

Il TUB e il regolamento Consob 18592/2013 disciplinano uno dei modelli di ricerca di capitale verso terzi mediante piattaforme online, ossia il crowdfunding.

Tuttavia, nel corso del tempo si è diffuso e sviluppato in differenti fattispecie.

Occorre evidenziare che esistono due macro-categorie: il c.d. community crowdfunding, la cui raccolta di capitale è finalizzata a supportare iniziative filantropiche. La prima specie si suddivide a a sua volta in c.d. donation crowdfunding, in cui la transazione è effettuata a titolo di donazione, senza alcuna aspettativa di ritorno. La seconda tipologia invece è costituita dal reward crowdfunding che consiste, invece, in una ricerca di capitale in cui i sostenitori, c.d. backer, in cambio della loro offerta di denaro ricevono una ricompensa in modo proporzionale all'entità dell'offerta stessa, in genere i soggetti interessati ricevono un prodotto o un servizio che sarà messo in atto o in produzione con il raggiungimento del capitale richiesto da colui che lancia la raccolta fondi.

La seconda macro-tipologia è il c.d. financial return crowdfunding, in cui i soggetti cui si rivolge sono investitori che aderiscono all'offerta per scopi speculativi. Tale specie si suddivide a sua volta in due sotto-categorie. La prima è il c.d. peer to peer lending, in cui l'investitore – come in ogni istituto di credito – riceve al termine del rapporto di prestito, come tornaconto, interessi passivi proporzionali alla quantità di capitale investito e ha diritto alla restituzione del capitale. La seconda sotto-categoria è il c.d. equity crowdfunding, in cui il destinatario dell'offerta acquista una parte del capitale offerente scommettendo sulle capacità di produrre utile e, pertanto, sul progetto sotteso all'uso del modello societario il cui capitale (equity) è sottoscritto.

Ad oggi in Italia, solo questo ultimo modello è soggetto ad una specifica disciplina.

(Segue) Il prestito peer to peer

Il prestito P2P è l'unico che rappresenta una alternativa reale alla richiesta di credito mediante i canali tradizionali.

Tale modello, attraverso l'utilizzo di piattaforme online, consente a soggetti richiedenti di individuare prestatori c.d. lender. La domanda può essere posta in essere da persone fisiche (peer to peer) o da imprenditori (peer to business). Questa prassi operativa consente ai prestatori di far ricevere ai richiedenti, persone o imprese, la somma di denaro richiesta, eliminando l'intermediazione dell'istituto di credito. La circostanza ha degli aspetti positivi, tra cui, il fatto che i soggetti finanziatori non devono essere soggetti a valutazione circa la meritevolezza e affidabilità da parte dell'intermediario, e neppure essere sottoposti alle condizioni di prestito predisposto in modo unilaterale dalla banca. Inoltre, i soggetti finanziatori ricevono interessi più alti, in quanto il rischio si sposta interamente a carico del finanziatore.

Altro elemento importante è la rapidità con cui si effettua l'intero processo di richiesta di credito ed erogazione dello stesso. Infatti, il soggetto che ha necessità di ricevere un finanziamento deve effettuare una registrazione online in una piattaforma P2P. La piattaforma effettua un primo controllo di sicurezza finalizzata a verificare l'identità del soggetto. Successivamente, il richiedente pubblica un annuncio, che costituisce l'appello al pubblico dei potenziali investitori. La piattaforma deve effettuare una valutazione di solidità economico-patrimoniale dei richiedenti e la predisposizione ad adempiere alle obbligazioni assunte, al fine di tutelare i risparmiatori/investitori. Tale valutazione viene effettuata su una serie di indicatori estratti da banche dati pubbliche e private, tra cui è valutata l'eventuale presenza di episodi negativi circa la posizione economica del soggetto interessato. L'insieme di tali valutazioni costituisce il punteggio di credito c.d. credit score, cioè la valutazione di affidabilità prospettica circa l'adempimento delle obbligazioni. Di conseguenza, al diminuire di tale punteggio aumenta l'interesse passivo sul capitale prestato.

Le piattaforme P2P tendono ad utilizzare il medesimo modello di classificazione creditizia dei soggetti finanziati che si basa su alcune lettere dell'alfabeto romano. La piattaforma verifica se il soggetto prestatore sia in grado di disporre della somma pari all'ammontare del finanziamento che ha intenzione di effettuare. Inoltre, alcune piattaforme stabiliscono un limite massimo di investimento per finanziatore, mentre altre non pongono limiti.

Occorre ribadire che il rischio si sposta completamente a carico dei prestatori proporzionato poi al rendimento del finanziamento medesimo.

Molte piattaforme offrono delle forme di tutela per gli investitori. In particolare, esistono tre tipologie di piattaforme: le unsecured platforms che non offrono alcun tipo di tutela al prestatore di denaro; le secured platforms che richiedono ai soggetti finanziati di prestare garanzie reali o personali; le protected platforms che creano un fondo rischi cui ogni finanziatore può accedere a determinate condizioni.

Inquadramento normativo del P2P

Il fenomeno del peer to peer lending è arrivato in Italia in modo inaspettato, pertanto il legislatore e la Banca d'Italia hanno tentato di inquadrarlo in un assetto normativo.

Un primo inquadramento giuridico del finanziamento landing based è stato offerto per mezzo del D.L. n. 11/2010, per la disciplina ad hoc in tema di servizi di pagamento. In particolare, l'art. 33 del decreto sopra citato ha introdotto in nuovo Titolo V ter del TUB, il quale agli articoli 114 sexies – 114 octiedecies disciplina il settore dei servizi di pagamento, introducendo la figura degli istituti di pagamento.

In base a quanto previsto dall'art. 114 novies, comma 4, del TUB è stato possibile collocare le piattaforme P2P tra gli istituti di pagamento. Tuttavia, tale inquadramento normativo comporta vantaggi e svantaggi.

Infatti, l'inclusione degli operatori landing based nell'ambito della disciplina in tema di servizi di pagamento comporta l'esclusione di tale attività in quella bancaria, che comporterebbe il rispetto di una normativa complessa, improntata sulla necessità di tutela del risparmio collettivo e di stabilità di sistema.

Ma allo stesso tempo la normativa in oggetto non prevede una tutela per i soggetti prestatori di denaro e una relativa istruttoria da parte della piattaforma sui soggetti richiedenti.

Successivamente, con provvedimento 584/2016 Banca d'Italia ha emanato “Disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche”, secondo cui le piattaforme di social lending hanno diritto di operare nel rispetto della normativa bancaria, purchè si tratti di operatori che fungono da “marketplace”, ovvero incontro tra domanda e offerta, senza la possibilità di offrire servizi di raccolta del denaro erogato dai soggetti finanziatori, in quanto è una attività riservata. Inoltre, la piattaforma nel disciplinare un contratto di mutuo deve lasciare spazio alla libertà di contrarre delle parti.

Quanto, invece, alle piattaforme con modalità differenti, queste posso operare in qualità di istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica o intermediari finanziari autorizzati a prestare servizi di pagamento e a raccogliere fondi provenienti da finanziatori, solo nel caso in cui vengano canalizzati in conti ad hoc per la fornitura di servizi di pagamento.

Infine, la delibera di Banca d'Italia si conclude chiarendo che l'attività di social lending svolta online da istituti bancari non prevede alcuna limitazione alla raccolta del risparmio tra il pubblico.

Alla luce di quanto sopra esposto, occorre evidenziare che le disposizioni di Banca d'Italia tendono a snaturare il P2P, in quanto quest'ultimo è nato per permettere di accedere al credito soggetti che seguenti i canali tradizionali non ne hanno la possibilità. Adeguare il fenomeno alle disposizioni vigenti, comporterebbe nuovamente l'esclusione dei soggetti meno abbienti.

Inoltre, con tali disposizioni, che tendono a rifarsi alla normativa bancaria tradizionale, Banca d'Italia ha perso la possibilità di predisporre nuove linee guida per una futura regolamentazione.

Occorre evidenziare altresì che da un punto di vista contrattuale il rapporto giuridico che si instaura tra prestatori e richiedenti è il mutuo, di cui agli artt. 1813 c.c. e ss.

Tuttavia, il rapporto tipicamente bilaterale nel P2P si arricchisce di ulteriori elementi. In primo luogo, interviene un soggetto terzo – estraneo al rapporto obbligatorio- cheè l'operatore P2P, che può assumere un ruolo più o meno incisivo nel rapporto.

Al riguardo, giova sottolineare che, secondo alcuni autori è da valutare la possibilità di includere le P2P platforms nell'alveo dell'attività di mediazione creditizia ed applicarvi la relativa disciplina di cui al Titolo VI bis del TUB.

Tuttavia, tale inquadramento andrebbe a snaturare la figura della piattaforma P2P, in quanto ai sensi dell'art. 128-sexies del TUB, possono essere ritenuti investitori solo coloro che permettono l'accesso alla piattaforma ai soli investitori istituzionali, cioè banche e altri intermediari autorizzati. Elemento contrario alle prassi operative delle piattaforme P2P.

In via ulteriore, l'operatore dovrebbe adempiere al principio di esclusività e, pertanto, svolgere soltanto l'attività di mediazione creditizia, senza poter prestare altre tipologie di servizi che caratterizzano l'attività delle piattaforme P2P.

In conclusione, è possibile affermare che in Italia non è attualmente prevista una normativa primaria che garantisca una disciplina organica sul tema, tuttavia i soggetti coinvolti nell'attività di lending-based crowdfunding devono rispettare le norme che disciplinano le diverse riserve di attività, tra cui quelle previste per la mediazione creditizia e per l'intermediazione di servizi di pagamento”.

In particolare però, per quanto riguarda i gestori della Piattaforma, come sopra esposto non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico, “la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione dei servizi di pagamento dai gestori medesimi, se autorizzati a operare come istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica o intermediari finanziari di cui all'art. 106 del TUB autorizzati a prestare servizi di pagamento ai sensi dell'art. 114-novies, comma 4, del TUB”; mentre - per quanto riguarda i Prenditori – “non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico l'acquisizione di fondi effettuata sulla base di trattative personalizzate con i singoli finanziatori”.

Al riguardo, avute presenti le modalità operative tipiche delle piattaforme di social lending, le trattative possono essere considerate personalizzate allorché i Prenditori e i Prestatori siano in grado di incidere con la propria volontà sulla determinazione delle clausole del contratto tra loro stipulato e il Gestore del portale si limiti a svolgere un'attività di supporto allo svolgimento delle trattative precedenti alla formazione del contratto.

Tale condizione si considera rispettata, ad esempio, allorché il Gestore predisponga un regolamento contrattuale standard che costituisca solo una base di partenza delle trattative, che devono essere in ogni caso svolte autonomamente dai contraenti, eventualmente avvalendosi di strumenti informatici forniti dal gestore.

Fermo quanto sopra, la Legge di Bilancio 2018 (art. 1, comma 43, Legge del 27 dicembre 2017, n. 205) ha introdotto un'agevolazione fiscale per i prestiti effettuati attraverso piattaforme di peer-to-peer lending, nei soli casi in cui queste ultime siano gestite da intermediari finanziari ex art. 106 TUB o da istituti di pagamento. Per tale via, il Legislatore risulta aver assecondato, anche se a soli fini fiscali, la scelta suggerita dalla Banca d'Italia nelle appena richiamate Disposizioni, quanto alla veste giuridica da far assumere ai gestori delle piattaforme.

Tra i criteri per l'accreditamento dei gestori e delle piattaforme si individuano, in particolare, la trasparenza della modalità di determinazione del prezzo dei finanziamenti, l'affidabilità del modello di valutazione della rischiosità dei prenditori, il rispetto delle norme che regolano le attività riservate dalla legge a particolari categorie di soggetti, ivi inclusa la raccolta del risparmio tra il pubblico sulla base di quanto previsto dalla normativa secondaria della Banca d'Italia.

Per quanto attiene, invece, alla normativa europea, la Commissione UE, in una prima fase, non aveva ritenuto necessario proporre una regolamentazione ad hoc a livello europeo in considerazione della dimensione limitata degli operatori e della innovatività del fenomeno.

Nel 2015, l'EBA si è invece espressa a favore di un'armonizzazione della normativa a livello europeo, ritenuta auspicabile per evitare arbitraggi regolamentari, assicurare equa concorrenza, accrescere la fiducia nell'innovazione finanziaria, contribuire allo sviluppo del mercato unico. L'evoluzione del fenomeno ha indotto, quindi, la Commissione Europea ad effettuare - nel corso del 2017 - una consultazione pubblica sul FinTech, i cui esiti hanno portato all'adozione del “FinTech Action Plan” nel marzo 2018.

Recentemente, infine, è stato approvato il Regolamento UE del Parlamento europeo in materia generale di “crowdfunding” n. 2020/1503, direttamente applicabile dal 10 novembre 2021. Oggetto del Regolamento è la prestazione dei servizi di crowdfunding per la raccolta da parte di imprese tramite debt (prestiti e altri strumenti finanziari) ed equity (partecipazione al capitale) crowdfunding.

La nuova normativa, rivolta sole alle imprese, punta a dare la possibilità alle piattaforme di equity e lending crowdfunding di ottenere un Passaporto europeo, in modo da poter sollecitare il pubblico risparmio e finanziare le imprese in tutti i Paesi membri Ue.

La nuova normativa europea prevede che agli investitori sia fornito un key investment information sheet (KIIS), stilato dall'emittente per ciascuna campagna di raccolta oppure dalla piattaforma. All'interno del documento, le piattaforme dovranno fornire ai clienti una chiara informativa circa i rischi finanziari e i costi che potranno sopportare, inclusi i rischi di insolvenza e i criteri di selezione dei progetti. Inoltre, le nuove piattaforme dovranno essere autorizzate dalle Autorità nazionali competenti dello Stato membro in cui la piattaforma è residente: attraverso un processo di notifica in uno Stato membro, una piattaforma sarà quindi autorizzata ad erogare i propri servizi anche oltre confine.

L'ESMA terrà, inoltre, un Registro pubblico di tutte le piattaforme abilitate, con indicazione dei Paesi in cui possono operare. La vigilanza sarà condotta dalle Autorità nazionali Antitrust, con la European Securities and Markets Authority (ESMA), che fungerà da facilitatore e coordinatore della collaborazione tra Stati membri.

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