Incostituzionale la norma che obbliga il giudice a punire con il carcere il reato di diffamazione a mezzo stampa
12 Luglio 2021
Sono incostituzionali, perché in contrasto con la libertà di manifestazione del pensiero, le norme vigenti che obbligano il giudice a punire con il carcere il reato di diffamazione a mezzo stampa o della radiotelevisione, aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato.
La minaccia dell'obbligatoria applicazione del carcere «può produrre infatti l'effetto di dissuadere i giornalisti dall'esercizio della loro cruciale funzione di controllo dell'operato dei pubblici poteri». Si legge così nel comunicato del 12 luglio della Corte Costituzionale con riferimento alla sentenza n. 150/2021. Tuttavia, non è incompatibile con la Costituzione che il giudice punisca con il carcere chi, ad esempio, si sia reso responsabile di «campagne di disinformazione condotte attraverso la stampa, internet o i social media, caratterizzate dalla diffusione di addebiti gravemente lesivi della reputazione della vittima, e compiute nella consapevolezza da parte dei loro autori della – oggettiva e dimostrabile – falsità degli addebiti stessi». La Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 13 della legge sulla stampa (n. 47/1948), che prevedeva la necessaria applicazione della reclusione da uno a sei anni per il reato di diffamazione commessa a mezzo della stampa e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato. I Giudici, riprendendo quanto già sottolineato nella precedente sentenza, n. 132/2020, ribadiscono che «se è vero che il diritto di cronaca e di critica esercitato dai giornalisti costituisce pietra angolare di ogni ordinamento democratico, non è men vero che la reputazione individuale è del pari un diritto inviolabile, strettamente legato alla dignità della persona. Pertanto, aggressioni illegittime a tale diritto, compiute attraverso la stampa, la radio, la televisione, le testate giornalistiche online e i siti internet in generale, i social media e così via, possono incidere grandemente sulla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime». Non è di per sé invece incompatibile con la libertà di manifestazione del pensiero una norma che consenta al giudice di applicare la pena della reclusione nel caso in cui la diffamazione si caratterizzi per la sua eccezionale gravità; per tale motivo è stato dichiarato compatibile con la Costituzione l'art. 595, comma 3, c.p. Infine, la Corte ha ribadito la necessità, di una riforma della disciplina vigente, allo scopo di «individuare complessive strategie sanzionatorie in grado, da un lato, di evitare ogni indebita intimidazione dell'attività giornalistica, e, dall'altro, di assicurare un'adeguata tutela della reputazione individuale contro illegittime aggressioni poste in essere nell'esercizio di tale attività».
Fonte: Diritto e Giustizia |