Applicazione dell'affidamento familiare nell'ambito del giudizio di separazione
17 Giugno 2021
Il fatto. La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto da un padre, avente ad oggetto la regolamentazione dell'affidamento familiare della figlia minorenne nell'ambito del giudizio di separazione. In particolare, il Collegio tratta congiuntamente per connessione i primi tre motivi del ricorso principale e l'unico motivo di quello incidentale concernenti l'applicazione, nell'ambito del procedimento di separazione personale dei coniugi, dell'istituto dell'affidamento familiare. In primo luogo, la Corte sottolinea che il diritto del minore ad una crescita equilibrata all'interno della famiglia di origine è il principio cardine cui si ispira l'istituto in esame previsto dalla l. n. 184/1983, come modificato dalla l. n. 149/2001, in quanto limitato nel tempo e finalizzato al superamento di condotte pregiudizievoli dei genitori ai sensi dell'art. 333 c.c. - senza dar luogo ad una pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c. La Corte osserva poi che la misura dell'affidamento può declinarsi nelle forme dell'affidamento interfamiliare, ovverosia con riferimento ai membri della c.d. famiglia “allargata” - come accaduto nel caso di specie, con la collocazione presso la famiglia della zia paterna – nell'esigenza prioritaria di evitare al minore, insieme al trauma conseguente all'allontanamento dei genitori, quello di vedersi deprivato del contesto familiare in cui è cresciuto. Alla luce di quanto esposto, il Collegio rileva come la sentenza impugnata sia viziata sotto una pluralità di profili: il mancato ascolto della minore - senza che siano state esplicitate le ragioni -, la mancata indicazione della durata dell'affido familiare, nonché l'assenza di un motivato provvedimento di proroga espresso, e, ancora, la mancata valutazione in ordine alla ricorrenza di un conflitto di interessi tra la minore ed i genitori, nonostante la compromissione dei rapporti relazionali tra tutte le parti.
La questione sottoposta alla Corte. La Corte di Cassazione evidenzia che, qualora l'istituto dell'affido familiare venga applicato nell'ambito di un giudizio di separazione - come nel caso di specie - o di divorzio, è il giudice del tribunale ordinario a dover osservare le disposizioni in esame: stabilendo la durata dell'affidamento, disponendo, se del caso, la proroga motivata temporalmente circoscritta. Mette conto osservare che compete al giudice del tribunale ordinario, in ragione della particolare delicatezza dell'istituto e della sua diretta incidenza limitativa sull'esercizio della responsabilità genitoriale, valutare se ricorra in concreto una situazione di conflitto di interessi del minore verso entrambi i genitori, l'andamento delle iniziative poste a sostegno del recupero dell'originario nucleo familiare, nonché la conflittualità esistente tra i coniugi e la posizione assunta dagli stessi tra loro e nei confronti degli affidatari. Il giudice è tenuto altresì a valutare la ricorrenza di una causa di cessazione della misura per il venir meno della situazione di difficoltà temporanea della famiglia di origine ovvero, qualora ciò non sia possibile perché le condizioni familiari non sono migliorate o mutate e non consentono di reintrodurre il minore nella famiglia di origine, ad ascoltarlo nuovamente e richiedere, se necessario, al Tribunale per i minorenni competente l'adozione di ulteriori provvedimenti nell'interesse del minore. In conclusione, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata nei limiti dell'accoglimento dei primi tre motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale, concernenti l'applicazione, nell'ambito del procedimento di separazione personale dei coniugi, dell'istituto dell'affidamento familiare, rinviando la causa alla Corte d'Appello di Torino.
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