La vaccinazione anticovid dei minorenni senza il consenso dei genitori: una questione aperta

Giovanni Iorio
07 Luglio 2021

Si legge sui mass media, negli ultimi giorni, che alcuni minorenni chiedono di essere sottoposti alla vaccinazione anticovid contro la volontà dei genitori. Il contributo intende riflettere sugli scenari che possono aprirsi in materia. Punto di partenza è la normativa vigente e, in particolare, l'art. 3 della l. n. 219/2017 sui trattamenti sanitari nei confronti degli infra diciottenni.
La questione

Le cronache più recenti raccontano di alcuni minorenni che intendono sottoporsi alla vaccinazione anticovid contro la volontà dei genitori. Non è dato sapere, esattamente, quale sia la platea dei giovani che hanno manifestato una siffatta determinazione.

Né si conoscono le ragioni alla base di questa scelta la quale, inevitabilmente, comporta momenti di frizione all'interno della famiglia. Può immaginarsi che, accanto al desiderio di non ammalarsi in futuro (l'efficacia dei diversi vaccini disponibili è ormai dimostrata, anche sulla scorta di evidenze statistiche), vi è il desiderio di «ritornare a vivere»: non si scordi, infatti, che il certificato vaccinale consente dal 1° luglio 2021 la libera circolazione su tutto il territorio europeo (senza quelle restrizioni cui, altrimenti, si è sottoposti). Inoltre, pare profilarsi la necessità di dimostrare l'avvenuta vaccinazione al fine di frequentare luoghi pubblici o aperti al pubblico, come discoteche, eventi musicali, cinema. Il che spiega perché il tema della vaccinazione dei minorenni finisca per riguardare la «socialità» degli stessi o, come pure si può dire, il loro «benessere sociale».

Ci si chiede, in questi giorni, se i minorenni possano far valere la loro pretesa giudizialmente, ed in che modo. La questione non è affatto semplice, considerando che i ragazzi sono soggetti alla responsabilità genitoriale fino al compimento del diciottesimo anno di età.

Scopo di questo contributo è individuare la cornice di riferimento dei trattamenti sanitari nei confronti dei minorenni, al fine di indagare se sia possibile procedere alla vaccinazione anche quando i genitori (non necessariamente no-vax, sia chiaro) esprimano parere contrario.

Non ci si occupa, qui, del dissidio fra i genitori nel momento della decisione delle cure da approntare ai minorenni. Sul punto si rinvia ad altri contributi comparsi anche su questa Rivista (A. Simeone, Scelta della residenza, ricorso ex art. 316 c.c. o 709-ter c.p.c.?, in ilFamiliarista).

I trattamenti sanitari dei minorenni ex art. 3 l. n. 219/2017

La legge n. 219/2017, ha dettato le «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento». L'art. 1 stabilisce che «la presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge».

Quanto agli incapaci ed ai minori, viene in considerazione l'art. 3, comma 1, della l. n. 219/2017, per il quale «la persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all'articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà».

Non vi è dubbio che, dalle disposizioni appena ricordate, emerga la rilevanza della volontà del minorenne rispetto al trattamento medico che lo riguarda. Ed infatti, ove abbia capacità di discernimento egli è titolare di un diritto che potremmo chiamare «di compartecipazione» alle scelte che riguardano la propria salute. Non sono poche, del resto, le norme del nostro ordinamento che richiedono l'audizione del minorenne (cfr., solo a titolo di esempio, l'art. 336-bis c.c., sull'ascolto del minore nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano; l'art. 7, comma 3, l. n. 184/1983, sull'ascolto dell'adottando; l'art. 37 del Codice di deontologia medica, sull'opposizione del minore al trattamento medico. In una prospettiva sovranazionale, v. l'art. 12 della Convenzione dell'ONU sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, n. 12).

Questo non vuol dire che il giovane possa prescindere dalla manifestazione della volontà dei genitori. Al riguardo, l'art. 3, comma 2, della l. n. 219/2017 stabilisce che «il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità». Il consenso informato dei genitori, dunque, non può essere frutto di scelte meramente discrezionali. Esso, infatti: (a) deve tener conto della volontà della persona minore (in relazione alla sua età ed al grado di maturità raggiunto); (b) deve essere ispirato alla finalità di tutelare la salute psicofisica e la vita dell'infra diciottenne.

Può però succedere che la volontà manifestata dai genitori si ponga in contrasto con le linee guida appena tratteggiate. Per questi casi, allora, viene in considerazione l'art. 3, comma 5, della l. n. 219/2017, secondo cui «nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l'amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all'articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria» (uno dei primi casi di applicazione della disposizione in esame si rinviene nel provvedimento del giudice tutelare di Firenze del 12 aprile 2019, citato da C. Di costanzo, Il dissenso alle emotrasfusioni a beneficio di una minore. Considerazioni in calce a un provvedimento del giudice tutelare del Tribunale di Firenze, in www.federalismi.it).

E così, qualora il medico ritenga necessario il trattamento sanitario per la tutela della salute o della vita del minorenne e, ciononostante, i genitori si oppongano, la decisione sarà rimessa al giudice tutelare.

Due precisazioni. La prima riguarda l'espressione «cure appropriate e necessarie», contenuta nell'art. 3, comma 5, della l. n. 219/2017. Debbono ritenersi tali quelle che, secondo la valutazione del medico, abbiano un effetto positivo sulle condizioni psico-fisiche del paziente; ciò nell'ambito di una valutazione diagnostica che tenga conto delle specifiche condizioni e del quadro clinico della persona.

La seconda precisazione. L'art. 3, comma 5, della l. n. 219/2017 consente di ricorrere al giudice tutelare quando i genitori rifiutino le cure proposte che il medico ritiene appropriate e necessarie. Se tuttavia ci si ferma a riflettere, il ricorso giudiziario potrebbe essere promosso anche quando consti un contrasto, fra il minorenne ed i genitori, sul trattamento sanitario proposto. Ed infatti, allorché un minorenne si rivolga al medico per ricevere un trattamento sanitario ed alleghi il dissenso dei genitori, lo stesso medico verificherà se le cure richieste siano «necessarie e appropriate». E qualora questa verifica abbia esiti positivi, la strada è quella segnata dal ricordato art. 3, comma 5, della l. n. 219/2017.

La richiesta di vaccinazione anticovid da parte dei minorenni: possibili scenari

Si abbia riguardo al seguente scenario: un minorenne si rivolge al medico o ad una struttura sanitaria chiedendo di ricevere la somministrazione del vaccino anticovid. Manca però il consenso dei genitori giacché questi sono contrari alla vaccinazione.

Ragionando secondo un'ottica formalistica (e rimanendo, dunque, nell'alveo del ricordato art. 3, comma 2, della l. n. 219/2017, secondo cui il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale) dovrebbe dirsi che siffatta richiesta non possa avere seguito.

Ove però si voglia coltivare una prospettiva che tenda a valorizzare sia il diritto di «compartecipazione» dei minorenni sia il diritto alla loro salute (una «prospettiva costituzionale», diremmo), si può ritenere che - mancando il consenso dei genitori - il medico dovrà verificare che le cure richieste siano «necessarie» e «appropriate». Se così è, si aprirà la via giudiziale ai sensi dell'art. 3, comma 5, della l. n. 219/2017.

Decisivo, giova ribadirlo, è l'accertamento del carattere «necessario» ed «appropriato» delle cure richieste. Per rimanere al tema della vaccinazione dei minorenni, il medico dovrà verificare che, in relazione all'età della persona ed alla sua storia clinica, la somministrazione del vaccino richiesto non presenti problematiche e rischi; e, ancora, che esso sia efficace al fine di evitare il contagio da covid (o, comunque, di attutirne gli effetti nel caso in cui venga contratto il virus).

Nel rispetto delle valutazioni cliniche appena tratteggiate, può compiersi pure un'ulteriore considerazione. Si è detto, all'inizio del discorso, che nei prossimi mesi sembra profilarsi una situazione per cui il certificato vaccinale servirà per frequentare luoghi pubblici o aperti al pubblico. La «socialità» dei ragazzi, così, finirà per essere legata alla prova di essere stati vaccinati contro il covid. Ebbene, il diniego ingiustificato alla sua somministrazione potrebbe rilevarsi lesivo del «benessere sociale» dei giovani.

Questa espressione, è bene precisarlo, rappresenta una delle moderne (ed accreditate) declinazioni del diritto alla salute. Prova ne sia che da tempo la nostra giurisprudenza definisce il diritto alla salute come «diritto all'equilibrio ed al benessere psicofisico» (Trib. Catania 19 marzo 2018; Trib. Roma 11 marzo 2011, che discute di benessere psichico-sociale del minore; Trib. Roma 24 marzo 2001, secondo cui il diritto alla salute va inteso «non solo come assenza di malattia ma come più ampio stato di completo benessere fisico, mentale e sociale»; in termini simili v., già, Trib. Perugia 14 aprile 1982). Quest'ampia nozione si rinviene pure nelle Carte sovranazionali. Ad esempio, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata nel dicembre del 1948, contiene un'ampia definizione del diritto alla salute. L'art. 25 della Dichiarazione sancisce che «ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari …». Si noti che il diritto alla salute non viene inteso soltanto come diritto all'assistenza sanitaria, ponendosi in relazione ad altri diritti sociali. Ed ancora, la dichiarazione di Alma Ata sull'assistenza sanitaria primaria, adottata dalla Conferenza internazionale sull'assistenza sanitaria tenutasi nel settembre del 1979, precisa che la salute debba essere intesa «come stato di benessere fisico, sociale e mentale e non solo come assenza di malattia ed infermità». Infine, l'Organizzazione mondiale della sanità definisce la salute come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solamente l'assenza di malattia o inabilità»: si fa riferimento, dunque, ad una situazione di armonico equilibrio dell'organismo, dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale.

In conclusione

Ragionando nell'ambito del diritto positivo, non sembra che siano preclusi spazi per promuovere un ricorso al giudice tutelare allorché il medico constati che il minorenne chieda di ricevere la somministrazione vaccinale anche contro il consenso dei genitori. Occorrerà procedere, d'altra parte, ad una valutazione caso per caso, non potendosi pensare a soluzioni standardizzate che prescindano da un'attenta considerazione delle vicende di ogni persona.

Va pure aggiunto, però, che della materia dovrebbe interessarsi il legislatore. Sotto un primo aspetto, potrebbe prevedersi anche per i minorenni una norma dettata in tema di amministrazione di sostegno. In particolare, l'art. 410, comma 2, c.c. stabilisce che l'amministratore di sostegno debba tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario. In caso di contrasto, la persona stessa, il pubblico ministero o gli altri soggetti di cui all'art. 406 c.c. possono ricorrere al giudice tutelare che adotta con decreto motivato gli opportuni provvedimenti. La norma, non vi è dubbio, trova applicazione anche di fronte all'amministratore di sostegno nominato in ambito sanitario (Trib. Vercelli 31 maggio 2018). Considerando, anzi, che in quest'ultimo settore è particolarmente avvertita l'esigenza di valorizzare la volontà della persona interessata (come si ricava dal citato art. 3 della l. n. 219/2017), ho prospettato altrove un'applicazione analogica della norma codicistica anche di fronte al tutore chiamato a compiere scelte mediche a favore dell'interdetto (G. Iorio, Corso di diritto privato, VI a ed., Torino, 2020, 188). Del resto, è ormai acquisito il fatto che l'istituto dell'amministrazione di sostegno abbia un vasto campo di applicazione in materia di protezione delle persone incapaci (cfr. Corte cost. 9 dicembre 2005 n. 440, secondo cui il giudice può ricorrere alle più invasive misure dell'interdizione e dell'inabilitazione in via residuale). Più problematica, semmai, è la possibilità di applicare analogicamente la disposizione in parola ai minorenni, la cui incapacità (legata appunto alla giovane età) presenta tratti non assimilabili a quella di chi si venga a trovare in una situazione di sopraggiunta menomazione fisica o psichica. Tuttavia, l'introduzione espressa di una norma di questo tipo anche per i minorenni consentirebbe loro di agire direttamente in un giudizio avente ad oggetto il trattamento medico da ricevere.

Sotto un secondo aspetto, occorrerebbe prevedere un'efficace forma di «mediazione», all'interno della famiglia, in modo da evitare – ove sia possibile - che la questione abbia esiti giudiziali. Dovrebbero valorizzarsi, in particolare, il ruolo e la funzione dell'avvocato, ed in particolare di quello «specializzato» in diritto di famiglia, cui andrebbero riconosciute specifiche prerogative al fine di conciliare le diverse e contrapposte ragioni. In questo quadro, la sottoposizione al giudice tutelare della decisione in ordine al trattamento sanitario oggetto di contrasto fra genitori e figli dovrebbe considerarsi l'extrema ratio, cui ricorrere quando la tutela della salute e del benessere sociale del minorenne non possano essere assicurati in altro modo.