Assegno di divorzio: il reperimento delle informazioni economiche e patrimoniali degli ex coniugi
Piercarlo Bausola
16 Giugno 2021
L'assegno divorzile, avente natura sia assistenziale che perequativa/compensativa, va riconosciuto in virtù del principio di solidarietà post-coniugale costituzionalmente riconosciuto e quantificato su basi di ragionamento che si sono evolute in modo significativo nella giurisprudenza degli ultimi anni. Anche il tema del reperimento di adeguate informazioni per stabilire gli importi adeguati è sicuramente centrale in questo iter.Nel contributo una breve panoramica evolutiva delle posizioni giurisprudenziali attuali, ed anche molto recenti, nel merito della possibilità di indagine da parte dell'ex-coniuge richiedente.
L'assegno di divorzio
L'assegno di divorzio è una contribuzione economica con funzione sostanzialmente assistenziale, versata periodicamente, o anche in un'unica soluzione, a uno dei due coniugi divorziati dall'ex coniuge. Il diritto alla percezione dell'assegno di divorzio deve essere accertato dal Giudice, che verifica la sussistenza di determinati presupposti.
Nella formulazione originaria dell'art. 5, l. n. 898/1970 l'assegno divorzile aveva fondamento misto (assistenziale, risarcitorio e compensativo) e l'analisi del giudice si concentrava solamente sulla posizione economica dell'obbligato.
La norma in origine recitava: «(…) Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l'obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell'altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi (…)».
Chi ne ha diritto
Secondo legge il Tribunale quindi dispone, a carico di uno dei divorziati, l'obbligo di versare all'altro coniuge un assegno periodico quando il secondo coniuge non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive.
L'esame sulla possibilità di reperire mezzi di sostentamento va fatta in concreto: se il coniuge economicamente più debole, ad esempio, gode di un proprio reddito perché ha un lavoro, ma all'atto pratico lo stipendio percepito non è sufficiente per il suo sostentamento, tale coniuge avrà diritto all'assegno.
I giudici hanno ampliato molto l'interpretazione della norma: con una certa continuità si è affermato che il presupposto per la concessione dell'assegno fosse dato dall'insufficienza delle risorse finanziarie del coniuge per conservare un tenore di vita analogo a quello avuto nel corso del matrimonio, senza che fosse necessario un vero e proprio stato di bisogno.
Valutazioni del Tribunale in merito ai criteri di determinazione dell'importo dell'assegno di divorzio
Nello stabilire l'importo dell'assegno, il Giudice deve compiere una valutazione necessariamente discrezionale.
La sentenza n. 11504/2017 della Cassazione, su tale punto ha modificato precedenti orientamenti fornendo alcune indicazioni utili in merito: sono infatti necessari la valutazione della possibilità per l'ex-coniuge di essere indipendente economicamente, delle ragioni della decisione (ossia dei comportamenti che hanno provocato la fine del rapporto), del contributo sul piano umano e sul piano economico dato da ciascun coniuge alla vita familiare nonché alla costruzione del patrimonio di ciascuno e comune, del reddito di entrambi.
La sentenza recita infatti che «Il giudice del divorzio, in relazione alla statuizione sull'assegno di mantenimento, dovrà informarsi al principio di autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi, riferendosi soltanto alla loro indipendenza o autosufficienza economica. L'esclusivo parametro per il giudizio d'inadeguatezza dei redditi o dell'impossibilità oggettiva di procurarseli è quello dell'indipendenza economica del richiedente. L'autosufficienza può essere desunta dal possesso di redditi di qualsiasi specie, di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, della disponibilità di una casa di abitazione e della capacità e possibilità effettive di lavoro personale».
Dopo la sentenza 11504/2017 della Cassazione si ritiene che meno attenzione debba essere attribuita al tenore di vita dei coniugi in costanza di matrimonio.
La Cassazione con questa sentenza intende evitare che si realizzi un indebito arricchimento per l'avente diritto all'assegno, riconoscendo così all'assegno di divorzio natura esclusivamente assistenziale, che giustifica la doverosità della sua prestazione in favore dell'ex coniuge economicamente più debole.
Queste argomentazioni conducono a comprendere la posizione assunta dalla Cassazione con la sentenza n. 11504/2017, per la quale l'individuazione dell'adeguatezza o meno dei mezzi idonei (e la possibilità o meno per ragioni oggettive di procurarseli) per l'ex coniuge va individuata nel raggiungimento della indipendenza economica del richiedente: se è accertato che quest'ultimo è economicamente indipendente o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto all'assegno, poiché il dovere di mantenimento si pone come un elemento sussidiario, che deve operare solo quando l'autosufficienza si dimostra impraticabile.
A prescindere dalla valutazione della rispettiva situazione economico-patrimoniale, e a prescindere dalla considerazione di quale sia stato il tenore di vita durante il matrimonio, all'ex coniuge non potrà essere attribuito alcun sostegno economico, ove questi sia economicamente autosufficiente.
Con tale orientamento si è abbandonato il precedente presupposto di “continuazione del tenore di vita goduto durante il matrimonio”, andando verso una valutazione più concreta di “non autosufficienza economica”.
I parametri che debbono essere presi in considerazione per questa valutazione sono quindi i seguenti:
- le condizioni dei coniugi;
- il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio personale o comune durante il matrimonio;
- i redditi di entrambi;
- la durata del matrimonio.
La Cassazione inoltre ha elencato in modo specifico alcuni parametri per valutare l'esistenza della condizione di autosufficienza economica:
- il possesso di redditi di qualsiasi specie;
- il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari;
- la capacità e possibilità effettive di lavoro personale;
- la disponibilità di una casa di abitazione.
Ciò anche in considerazione della durata del matrimonio: ad esempio, una durata eccezionalmente breve potrebbe indurre il Tribunale a non concedere l'assegno.
La sentenza di Cassazione Sezioni Unite n. 18287 del 11 luglio 2018
Ulteriori elementi importanti di valutazione “per motivi oggettivi e mancanza di mezzi adeguati” sono poi stati ulteriormente approfonditi nella sentenza n. 18287/2018 a sezioni unite della Cassazione, nella quale assume rilievo il parametro del godimento di uno stile di vita dignitoso. L'onere della prova ricade in capo al coniuge richiedente l'assegno divorzile, tenuto a dimostrare non solo l'assenza di risorse reddituali e patrimoniali adeguate al godimento di un dignitoso stile di vita ma anche l'impossibilità di conseguirle per motivi di natura oggettiva (per età del richiedente; assenza delle sue capacità reddituali; totale mancanza di esperienze professionali ecc.). Solo a seguito di tale verifica si provvede alla quantificazione della somma da corrispondersi.
In altre parole, l'assegno di divorzio, con tale pronunzia, non si basa più solo sulla disparità economica dei coniugi, né sulle condizioni soggettive del coniuge richiedente l'assegno, ma viene ancorato al principio di pari dignità che si traduce sul piano concreto nella sua valutazione perequativa e riequilibratrice dovendo garantire all'avente diritto uno stile e tenore di vita dignitoso e contestualmente riconoscere e valorizzare il ruolo svolto all'interno del nucleo familiare, oltre alle opportunità professionali sacrificate ai fini della cura della casa e della famiglia.
Per determinare l'importo dell'assegno, il Tribunale dispone di un ampio ventaglio di mezzi di prova: in particolare, soprattutto quando vi è la necessità di tutelare i figli e dall'analisi della documentazione fornita dalle parti emergono dei dubbi sull'effettiva consistenza del patrimonio di un coniuge, il Tribunale ha la possibilità di chiedere d'ufficio informazioni patrimoniali e reddituali, anche, se necessario, per il tramite della Polizia Tributaria.
Accesso ai dati reddituali e patrimoniali in caso di separazione e divorzio
L'accesso diretto ai documenti di natura reddituale e patrimoniale dell'ex coniuge, senza autorizzazione del giudice civile è stato nel tempo oggetto di diverse posizioni e orientamenti in particolare con riguardo alla problematica relativa alla tipologia di dati ostensibili dagli Enti.
Il Consiglio di Stato, con sentenza del n. 5347 del 29 luglio 2019, aveva dato il via libera all'accesso agli atti e ai documenti di natura reddituale e patrimoniale dell'ex coniuge.
A distanza di circa un mese, un'ulteriore pronuncia si è occupata del medesimo tema: viene effettuato con la stessa un cambio di posizione rispetto alle precedenti posizioni del 2017, segnando un orientamento favorevole all'accesso diretto.
Con una ulteriore recentissima pronunzia, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 19 del 25 settembre 2020, ha di fatto autorizzato l'accesso difensivo dei documenti fiscali, reddituali e patrimoniali del coniuge in pendenza del giudizio di separazione, inseriti nelle banche dati dell'Anagrafe tributaria, mediante estrazione di copia, anche se qualche dubbio permane ancora in merito alle varie tipologie di dati ostensibili e all'accesso per fini diversi da quelli consentiti dal Consiglio di Stato.
Tutto ciò in modo disgiunto dall'esercizio dei poteri processuali, nonché dei poteri istruttori del giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia.
L'accesso diretto ai documenti patrimoniali e reddituali del coniuge nel divorzio e nella separazione
Volendo sintetizzare la questione da cui scaturiscono le pronunzie di Consiglio di Stato citate, occorre ricordare che essa si è incentrata sull'individuazione del legittimo metodo di acquisizione dei documenti patrimoniali e reddituali del coniuge.
In particolare si è posta la questione se le modalità di acquisizione documentale previste dall'art. 22 e seguenti della Legge n. 241/1990, (sull'accesso ai documenti amministrativi), fossero superate nel caso in cui nell'ordinamento giuridico fossero presenti particolari procedimenti e modalità di acquisizione di documenti detenuti dalla Pubblica amministrazione. In sostanza ci si è a lungo interrogati se il diritto di accesso potesse essere esercitato indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste da specifiche norme processuali.
La questione è purtroppo frequente in sede civile nei giudizi divorzili nei quali i coniugi separati discutono in merito alla determinazione dell'assegno divorzile.
L'art. 155-sexies disp. att. c.p.c., (introdotto dal d.l. n. 132/2014, convertito in l. n. 162/2014), ha esteso le disposizioni del processo esecutivo civile, in favore della parte creditrice delle controversie in materia di diritto di famiglia: tali regole prevedono la possibilità di ricerca con modalità telematiche dei beni, (ai sensi dell'art. 492-bis c.p.c.), su determinate banche dati, tra le quali figura ovviamente l'archivio dei rapporti finanziari tenuto dall'Agenzia delle Entrate.
La consultazione telematica può avvenire solo previo rilascio di autorizzazione del Presidente del Tribunale.
La posizione “conservativa” del 2017 del Consiglio di Stato
La sentenza delConsiglio di Stato n. 3461/2017 aveva negato la possibilità di accesso agli atti diretta: il ragionamento dei giudici era principalmente fondato sulla natura strumentale del diritto di accesso.
Nelle fattispecie oggetto di ragionamento, la peculiarità dell'accesso esercitato non era per “favorire la partecipazione” del privato all'attività dell'Amministrazione, nè per “assicurarne l'imparzialità e la trasparenza”, bensì per essere utilizzato in un giudizio nei confronti di un privato. Da tale presupposto il Consiglio di Stato desumeva che ammettere il parallelo esercizio del diritto di accesso sarebbe stato lesiva del diritto di difesa dell'altra parte nel processo civile, sottraendola di fatto al giudice naturale al quale è affidata la decisione.
Su queste basi il Consiglio ritenne che la decisione sulla tutela tra l'interesse del coniuge a vedersi riconosciuto il giusto assegno o divorzile e il diritto alla riservatezza competerebbe solo al giudice civile, il quale conosce, (e “pesa”), le vicende della crisi familiare.
Ancora veniva sottolineato come la Legge n. 241/1990 non prevedesse un generalizzato diritto all'informazione cui il quasi ex-coniuge possa far riferimento per soddisfare le sue esigenze informative.
La “svolta” del Consiglio di Stato del 2019 e la conferma del 2020
L'indirizzo più recente espresso nelle due pronunce del Consiglio di Stato - n. 5347/2019 e n. 5910/2019, si mostra favorevole all'ostensione documentale, ha rovesciato la posizione del 2017.
In tali pronunzie i giudici non hanno negato la natura strumentale del diritto di accesso previsto dalla l. n. 241/1990, (su cui faceva perno la pronuncia del 2017).
Dalla nuova posizione si desume come l'accesso difensivo della parte, previsto dalla l. n. 241/1990, è un istituto di portata generale con rilevanti finalità di pubblico interesse.
Il giudice che tratta la vicenda matrimoniale può utilizzare i poteri di accesso ai dati della Pubblica amministrazione genericamente previsti dall'art. 210 c.p.c., ma questa rimane una sua facoltà e non un obbligo. Per tale ragione va salvaguardata la possibilità per il privato di avvalersi degli strumenti previsti dalla l. n. 241/1990, per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare di consegnare all'Amministrazione.
Posta in questi termini la questione, si potrebbero ritenere complementari i due strumenti giuridici.
Il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, ha poi ulteriormente messo mano alla questione con la pronuncia n. 888 del 4 febbraio 2020, per la quale è da ritenere che tutti i documenti dell'Anagrafe tributaria, contenenti sia i dati patrimoniali e fiscali sia i dati finanziari della sezione archivio rapporti finanziari siano documenti amministrativi accessibili, al di là dell'esercizio del potere esercitabile dal giudice a sua discrezione.
Il Consiglio di Stato in merito ai rapporti tra l'accesso documentale exartt. 22 e seguenti della Legge n. 241/1990 e gli strumenti di acquisizione dei documenti amministrativi nel processo civile (sia secondo la disciplina generale del codice di procedura civile, sia secondo la particolare disciplina dei procedimenti in materia di famiglia), ha ritenuto che dovesse essere riconosciuta la più ampia gamma di strumenti a tutela delle posizioni soggettive potenzialmente lese.
Il Consiglio ha argomentato la posizione esaminando la lettera dell'art. 24, comma 7, della Legge n. 241/1990: in particolare si è sottolineato che l'utilizzo dell'avverbio “comunque” contenuto nella disposizione denota la volontà del legislatore di non “appiattire” l'istituto dell'accesso amministrativo sulla sola prospettiva della partecipazione, dell'imparzialità e della trasparenza.
Emerge, quindi, ai fini del legittimo accesso difensivo, la sola necessità della sussistenza del nesso di strumentalità tra l'accesso e la difesa in giudizio dei propri interessi giuridici.
Da questa posizione si desume come sia prevalso l'orientamento al riconoscimento della possibilità di autonoma acquisizione dei dati reddituali e patrimoniali dell'altro coniuge, superando il dubbio sulla legittimità di tale possibilità ampia, e sulla mancanza di lesione da un lato del “il bilanciamento dei contrapposti interessi” nella ostensione documentale all'istante e dall'altro alla protezione dei dati personali dell'altro coniuge, che sino al quel momento per taluni giustificava l'affidamento esclusivo del compito al giudice civile che si occupa della separazione.
Il Consiglio ha quindi scelto di valorizzare il principio di complementarietà fra la possibilità di acquisizione autonoma dei documenti tributari con istanza di accesso o con ordine del giudice del processo civile, garantendo una tutela più completa dei diritti fondamentali dei familiari e dei figli minori, che sono innegabilmente correlati ad un coretto quadro economico-patrimoniale dei coniugi separandi.
Alcuni dubbi residuali
Ancora qualche punto da chiarire residua in merito alla tipologia dei dati ostensibili, con particolare riferimento ai rapporti finanziari.
Il Consiglio di Stato ha infatti genericamente individuato come ostensibili tutti i documenti dell'Anagrafe tributaria. Com'è noto tali banche dati dispongono sia di dati patrimoniali che fiscali, nonché di dati finanziari.
Ci si interroga ancora sul limite di acquisibilità del dato: se infatti sia opportuno che si possa esclusivamente accedere all'elenco degli istituti di credito e degli altri intermediari con i quali il debitore intrattiene rapporti finanziari oppure se si possa altresì acquisire i dati dei singoli conti o dei rapporti, dei saldi, della giacenza media e/o dei singoli movimenti.
Sul punto qualche perplessità irrisolta ad oggi permane, stante il tenore generalista della definizione di dato contenuto nelle banche dati dell'Amministrazione tratteggiato da Consiglio di Stato.
Sicuramente, va ricordato, che l'accoglimento dell'istanza di accesso non rende il dato acquisito liberamente trattabile dal soggetto richiedente.
Il Consiglio di Stato ha precisato come il soggetto che acquisisce il dato sia rigorosamente tenuto a utilizzare il documento esclusivamente ai fini difensivi, per cui l'ostensione è stata richiesta, a pena di incorrere nelle sanzioni amministrative ed, eventualmente, anche penali, previste per il trattamento illegittimo di dati personali riservati.
Perdita del diritto all'assegno di divorzio
La legge prevede casi particolari nei quali il diritto a percepire l'assegno di divorzio si perde:
a) Il beneficiario contrae nuovo matrimonio: in questo caso perde il diritto a ricevere l'assegno; viceversa quando a risposarsi è il coniuge tenuto al versamento, ciò non comporta automaticamente il venir meno dell'obbligo nei confronti dell'ex coniuge.
La necessità del mantenimento di una nuova famiglia può però costituire un giustificato motivo di revisione dell'assegno di divorzio, ma ciò dovrà oggetto di accertamenti da parte del Giudice.
b) Morte dell'ex coniuge tenuto al versamento: in tal caso si estingue l'obbligo; il coniuge beneficiario ha però la possibilità di godere di altre forme di tutela, principalmente sul piano previdenziale.
La Legge n. 241/1990 prevede anche la possibilità che l'ex coniuge ha diritto a percepire un assegno periodico a carico dell'eredità (assegno successorio) se versa in stato di bisogno e se a suo tempo è stato riconosciuto dal Tribunale l'assegno periodico divorzile.
Tale assegno sarà determinato nel suo quantum dal Tribunale, tenendo conto dell'importo dell'assegno di divorzio, dell'entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche.
c) Se dopo la sentenza di divorzio, il coniuge tenuto al versamento dimostra che l'ex coniuge beneficiario ha acquisito i mezzi per provvedere autonomamente al proprio sostentamento o non si trova più in stato di bisogno, può essere revocato l'obbligo di corresponsione.
La rilevanza della differenza reddituale tra gli ex coniugi
In conseguenza alle pronunzie di Cassazione testé citate, l'orientamento consolidato si è indirizzato ad una valutazione di merito nell'attribuzione dell'assegno divorzile, abbandonando progressivamente parametri per così dire “automatici” come ad esempio la differenza tra le posizioni reddituale degli ex coniugi
Nel solco delle posizioni della sentenza 18287/2018 delle Sezioni Unite, è possibile affermare come non sia sufficiente per giustificare l'attribuzione dell'assegno divorzile, l'esistenza di una differenza, per quanto rilevante, tra i redditi degli ex coniugi.
Al contrario, è necessario accertare la misura del contributo dato dall'ex coniuge che rivendica l'assegno, alla formazione del patrimonio comune o di quello dell'altro ex, a cui si chiede di pagare il mensile.
Cassazione, ordinanza 1786 del 28 gennaio 2021: il concetto di “scelte comuni” dei coniugi
La Cassazione ha di recente pubblicato un'ordinanza (Cass. n.1786/2021), che fa leva sulle “scelte comuni di vita” degli ex coniugi: l'accertamento della sperequazione tra i redditi di marito e moglie va ricercata dal giudice abbia le sue radici «in scelte comuni di vita, in ragione delle quali le realistiche aspettative professionali e reddituali del coniuge più debole sono state sacrificate per la famiglia, nell'accertato suo decisivo contributo alla conduzione familiare, alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune per la durata del matrimonio».
Questa valutazione deve portare al riconoscimento di un contributo, che sarà volto al raggiungimento di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.
Si consolida quindi l'abbandono del concetto di conseguimento di una autosufficienza economica.
Cassazione, ordinanza 5932 del 4 marzo 2021: la ricerca di impiego da parte del beneficiario
La Cassazione con altra recente ordinanza, (Cass. n. 5932/2021), ha sottolineato l'importanza di accertare l'onere esistente in capo al richiedente, di cercare un impiego: i giudici hanno affermato come non possa essere trascurato il rifiuto ad una offerta di lavoro, anche se non correlato all'eventuale titolo di studio o livello di esperienza o alle aspirazioni individuali del coniuge che chiede l'assegno.
Cassazione Civile, pronunzia del 25 febbraio 2021 n. 5077: l'assegno di divorzio non spetta se il beneficiario lavora in nero
Una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. n. 5077/2021) ha negato l'assegno divorzile per l'ex coniuge che, dichiaratosi impossibilitato di lavorare, in realtà lavorava in nero.
La sentenza conferma una giurisprudenza consolidata secondo la quale l'assegno divorzile spetta all'ex coniuge economicamente più debole ed impossibilitato a lavorare. Tale impossibilità può derivare da motivi di salute o da difficoltà oggettive ad inserirsi nel mondo del lavoro.
Profilo interessante di questa pronunzia è inoltre la legittimazione dell'uso delle investigazioni private per verificare la veridicità delle affermazioni dell'ex coniuge ai fini del percepimento dell'assegno divorzile: tali indagini, volte a verificare se l'ex coniuge percepisca indebitamente l'assegno divorzile, sono per la Corte da considerarsi legittime.
La convivenza dell'ex coniuge beneficiario
Un altro spunto di riflessione, che viene da sempre crescenti casistiche, attiene alla valenza estintiva sull'obbligo di versare l'assegno divorzile derivante della sopravvenuta convivenza more uxorio.
Il filone interpretativo attuale propenderebbe per l'esclusione dell'assegno nel caso di una sopravvenuta convivenza successiva al divorzio.
Questa posizione potrebbe però essere indebolita dai criteri sopra illustrati, sui quali si è basata l'individuazione del carattere perequativo-compensativo dell'assegno divorzile e cioè la centralità del contributo dato al patrimonio familiare da parte del coniuge più debole.
In quest'ottica l'assegno non potrebbe essere escluso automaticamente dalla nuova convivenza, non venendo meno il presupposto fondante della corresponsione così come individuato dal 2018 nelle pronunzie della Suprema Corte.
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Sommario
L'assegno di divorzio
Valutazioni del Tribunale in merito ai criteri di determinazione dell'importo dell'assegno di divorzio
L'accesso diretto ai documenti patrimoniali e reddituali del coniuge nel divorzio e nella separazione
La posizione “conservativa” del 2017 del Consiglio di Stato
La “svolta” del Consiglio di Stato del 2019 e la conferma del 2020