La mediazione nella prospettiva di riforma del processo tributario
16 Giugno 2021
È tristemente vero come i numerosi interventi normativi in materia tributaria succedutisi negli ultimi anni abbiano contribuito ad aggravare anziché risolvere i problemi. Oggi l'esigenza prioritaria è quella di potersi confrontare con regole certe, al riparo dalle complicazioni inestricabili che caratterizzano il sistema. Ne sanno qualcosa gli operatori del settore che hanno ormai smarrito il gusto e il dovere del dialogo, sempre più dediti alla pratica del rinvio, nella speranza di spingere il tasto giusto o azzeccare improbabili soluzioni adeguate. Di qui la crisi del rapporto tra fisco e contribuente e le ampie aspettative riposte nella riforma del contenzioso. Eppure, più delle grandi riforme, per recuperare la normalità del quotidiano si avverte la necessità di semplificare, trovare un interlocutore valido e disponibile, familiarizzare con i programmi informatici e, se possibile, avviare una stagione di autentica e responsabile tregua normativa. Sotto questo aspetto, non si giustificano gli entusiasmi suscitati dalla preannunciata riforma del contenzioso che, fatta eccezione per l'introduzione del giudice professionale, nella graduatoria delle priorità viene sicuramente dopo la soluzione delle difficoltà che ostacolano a monte la proficuità del rapporto tra fisco e contribuente. La crisi del rapporto tra fisco e contribuenti
La tendenza di affidare al giudice la soluzione delle questioni fiscali, intesa come naturale evoluzione del rapporto tra amministrazione e contribuente, ha comportato storicamente una sostanziale svalutazione della fase amministrativa. I fattori che hanno dato causa alla diffusa conflittualità che connota il rapporto tra amministrazione e contribuente sono molteplici. Alcuni hanno avuto un impatto diretto e immediato sulla proliferazione del contenzioso, come la complessità delle norme e la ricorrente pratica dei condoni. Altri vi hanno contribuito in modo indiretto ma non meno insidioso. Si allude all'ambiziosa pretesa di controllare su base analitico-contabile circa quattro milioni di piccoli e medi operatori economici, alla difficoltà di accreditare strumenti di controllo presuntivo e alla pervicace delegittimazione di ogni forma impositiva che non trovi puntuale fondamento in una norma.
Eppure, sono numerosissime le fattispecie concrete che si sottraggono ad una puntuale disciplina normativa e che non possono essere ricondotte nell'ambito applicativo di una improbabile norma giuridica. Al contrario, esse vanno trattate facendo applicazione dei principi generali e di una sostanziale discrezionalità tecnica, orientata al principio cardine della giusta imposizione, esercitata secondo buon senso e ragionevolezza.
Si pensi, a titolo esemplificativo, all'applicazione di uno studio di settore adattato ad uno specifico operatore economico, alla determinazione del transfer price e all'affermazione di una stabile organizzazione oppure alla valutazione di inerenza di un costo, all'imputazione a periodo di un componente di reddito o alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche. Sono queste, ad evidenza, questioni empiriche (più che giuridiche) che mal si prestano tra l'altro alla cognizione di un giudice chiamato a dichiarare se l'atto è legittimo o meno, senza possibilità di rideterminarne il contenuto oltre il limite della domanda.
La stessa teorizzazione del c.d. principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria - che tende ad escludere la possibilità di determinare con qualche discrezionalità l'obbligazione tributaria, considerata materia intangibile in quanto riservata esclusivamente alla legge – ha offerto solidi contributi alla rigidità del sistema, contribuendo al depotenziamento della funzione amministrativa e alla conseguente proliferazione delle controversie.
La diffusa conflittualità si ricollega, in sintesi, al formalismo giuridico e alla enfatizzazione del principio di legittimità che esigono soluzioni tanto nette e puntuali, quanto rigide e spesso inadeguate sotto il profilo sostanziale, favorendo – da una parte – diffuse pratiche abusive presso i contribuenti più attrezzati e – dall'altra – atteggiamenti rigidi e di chiusura da parte dell'amministrazione. In questo scenario il rinvio delle soluzioni alla fase giurisdizionale e la endemica conflittualità tra amministrazione e contribuente si sono affermati storicamente come dato naturale che per tanto tempo ha caratterizzato in negativo il nostro sistema, fino a raggiungere, alla fine degli anni '90 del secolo scorso, la vetta di oltre 2,5 milioni di controversie pendenti.
Da allora sono stati fatti significativi passi in avanti dovuti essenzialmente alla crescita dell'amministrazione. Istituti come l'autotutela e l'accertamento con adesione hanno svolto una funzione deflattiva sicuramente importante, ma per tanti aspetti insufficiente. Dall'altro versante, occorre considerare che il buon funzionamento della giustizia tributaria dipende soprattutto dalla consistenza e dalla qualità della domanda giudiziale ovvero dalla capacità di filtro che l'amministrazione, in un contesto di regole semplificate e ben definite, è in grado di assicurare in dialogo con il contribuente. La mediazione tributaria
Queste premesse aiutano a ben comprendere la funzione de “Il reclamo e la mediazione” (c. d. mediazione tributaria) di cui all'art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992, quale rimedio a carattere amministrativo che consente di risolvere in via stragiudiziale le potenziali controversie di valore non superiore a 50 mila euro (20 mila fino al 31 dicembre 2017), evitando le lungaggini e gli oneri del contenzioso.
L'istituto della mediazione è stato introdotto nell'ordinamento tributario dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, con decorrenza 1° aprile 2012. A distanza di quasi un decennio, è opportuno riflettere sulla efficacia di tale strumento, spesso circondato da diffidenze e perplessità motivate da sensazioni generiche o specifiche esperienze negative più che sulla base di dati obiettivi. Per avere un'idea di quanto la mediazione abbia contribuito a ridurre il contenzioso può essere utile guardare all'incidenza del numero di ricorsi depositati in giudizio rispetto al numero complessivo dei ricorsi notificati. L'Agenzia delle Entrate, quale unico depositario di tale dato, ha comunicato che già nella prima fase di applicazione, dal 2 aprile 2012 al 31 dicembre 2016, a fronte di 450.782 ricorsi notificati e passati per la mediazione, soltanto 206.507 sono stati successivamente depositati in giudizio. Ciò significa che, per effetto della mediazione, ben 244.275 potenziali controversie, pari al 54 per cento del totale, non hanno avuto un seguito giudiziale. Nell'ultimo quinquennio la stessa percentuale è scesa al 45 per cento. Soprattutto alla mediazione va ascritto il merito di aver ridotto drasticamente i carichi di lavoro delle Commissioni e i tempi medi delle decisioni, avendo presente che il flusso delle nuove controversie nell'ultimo decennio si è più che dimezzato rispetto al decennio precedente.
Nello stesso tempo, la mediazione ha contributo a elevare il tasso di responsabilizzazione dell'amministrazione, potenziandone la funzione di farsi giustizia da sé.
Disciplina
Benché inserita nel corpus delle disposizioni sul processo tributario di cui al d.lgs. n. 546/1992, la mediazione si sostanzia in un procedimento formalmente amministrativo della durata massima di 90 giorni che inizia con la notificazione del ricorso e termina con la comunicazione al contribuente del relativo esito da parte dell'ente che ha emesso l'atto impugnato (art. 17-bis, comma 2). Decorsi 90 giorni, qualora il procedimento si sia rivelato infruttuoso, il contribuente valuterà, sulla base anche degli argomenti addotti dall'ente impositore, l'opportunità di costituirsi in giudizio, depositando il ricorso entro i successivi 30 giorni. L'eventuale deposito prima del decorso dei 90 giorni comporta l'improcedibilità del ricorso, con la conseguenza che il giudice non potrà esaminarlo se non dopo la conclusione del procedimento di mediazione (comma 3).
Il procedimento della mediazione, preordinato alla eventuale definizione amministrativa della potenziale controversia, si instaura automaticamente con la notificazione all'ente impositore del ricorso, che assume pertanto non solo natura di atto giudiziale ma “produce anche gli effetti di un reclamo” (comma 1), ossia di un'istanza volta ad ottenere l'annullamento totale o parziale dell'atto sulla base degli stessi motivi che, in alternativa, il contribuente intende portare all'esame della Commissione tributaria. In breve, il ricorso vale come reclamo.
Al contribuente è riconosciuta la possibilità di inserire nel medesimo ricorso “una proposta di mediazione con rideterminazione dell'ammontare della pretesa” (comma 1). A sua volta l'ente impositore, qualora non intenda accogliere il reclamo o l'eventuale proposta di mediazione, potrà formulare una propria proposta di mediazione, a significare che in sede di mediazione le parti possono liberamente accordarsi per ridefinire i contenuti dell'atto impugnato, in applicazione di criteri (eventuale incertezza delle questioni controverse, grado di sostenibilità della presa e principio di economicità dell'azione amministrativa) sostanzialmente analoghi a quelli che guidano l'accertamento con adesione (artt. 5, 6 e 12 del d.lgs. n. 218/1997) e la conciliazione giudiziale (artt. 48, 48-bis e 48-ter del d. lgs. n. 546/1992).
La proposta di mediazione si distingue concettualmente dal ricorso-reclamo in quanto indirizzata esclusivamente alla controparte (non anche al giudice) e finalizzata alla rideterminazione concordata dell'obbligazione tributaria (indipendentemente dai contenuti dell'atto impugnato e del ricorso).
Con la notifica del ricorso si apre, dunque, una fase precontenziosa in cui l'amministrazione e il contribuente effettuano congiuntamente un esame preliminare della potenziale controversia volto a verificare la fondatezza sia della pretesa impositiva sia dei motivi del ricorso, nel tentativo di evitare l'instaurazione del giudizio. Non è escluso che gli effetti deflattivi della mediazione e la propensione dei contribuenti a rinunciare al contenzioso siano stati incentivati dalla prassi interna agli enti impositori e, in particolare, all'Agenzia delle entrate, di anticipare al contribuente, unitamente ai motivi che ostano all'accoglimento del reclamo e della eventuale proposta di mediazione, le proprie controdeduzioni nell'eventuale giudizio che egli intendesse instaurare. In tanti casi, infatti, gli approfondimenti e le valutazioni congiunte effettuati nel corso della mediazione possono far emergere i limiti del ricorso e indurre il contribuente ad abbandonare la via giudiziaria.
“Il reclamo e la mediazione” non interferisce con le dinamiche giudiziali né con i livelli di tutela del contribuente. Questi può non interessarsi della mediazione. Ciononostante, il ricorso produce in automatico “gli effetti di un reclamo”, obbligando comunque l'amministrazione, pena la condanna rafforzata alle spese del giudizio (maggiorate del 50 per cento) ex art. 15, comma 2-septies, del d.lgs. 546/1992, a valutare la sussistenza dei presupposti per agire in autotutela e riflettere sulla tenuta in giudizio dell'atto impugnato. Analogo profilo di responsabilità può ravvisarsi anche in capo al contribuente, qualora sia stato interessato da una proposta di mediazione formulata dall'amministrazione. Differenze con altri istituti deflattivi
È diffusa in dottrina l'opinione secondo cui “Il reclamo e la mediazione” altro non sarebbe che un doppione inutile di preesistenti istituti deflattivi del contenzioso come l'autotutela e l'accertamento con adesione.
In riferimento all'autotutela, si sostiene pressappoco questo: il reclamo si sostanzia anche e soprattutto in una richiesta di annullamento e, considerata la preesistente potestà dell'amministrazione di annullare un atto in via di autotutela, essa comporta una inutile riproposizione della medesima potestà amministrativa. Trattasi di considerazione tanto corretta sul piano dei concetti quanto avulsa dal contesto in cui l'autotutela si esercita e dai conseguenti effetti che produce.
La tesi non tiene conto che, solo per effetto del reclamo, la trattazione dell'autotutela da eventuale diventa sistematica, da informale diventa scritta e motivata, da estemporanea diviene tempestiva e da discrezionale, obbligatoria. Non può sfuggire come l'autotutela tributaria di cui al d.l. n. 564/1994, pur condividendo con l'istituto in esame i presupposti di applicazione, si inserisce in un contesto prettamente amministrativo caratterizzato dalla discrezionalità dell'ente impositore non solo nel rimuovere i vizi dell'atto, ma anche nell'avviare l'esame dell'istanza del contribuente. Differisce pertanto dall'istituto in esame che, pur operando in una fase precontenziosa, ha invece una proiezione processuale in quanto trae impulso da un atto giudiziale, quale è il ricorso indirizzato alla Commissione tributaria. Ulteriore tratto differenziale è rinvenibile nell'attribuzione dell'istruttoria del reclamo ad una struttura autonoma e diversa da quella che ha emanato l'atto, di norma responsabile del contenzioso e pertanto direttamente a conoscenza degli indirizzi della giurisprudenza che in tal modo fanno ingresso nella gestione amministrativa, conferendo al nuovo istituto un tendenziale carattere di terzietà, atto a stimolare una dialettica interna all'ufficio che, prima della mediazione, era inesistente. Infine, a differenza dell'istanza di autotutela, che può essere redatta in forma libera, il reclamo deve possedere la forma e il contenuto del ricorso giurisdizionale.
Anche rispetto all'accertamento con adesione i tratti distintivi del nuovo istituto sono ugualmente netti. Essi rilevano sia sotto il profilo dell'ambito applicativo, esteso alla generalità degli atti impugnabili e non circoscritto agli atti accertativi, sia sotto l'aspetto funzionale. A differenza dell'accertamento con adesione, infatti, la mediazione assolve a una funzione non impositiva ma essenzialmente giustiziale-amministrativa volta a costituire un filtro conciliativo e a prevenire l'instaurazione di una potenziale controversia. Essa si accredita come strumento deflattivo di una specifica controversia la cui materia del contendere è compiutamente delineata e scolpita nel ricorso. Mentre l'accertamento con adesione punta alla determinazione concordata dell'obbligazione tributaria traendo argomenti dal libero confronto tra l'Ufficio e il contribuente, il reclamo ha come riferimento d'obbligo i contenuti dell'atto impositivo e del ricorso e si sviluppa sulla base di posizioni nettamente delineate nei menzionati atti, ossia sulle stesse posizioni che costituiranno oggetto di valutazione giudiziale qualora la fase della mediazione si rivelasse infruttuosa.
Il ricorso-reclamo avvia un procedimento amministrativo obbligatorio e generale, che si svolge sulla base dei motivi del ricorso (non sempre coincidenti con quelli trattati nell'accertamento con adesione), avendo come riferimento costante e necessario gli indirizzi della giurisprudenza. Interviene pertanto a saldare la fase giudiziaria con quella di produzione amministrativa, assumendo gli orientamenti della giurisprudenza a parametro di qualità cui uniformare sia la gestione del contenzioso sia la produzione amministrativa. Il procedimento di mediazione mira, in particolare, all'affermazione del principio di economicità dell'azione amministrativa, enunciato per la prima volta dal legislatore al comma 5 del citato art. 17 bis, come criterio guida nella gestione delle controversie. L'enunciazione di tale principio investe l'amministrazione di un nuovo ruolo che tende al superamento della logica dell'adempimento a favore di un approccio di tipo manageriale, basato sulla pianificazione, sul miglioramento continuo dell'organizzazione e sull'incremento della produttività complessiva. Dischiude una nuova frontiera del diritto che chiama i protagonisti delle vicende tributarie a riflettere criticamente sul proprio operato. Si inverte l'ordine delle priorità: obiettivo primario e immediato dell'amministrazione non è più quello di reperire entrate, ma migliorare il rapporto con i contribuenti, incrementare l'adempimento spontaneo ed elevare il tasso di credibilità del sistema.
In questa direzione la mediazione tributaria si propone come strumento determinante per favorire un salto di qualità dell'azione amministrativa, enfatizzando gli aspetti sostanziali del rapporto tributario, rispetto ai quali quelli formali e procedimentali passano in secondo piano.
Si può dire che la mediazione chiama gli uffici ad una vera e propria svolta culturale, da supportare con un'adeguata revisione dell'organizzazione interna e con il potenziamento delle strutture preposte alla sua gestione. Le esperienze della mediazione, come si è detto, sono destinate a riflettersi all'interno dell'organizzazione dell'ente impositore fino a informare in modo trasversale l'intero operato dell'ufficio. Occorre evitare tuttavia che le autonome strutture preposte alla mediazione ed impegnate pertanto in attività di stampo amministrativo-giudiziale, abbiano a sostituirsi sistematicamente, specie nell'esercizio dell'autotutela, alle diverse strutture addette alla produzione degli atti. A tal fine merita condivisione, in quanto affermativa della funzione amministrativo-giudiziale della mediazione, la recente pronuncia della Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia-Romagna del 22 ottobre 2020, n. 1115, secondo cui, qualora l'ente impositore nella fase del reclamo-mediazione annulli l'atto impugnato, è tenuto a rimborsare al contribuente le spese legali sostenute per la proposizione del ricorso. Nuove strategie basate sulla convergenza di interessi
Le nuove strategie imposte dalla mediazione sono altresì finalizzate ad accreditare, nella trattazione delle singole questioni, una tendenziale convergenza di interessi tra amministrazione e contribuente: laddove l'ufficio provveda a emendare l'atto impugnato di eventuali vizi o incongruenze, realizza un interesse proprio, prima ancora che del contribuente. Ad oggi sono stati fatti scarsi tentativi di inquadramento sistematico della mediazione tributaria. Ciò traspare nettamente dal tenore delle prime analisi, incentrate prevalentemente su aspetti formali, a volte ispirate da un pregiudizio di fondo circa la capacità di risposta dell'amministrazione. Spesso si lamenta l'improprietà della locuzione “mediazione” che presupporrebbe l'intervento di un mediatore terzo rispetto alle parti, sollevando una questione nominalistica che non tiene conto della funzione conciliativa dell'istituto: nulla vieta di ritenere che l'accordo definito ai sensi del citato art. 17 bis sia frutto di una mediazione tra le parti, ossia espressione di una convergenza spontanea e non stimolata o imposta dall'esterno.
Invero, il procedimento di mediazione si svolge su un piano di sostanziale parità tra le parti, richiedendosi ad entrambe – contribuente ed ufficio – di manifestare compiutamente le proprie posizioni in ordine alla sostenibilità in giudizio dell'atto impugnato. Ed è sotto questo profilo di effettiva e sostanziale parità tra le parti, accomunate dall'interesse ad affermare soluzioni legittime - le stesse che troverebbero avvallo in sede giurisdizionale - che in virtù della mediazione si prospetta una nuova configurazione del rapporto con il contribuente. Nella mediazione gli interessi delle parti convergono, sia quando sussistono i presupposti per esercitare l'autotutela (reclamo), sia quando vi è spazio per una più corretta determinazione della pretesa tributaria (mediazione). Di contro, appare estranea alla ratio dell'istituto la tendenza a presentare il rapporto tra amministrazione e contribuente in termini conflittuali, così da richiedere l'intervento di un soggetto terzo per dirimere il presunto contrasto di interessi. L'evocazione del terzo muove da una distorta visione conflittuale del rapporto tributario, speculare a quella che caratterizza i rapporti di diritto privato. Non tiene conto che, a differenza di quello tributario, il giudizio civile ha per oggetto diritti disponibili e sottende interessi antitetici per definizione, come solo un soggetto terzo e indipendente può e sa mediare. Nella gestione dell'attuale mediazione, al contrario, sussiste un interesse comune ad eliminare o riformare atti che rischiano di essere caducati in giudizio. Ogni eventuale riluttanza mossa dal proposito distorto di reperire maggiori entrate, esporrebbe l'amministrazione non solo al rischio di soccombenza e alla condanna rafforzata alle spese di lite, ma anche a responsabilità di tipo disciplinare, patrimoniale e manageriale. I rischi della riforma della mediazione
Unanime è il convincimento che occorra potenziare la mediazione, quale premessa indispensabile per ridurre ulteriormente il numero dei rinvii alla fase giurisdizionale e garantire il buon funzionamento della giustizia tributaria. A tal fine si è soliti richiamare le esperienze di altri paesi occidentali, capaci di risolvere in via amministrativa gran parte delle potenziali controversie, grazie alla previsione di un semplice reclamo e – andrebbe aggiunto - grazie all'intervento responsabile e risolutivo delle amministrazioni finanziarie di quei paesi, destinatarie del reclamo. Sembra evidente come le diverse forme di reclamo regolamentate all'estero siano sostanzialmente simili al nostro reclamo-mediazione, da noi rilevante come condizione di procedibilità del giudizio e non di ammissibilità, come previsto ad esempio in Germania nonché nella versione originaria del citato art. 17-bis.
È quindi paradossale che si invochino rimedi efficaci come quelli praticati all'estero e allo stesso tempo si proponga una riforma della mediazione che approderebbe a risultati opposti, laddove una funzione tipicamente amministrativa (intendo la trattazione dei reclami) venisse affidata a soggetti diversi dall'amministrazione. Si andrebbe difilato verso il depotenziamento della funzione amministrativa, coltivando l'illusione che altri possano sostituirsi all'amministrazione. Sarebbe un passo indietro non solo sul piano della gestione del precontenzioso, ma soprattutto nel percorso di crescita dell'amministrazione e del contrasto dell'evasione fiscale. A chi potrebbe far comodo se non agli evasori un'amministrazione sfiduciata e depotenziata nelle sue competenze, guidata da altri nella tutela degli interessi erariali? Forse non tutti hanno compreso che la mediazione tributaria ha poco o nulla in comune con l'omologo istituto introdotto nel rito civile, essendo affidata - senza costi aggiuntivi - essenzialmente alle cure dell'amministrazione, chiamata a formulare un giudizio prognostico circa l'esito dell'eventuale giudizio. Come si è visto, essa non interferisce con i livelli di tutela del contribuente, ma impatta, con funzione di stimolo e potenziamento, essenzialmente sulle competenze proprie dell'amministrazione. In altre parole, si qualifica come strumento che obbliga l'amministrazione a confrontarsi con la giurisprudenza, in tal modo avviando un percorso virtuoso che prelude al miglioramento della qualità della produzione amministrativa lasciando alle spalle antiche abitudini sintetizzabili nella esortazione “lei ha ragione ma faccia ricorso”.
A fronte di siffatta funzione, l'idea di affidare la mediazione ad un soggetto terzo, incardinato o meno nell'ordine giudiziario, si muove su un piano completamente diverso e avrebbe l'effetto di espropriare l'ente impositore di una tipica funzione amministrativa, privandolo di uno strumento che l'aiuta ad assolvere meglio le proprie competenze istituzionali.
La soluzione adottata dal legislatore nel 2012, in sé molto semplice, sobria ed economica, verrebbe sostituita con la creazione di un'ennesima sovrastruttura esterna all'amministrazione, della cui capacità operativa e funzionale è lecito dubitare: sarebbe in grado di gestire sistematicamente circa 200 mila reclami all'anno, senza rivendicazione di status, prebende, personale, attrezzature, ruoli, ecc.? Saprebbe porre argine alla tentazione dei contribuenti di svalutare il dialogo con l'amministrazione e rinviare ad un massivo confronto con il terzo mediatore, verosimilmente molto più impegnativo dell'attuale mediazione? Si pronuncerebbe con atti suscettibili di impugnazione con conseguente formazione di un contenzioso parallelo? Oppure assolverebbe a una funzione meramente notarile? Sussistono validi motivi per non coltivare proposte di riforma che auspichino la collocazione della mediazione all'esterno dell'amministrazione, disattendendo le prerogative e la funzione dell'attuale istituto con un effetto di complicazione regressivo sui livelli di responsabilizzazione dell'amministrazione e sui fattori di successo dell'attuale giudizio, cui va riconosciuto comunque il merito della speditezza e della riduzione dei tempi di giustizia. Al contrario, necessitano misure che definiscano realisticamente gli ambiti di intervento dell'amministrazione, sulla falsariga di quanto accade in altri paesi occidentali, dove non si immagina neppure di riportare pressocché tutto, a iniziare dalle questioni valutative e fattuali, sotto l'ombrello della certezza del diritto e dell'ordine giudiziario. Non per caso siamo la patria del diritto e, assieme, dell'evasione fiscale.
Le insidie della preannunciata riforma non si fermano qui. Vi è il rischio concreto che l'attribuzione della giurisdizione tributaria alla magistratura ordinaria o contabile possa far perdere di vista, fino a snaturare, la peculiarità del rapporto tributario e il ruolo della parte pubblica. Sotto questo aspetto, l'equilibrio garantito dall'attuale giudizio nella ponderazione degli interessi convergenti all'attuazione del giusto processo è sostanzialmente soddisfacente. Se mai, andrebbero valorizzati e potenziati strumenti come la condanna alle spese di lite o analoghe forme che responsabilizzino le parti nella gestione della mediazione (cfr. citata CTR Emilia-Romagna n. 1115/2020) e inducano l'amministrazione non più ad arroccarsi, come a volte succede, sulla difesa acritica dei propri atti, ma a perseguire univocamente l'interesse alla giusta imposizione, muovendo da una posizione non conflittuale ma più prossima a quella del giudice.
Occorre evitare che la struttura e le logiche proprie di altre giurisdizioni possano stravolgere l'attuale assetto del giudizio tributario e allo stesso tempo compromettere il percorso evolutivo dell'amministrazione faticosamente avviato con l'introduzione della mediazione. |