Quali tutele sono previste per il figlio maggiorenne non autosufficiente cacciato di casa dalla madre?

Giulio Montalcini
29 Giugno 2021

Figlio maggiorenne di coppia divorziata cacciato di casa dal genitore già collocatario: quali tutele sul piano economico?

Un ragazzo maggiorenne ancora studente e quindi non economicamente autosufficiente viene letteralmente buttato fuori casa dalla madre presso il quale lo stesso abita a seguito della separazione dei genitori. Il padre è da anni che non versa l'assegno di mantenimento per il figlio disposto in sede di separazione e poi divorzio. Il figlio vorrebbe ottenere, dal giorno in cui è stato cacciato di casa, il mantenimento da entrambi i genitori sino a che non sarà economicamente autosufficiente. Il ragazzo può fare un ricorso ai sensi dell'art.337-ter c.c. o art.337-septies c.c.?

Con la legge n. 54/2006, all'art. 155-quinquies c.c., il legislatore è intervenuto allo scopo di colmare una lacuna dell'ordinamento, laddove non era riconosciuto un autonomo diritto del figlio maggiorenne, non ancora economicamente indipendente, di ricevere un contributo al mantenimento da parte dei suoi genitori.

All'uopo, la disposizione citata prevedeva che «il giudice, valutate le circostanze, potesse disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico» da parte dei genitori, da versarsi direttamente all'avente diritto.

La precedente versione dell'art. 316 c.c., al primo comma, prevedeva che l'ormai soppresso istituto della potestà genitoriale perdurasse sino al compimento della maggiore età da parte del figlio, ovvero della sua emancipazione. Ciò comportava che, intervenuta la maggiore età o l'emancipazione del minore, i diritti/doveri dei genitori venissero a decadere, lasciando sostanzialmente privi di tutela i figli appena maggiorenni, che non avessero ancora reperito un'occupazione in grado di garantire loro un reddito adeguato.

Va precisato che in capo ai genitori permaneva – e permane tutt'oggi – un obbligo di natura alimentare nell'ipotesi in cui il figlio, anche maggiorenne, versasse in stato di bisogno, secondo l'ordine previsto dall'art. 433 c.c.

La situazione si appalesava maggiormente discriminatoria proprio nelle situazioni di disgregamento della coppia genitoriale, per effetto dell'interruzione della convivenza, producendo un'obiettiva compromissione del tenore di vita precedente dei figli della coppia.

La riforma della filiazione contenuta nel d.lgs. n. 154/2013, oltre all'intento di superare ogni forma di discriminazione tra i cd. figli naturali e/o non matrimoniali e i figli cd. legittimi e/o matrimoniali, con la creazione di un unico status di figlio, ha introdotto il “nuovo” istituto della cd. responsabilità genitoriale, estendendo la portata cogente di alcuni dei suoi effetti, incluso il dovere, da parte dei genitori, di mantenere la prole, oltre la soglia della maggiore età della stessa.

Occorre pertanto comprendere quali doveri genitoriali specifici permangano, subentrata la maggiore età del figlio: sicuramente l'obbligo di mantenimento, finché il giovane non abbia raggiunto la propria indipendenza economica, secondo quanto previsto dall'art. 337-septies c.c., introdotto proprio dalla riforma anzidetta, all'interno del quale è confluito il testo del precedente art. 155-quinquies c.c. Ma anche, è da ritenere, un dovere di solidarietà e di assistenza morale che lega ogni componente della famiglia, che ha diritto all'unità ed alla serenità familiare (si vedano l'art. 8 CEDU e il nostro codice civile, all'art. 315-bis c.c.).

Dopo il compimento della maggiore età il figlio diviene soggetto titolare della capacità di agire e l'art. 337-septies c.c. dispone che, laddove, per causa a lui non imputabile, costui non sia ancora in grado di mantenersi, il genitore, od entrambi, provvedano a versare lui un assegno, per far fronte ai suoi bisogni esistenziali.

Con la riforma, è chiaro, si assiste alla difficoltà obbiettiva di individuare il momento esatto in cui l'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente indipendente, da parte dei genitori, venga a cessare. La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che, una volta intervenuta l'autosufficienza economica, il figlio perda il diritto di esigere il cd. mantenimento di ritorno, nel senso di non poter pretendere, anche in caso di futura perdita dell'occupazione o di rientro a casa dai genitori, il diritto di essere da quest'ultimi mantenuto, fermi in ogni caso gli obblighi alimentari di questi nei suoi confronti, nel caso il ragazzo o la ragazza versino in stato di bisogno.

La situazione descritta dal quesito appare, a mio modo di vedere, sufficiente a ritenere che il figlio possa azionare autonomamente un ricorso ex art. 337-septies c.c. nei confronti di entrambi i genitori, in quanto gravati solidalmente dall'obbligo di mantenimento nei suoi confronti, potendo pretendere che gli stessi siano tenuti a versargli direttamente un assegno periodico, con rimborso delle spese cd. straordinarie, solitamente individuate dai singoli protocolli interni ai Tribunali.

È bene precisare peraltro che, in punto accertamento della non autosufficienza economica da parte del figlio, che è il prerequisito per ricorrere in giudizio, la più recente giurisprudenza di legittimità, con la decisione n. 17813/2020, ha operato un'inversione a carico del richiedente dell'onere di dimostrare, non solo di non aver raggiunto l'indipendenza economica, ma altresì di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un'occupazione. Ciò rilevato, la Corte di Cassazione ha aggiunto altresì la presunzione secondo la quale, raggiunta la maggiore età, il reddito del figlio maggiorenne richiedente è ritenuto idoneo, salva prova contraria. In poche parole, con il raggiungimento della maggiore età cessa ogni automatismo in ordine al diritto di mantenimento nei confronti (così Sapi G., Il diritto/dovere di mantenimento dei figli maggiorenni, in ilFamiliarista).

In ottemperanza a un indirizzo già consolidato, la Suprema Corte ha precisato, peraltro, che man mano che l'età del richiedente avanzi, l'occasione per il figlio di vincere detta presunzione in giudizio diverrà più difficile.

La giurisprudenza riconosce al figlio maggiorenne legittimazione ad agire iure proprio in ordine al recupero delle somme impagate dal genitore obbligato in sede divorzile, quantomeno per il periodo successivo al raggiungimento della sua maggiore età.

Diversa questione è quella relativa, invece, alla facoltà di esigere gli importi pregressi, quando invero il ragazzo era ancora minorenne, giacché solo la madre, in quel caso, in quanto titolare del relativo credito, avrebbe autonomo titolo per dare inizio all'esecuzione forzata.

Tornando alla fattispecie in commento, pare altresì che, con l'allontanamento forzato da casa del figlio, la madre abbia procurato a quest'ultimo una lesione di un altro suo diritto costituzionalmente garantito, ovvero quello all'unità familiare e alla solidarietà reciproca all'interno della famiglia, escluso, naturalmente, ogni elemento di concorso di colpa od ogni esclusiva responsabilità a carico dello stesso di cui si ignora totalmente la sussistenza.

È senz'altro vero che, raggiunta la maggiore età, il figlio non rimane più vincolato ad uno specifico dovere di convivenza con i genitori e questi, viceversa, non sono tenuti ad ospitare il figlio nella propria casa vita natural durante, se non lo desiderano: i genitori, tuttavia, mantengono un dovere di solidarietà ed assistenza morale nei confronti dei figli, a prescindere dalla loro età anagrafica, dovendo preservare, oltretutto, il loro diritto all'unità familiare: una convivenza interrotta bruscamente, accompagnata da una condotta simile all'abbandono, postula, a mio modo di vedere, l'esistenza di un illecito endofamiliare, risarcibile in via equitativa da parte del suo autore, su richiesta della vittima.

S'intravede dunque una duplice tutela azionabile in giudizio dal ragazzo studente, all'interno del medesimo ricorso, volto a ripristinare, da una parte, il dovere di mantenimento reciproco da parte dei genitori e, dall'altra, ad ottenere dalla madre un risarcimento per l'illecito endofamiliare patito.

Egli oltretutto ben potrebbe elevare autonomo atto di precetto nei confronti del padre, al fine di ottenere il recupero delle somme impagate da questi, dovute in forza della sentenza di divorzio, a partire dal raggiungimento della sua maggiore età sino ad oggi.

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