Sulla portata escludente di una risalente risoluzione per grave ritardo in una gara per la fornitura urgente di mascherine

Mahena Chiarelli
16 Giugno 2021

Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla legittimità dell'esclusione di un operatore economico che in una gara per l'approvvigionamento urgente di mascherine ometteva di dichiarare una pregressa risoluzione contrattuale per grave inadempimento consistente nel ritardo nella fornitura.

Il caso. Nell'ambito di procedura negoziata d'urgenza per la stipula di un accordo quadro per la fornitura di mascherine necessarie alla gestione dell'emergenza sanitaria Covid-19, un operatore economico impugnava la sua esclusione, disposta ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c) e lett. f-bis), del Codice dei contratti pubblici.

Il provvedimento espulsivo era infatti determinato dall'aver omesso di dichiarare una precedente risoluzione, impugnata e ancora sub judice, per grave inadempimento consistente nel mancato rispetto dei tempi di consegna nella fornitura di capi di abbigliamento.

Il TAR respingeva l'appello e avverso la sentenza il ricorrente ha proposto gravame, respinto dal Consiglio di Stato.

La pronuncia del Consiglio di Stato. Con riferimento alla valutazione di rilevanza e gravità data dalla Stazione appaltante al precedente inadempimento contrattuale, Collegio chiarisce che è corretta l'esclusione dell'offerta di un operatore economico che ha subìto una risoluzione del contatto, pur se quatto anni addietro, proprio per il mancato rispetto dei termini di consegna contrattualmente stabiliti, dal momento che a caratterizzare la procedura in discussione è proprio l'urgenza dell'approvvigionamento; pertanto, giustifica l'esclusione anche solo il dubbio che la fornitura delle mascherine potesse ritardare.

In aggiunta, la valutazione di inaffidabilità dell'operatore economico in ragione di precedenti risoluzioni per inadempimento è espressione di apprezzamento discrezionale della Stazione appaltante, censurabile nei consueti limiti dell'irragionevolezza, illogicità manifesta, arbitrarietà e travisamento dei fatti, che ad avviso del Collegio non configurabili nel caso in esame.

È inoltre errata l'interpretazione fornita dall'appellante secondo cui il limite temporale triennale di rilevanza della pregressa risoluzione contrattuale, contestata in un giudizio ancora pendente, decorrerebbe dalla data di adozione del provvedimento che dispone la risoluzione.

Ad avviso del Collegio, il comma 10-bis dell'art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, inserito dal d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito in l. 14 giugno 2019, n. 55 (c.d. sblocca cantieri), non lascia spazio a dubbi: il dies a quo del triennio di esclusione dalle gare pubbliche decorre dall'adozione del provvedimento di risoluzione, ovvero, se contestato in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza che ha definito la causa.

Con riferimento, infine, al valore escludente attribuito alla omessa dichiarazione della pregressa risoluzione, il Collegio ricorda che l'omissione e la reticenza dichiarativa non legittimano l'automatica esclusione dalla gara, dovendo rimettersi alla Stazione appaltante la valutazione prognostica in ordine all'affidabilità o meno dell'operatore, laddove invece la falsità (informativa, dichiarativa ovvero documentale) ha attitudine espulsiva automatica, oltreché (potenzialmente e temporaneamente) ultrattiva.

Nel caso di specie, l'Amministrazione, in aggiunta al fatto in sé della risoluzione, ha valutato l'omessa dichiarazione in termini di gravità tale da determinare l'esclusione in ragione della particolare importanza della fornitura oggetto di gara quale è l'approvvigionamento urgente di dispositivo di protezione per fronteggiare l'emergenza sanitaria.

In conclusione, l'esclusione disposta dalla Stazione appaltante è esente dalle sollevate censure e l'appello viene respinto.

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