Determinazione assegno di divorzio: rileva anche la divisione dei beni post scioglimento della comunione

Nicolò Merola
02 Luglio 2021

L'assegno di divorzio deve essere determinato valutando anche i beni divisi tra i coniugi a seguito di scioglimento della comunione legale
Massima

La valutazione dei beni ricadenti nella comunione legale – soprattutto quando essa è costituita e alimentata con l'apporto prevalente di uno solo dei coniugi ed in previsione della divisione della stessa in parti uguali – è un fatto rilevante, al momento della cessazione del vincolo coniugale, ai fini della determinazione dell'assetto patrimoniale tra le parti.

Il caso

Tizio aveva proposto reclamo avverso la decisione del Tribunale di Vicenza, chiedendo la revoca o la riduzione dell'assegno divorzile, già quantificato in € 2000 mensili.

La Corte d'Appello di Venezia aveva rigettato il reclamo di Tizio, sostenendo che l'assegnazione a Caia di un immobile – di valore pari ad € 290.000 ed alla stessa attribuito a seguito di divisione dei beni che ricadevano nella disciolta comunione legale tra coniugi – e la rinuncia della moglie ai diritti ereditari verso la propria madre, non fossero elementi rilevanti.

Tizio ha proposto così ricorso per cassazione, articolando tre motivi, mentre Caia resisteva con memoria.

La questione

Qual è l'incidenza del regime patrimoniale scelto dai coniugi, nonché della divisione dei beni tra gli stessi, ai fini della determinazione e quantificazione dell'assegno di divorzio?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d'Appello di Venezia, in diversa composizione, accogliendo così i primi due motivi del ricorso e ritenendo inammissibile il terzo.

Più precisamente Tizio lamentava la violazione di legge e l'omissione manifesta della motivazione, poiché l'attribuzione a Caia, da parte del Tribunale, di un immobile – del valore di € 290.000 – non era stata correttamente valutata dai giudici di secondo grado.

Caia era divenuta proprietaria esclusiva del bene a seguito dello scioglimento della comunione tra i coniugi e la Corte d'Appello aveva valutato la circostanza come “variazione meramente qualitativa del patrimonio” e, dunque, irrilevante.

Prima di esaminare gli aspetti centrali della vicenda, è bene sottolineare che, come indicato dalle Sezioni Unite (v. Cass. civ. n. 18287/2018), l'assegno divorzile ha una funzione assistenziale, ma anche perequativo-compensativa e presuppone l'accertamento di uno “squilibrio effettivo e di non modesta entità” delle condizioni economiche delle parti.

Il Giudice, dunque, nella valutazione complessiva dovrà considerare anche che l'esigenza di riequilibrio non sia già stata “coperta dal regime patrimoniale prescelto” dai coniugi: se essi, infatti, hanno “optato per la comunione, ciò potrà aver determinato un incremento del patrimonio del coniuge richiedente, tale da escludere o ridurre la detta esigenza” (v. Cass. civ., 21228/2019).

Nel caso specifico, il bene in oggetto era in comproprietà tra le parti – unitamente ad un altro, adibito a farmacia – e sul presupposto della redditività delle rispettive quote, il Tribunale aveva quantificato in € 2000 l'assegno divorzile. Successivamente, a seguito di giudizio di divisione, Caia era divenuta esclusiva proprietaria di un immobile: elemento definito non rilevante dalla Corte, che non aveva così esaminato la nuova situazione di fatto venutasi a creare.

Secondo, però, il consolidato orientamento del Supremo Collegio, la revisione dell'assegno divorzile postula l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche delle parti ed il giudice deve verificare se – e in che misura – le circostanze “sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e adeguare l'importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata” (v. Cass. civ., 1119/2020; Cass. civ., 787/2017).

La sentenza impugnata non ha illustrato le ragioni, né fattuali né giuridiche, della irrilevanza dell'attribuzione esclusiva a Caia dell'immobile, che è, invece, potenzialmente idonea ad alterare quanto accertato al momento della pronuncia di divorzio, con conseguente fondata possibilità di revisione dell'assegno.

Ne deriva, dunque, che al momento della cessazione del vincolo coniugale, la valutazione dei beni ricadenti nella comunione – soprattutto nei casi in cui essa sia costituita e alimentata dall'apporto prevalente di uno dei coniugi ed in vista della divisione della stessa in parti uguali – sia rilevante per la determinazione dell'assetto patrimoniale tra le parti.

Con il secondo motivo Tizio denunciava, altresì, la violazione di legge e la motivazione omessa, stante la ritenuta irrilevanza anche della rinuncia di Caia ai diritti ereditari verso la propria madre, per un importo di valore pari ad € 26.600.

La sentenza impugnata definiva la scelta insindacabile ed individuale, ma il Supremo Collegio ha ritenuto di rinviare alla Corte territoriale, in diversa composizione, per permettere di evidenziare – anche mediante una completa indagine istruttoria – se vi sarebbe potuta essere un'alterazione delle condizioni economiche delle parti in senso migliorativo per Caia.

Il terzo motivo, infine, è inammissibile per difetto di specificità.

Tizio rappresentava una situazione non più sopportabile a causa dei molteplici esborsi a favore di Caia e sosteneva che i Giudici di secondo grado non vi avevano posto rimedio, ma senza precisare a quali statuizioni della sentenza impugnata si riferiva, né quali erano le ragioni.

Osservazioni

Il caso in questione offre diversi spunti di riflessione: l'assegno divorzile e la sua natura, innanzitutto.

Sul punto pare opportuno ricordare il più recente orientamento di legittimità, tale per cui l'assegno divorzile ha una funzione assistenziale, ma anche perequativo-compensativa: ciò conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato a quanto fornito nella realizzazione della vita familiare, considerando anche le aspettative professionali sacrificate e valorizzando il ruolo e l'apporto dato dalla parte economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia, oltre che di quello personale dei coniugi stessi (v. Cass. civ., n. 27771/2019; Cass. civ. n. 21234/2019; Cass.civ., n. 18287/2018).

Ai fini dell'attribuzione e quantificazione dell'assegno divorzile, dunque, il Giudice dovrà considerare anche il regime patrimoniale scelto dai coniugi, poiché il regime della comunione potrebbe aver determinato un incremento del patrimonio della parte richiedente l'assegno.

È necessario qui precisare un aspetto riguardante la comunione legale tra i coniugi: essa costituisce – nella interpretazione giurisprudenziale assolutamente prevalente e fin dalla pronuncia della Corte Cost. n. 311/1988 – una “comunione senza quote” (v. Cass. civ., n. 33546/2018; Cass. civ.,n. 8803/2017), nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei, trattandosi di “comunione finalizzata, a differenza della comunione ordinaria, non già alla tutela della proprietà individuale, ma piuttosto a quella della famiglia” (v. Cass. civ., n. 6575/2013; Cass. civ., n. 12923/2012).

All'atto dello scioglimento della comunione, infatti, l'attivo e il passivo devono essere ripartiti in parti uguali (art. 194 c.c.) indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi alla formazione del contributo comune.

Dalla disciplina della comunione legale risulta, pertanto, una struttura normativa difficilmente riconducibile alla comunione ordinaria: quest'ultima è, infatti, una comunione per quote, che sono oggetto di un diritto individuale dei singoli partecipanti (ex art. 2825 c.c.) e delimitano il potere di disposizione di ciascuno sulla cosa comune (art. 1103) (v. Giulia Rossi, Comunione: differenze tra comunione ordinaria, legale, ereditaria, condominio e società in Giuricivile,).

Da ultimo è necessario soffermarsi sulla revisione dell'assegno divorzile: essa, come detto, postula l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche delle parti idonea a mutare l'assetto pregresso, ma il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno, dovendosi limitare a quanto previsto.

Il principio si coniuga con quello generale per cui i provvedimenti vengono emessi dall'autorità giudiziaria rebus sic stantibus, ovvero sulla base della situazione di fatto così come prospettata in un determinato momento, allo stato attuale, ferma restando la modificabilità della stessa in presenza di elementi sopravvenuti che mutino il quadro della valutazione precedente (v. T. Galletto, La clausola «rebus sic stantibus», 1991).