Nel giudizio penale di cassazione è irrevocabile la scelta della discussione orale anziché della trattazione scritta

Fabio Valerini
16 Giugno 2021

Nella vigenza della normativa emergenziale COVID-19 può accadere che, nel giudizio penale di cassazione, la parte possa avere la possibilità di scegliere tra la trattazione scritta o la discussione orale, da presentare a mezzo PEC.

Il comma 8 dell'art. 23 d.l. n. 137/2020, infatti, prevede che nel giudizio di cassazione per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli artt. 127 e 614 c.p.p. «la Corte di cassazione procede in camera di consiglio … salvo che una delle parti private o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale».

Quella richiesta deve essere formulata per iscritto e deve essere presentata a mezzo di posta elettronica certificata, alla cancelleria entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell'udienza.

Ma quella scelta sarà revocabile in un secondo momento oppure sarà irrevocabile e, quindi, il rito sarà quello “pre-scelto”? È questa la questione sulla quale è intervenuta espressamente la VI sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 22248/2021 del 7 giugno.

Era, infatti, accaduto che il ricorrente, in un primo tempo, aveva chiesto la discussione orale ai sensi dell'art. 23 d.l. n. 137/2020 e, poi, vi aveva rinunciato inviando a mezzo PEC una dichiarazione in questo senso.

Tuttavia, il Sostituto Procuratore Generale chiedeva di discutere oralmente la causa.

Quella richiesta veniva accolta dalla Suprema Corte sul presupposto che «la sopravvenuta rinuncia alla discussione non determina il mutamento del rito nella forma cartolare, disciplinata dall'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137».

Doppio binario. Secondo la Corte di Cassazione la norma emergenziale aveva previsto un doppio binario di trattazione «fissando un termine perentorio entro il quale la parte interessata può esercitare la sua scelta, ma una volta che il procedimento si è incardinato nelle forme della discussione orale, piuttosto che in quella della trattazione cartolare, non è più consentito alla parte, unilateralmente, di modificare il rito prescelto».

Ne deriva che la scelta effettuata dalla parte deve considerarsi irrevocabile anche perché quella scelta «incide direttamente sulle conseguenti facoltà processuali delle altre parti» e il «ripensamento» della parte potrebbe ledere il principio del contraddittorio.

Ed infatti – ha osservato la Corte di Cassazione – «a seguito della richiesta di discussione orale, le altre parti processuali maturano un legittimo affidamento nella possibilità di articolare le loro richieste e difese in udienza, non essendo quindi più tenute a rispettare la cadenza procedimentale prevista per la trattazione camerale non partecipata, mediante l'invio delle conclusioni scritte».

Ma v'è di più: laddove la rinuncia dovesse essere comunicata nell'imminenza della pubblica udienza, si determinerebbe una lesione del contraddittorio dal momento che le parti non avrebbero modo di rispettare il termine per il deposito delle memorie ex art. 611 c.p.p..

Conseguenze della rinuncia. Ed allora la dichiarazione di rinuncia alla discussione orale formulata dalla parte che, in precedenza, l'aveva richiesta, può avere un qualche effetto?

Quel che è certo – precisa la Cassazione – è che la dichiarazione non può avere nessun effetto sul rito (direi “pre-scelto”): il procedimento non si trasforma, quindi, in rito camerale perché ciò provocherebbe una lesione del contraddittorio dell'altra parte.

Tuttavia, quella dichiarazione potrà essere «intesa come manifestazione della sopravvenuta carenza di interesse a partecipare all'udienza».

Quell'udienza, però, dovrà essere celebrata nelle forme ordinarie dal momento che l'altra parte (ovvero le altre parti) non rinunciante.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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