Fine vita: qualche considerazione sugli sviluppi della pronunzia Cappato

Roberto Masoni
14 Luglio 2021

Il tribunale di Ancona ha escluso il riconoscimento (in campo civilistico) di “un vero e proprio diritto di potere scegliere quando e come morire”, di seguito le osservazioni del Tribunale
Massima

Per quanto vada escluso che il paziente sia titolare di un diritto soggettivo a scegliere quando e come morire, va ordinato ad ASUR delle Marche, previa acquisizione del parere del Comitato etico territorialmente competente, di provvedere ad accertare: a) se il paziente sia persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che egli reputa intollerabili; b) se lo stesso sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; c) se la modalità e la metodica e il farmaco prescelti (Tiopentone sodico nella quantità di 20 grammi) siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile.

Il caso

Il paziente-ricorrente è un uomo di quarantatré anni residente in un paese delle Marche, tetraplegico, a causa di un grave incidente stradale che, oltre dieci anni or sono, ha determinato la frattura della colonna vertebrale e la conseguente lesione del midollo spinale. La persona è dotata di piena capacità di intendere e volere, per quanto necessitante di quotidiana assistenza da parte di terzi per il compimento di ogni attività e dipendente da presidi salvavita (pacemaker e catetere urinario).

Egli aveva espresso il desiderio di accedere alla procedura di suicido assistito.

Sin dal 28 agosto 2020, egli aveva richiesto all'AUSL di accertare la sussistenza delle condizioni enucleate dalla Corte Costituzionale nella pronunzia n. 242/2019, in tema di suicidio assistito. Ma la struttura ospedaliera non vi aveva proceduto.

A fronte della latitanza della AUSl, con ricorso avanzato ex art. 700 c.p.c., il medesimo aveva richiesto al Tribunale di Ancona di accertare la sussistenza delle condizioni indicate dalla Corte; di accertare che la somministrazione di ben preciso farmaco sarebbe stato idoneo a garantirgli “una morte rapida, efficace e non dolorosa”; come pure, la sussistenza del proprio diritto a disporre del predetto farmaco letale, con ordine alla struttura sanitaria di “disporre la relativa prescrizione/ricettazione”.

Con ordinanza del 26 marzo 2021, la richiesta era stata reiettata.

Interposto reclamo, il medesimo Tribunale, adito in sede di reclamo, con l'ordinanza qui annotata, ha accolto il ricorso.

La questione

La questione che l'ordinanza collegiale in rassegna pone è quella di verificare se, nell'ordinamento giuridico, sia individuabile la sussistenza di un diritto a conseguire nei confronti delle strutture sanitarie pubbliche la possibilità di porre in essere le procedure necessarie alla configurazione di una condotta di suicidio medicalmente assistito.

La pronunzia fornisce risposta negativa, seppur accogliendo il ricorso del paziente.

Le soluzioni giuridiche

Il reclamo cautelare è stato accolto, affermando il principio seguente: se è vero che la pronunzia della Corte Costituzionale n. 242/2019 ha escluso la punibilità del suicidio medicalmente assistito ex art. 580 c.p., non per questo la sua incidenza esulerebbe dall'alveo penalistico.

In particolare, il Tribunale ha escluso il riconoscimento (in campo civilistico) di “un vero e proprio diritto di potere scegliere quando e come morire”, argomentando dal fatto che difetterebbe nell'ordinamento un esplicito riconoscimento in tal senso, nonostante che esso sia affermato da una parte “assolutamente minoritaria della dottrina”.

Afferma, ancora, il collegio la portata “non completamente esaustiva della decisione della Corte Costituzionale”, come pure la necessità di un “intervento chiaro, organico e risolutivo del Parlamento”.

Osservazioni

La pronunzia si fa apprezzare (almeno sotto questo angolo visuale) in quanto si inserisce in quel filone giurisprudenziale, ancora vergine, che ha fornito applicazione alla pronunzia sul caso Cappato (Corte cost. n. 242/2019), di cui costituisce esempio la sentenza della Corte d'Assise di Massa del 27 luglio 2020, pronunziata sul caso Trentini (in Giustiziacivile.com., 2021), confermata in grado d'appello.

Quest'ultima decisione va segnalata poiché fornisce un'interpretazione innovativa ed estensiva al requisito, oggetto di maggiori contrasti in sede dottrinale, introdotto dalla Corte Costituzionale, con riguardo alla presenza (in capo al paziente) di “trattamenti di sostegno vitale”.

In tal modo la Corte apuana ha scriminato (facendo applicazione dell'analogia in bonam partem) la condotta degli imputati (i quali avevano aiutato il suicidio medicalmente assistito di Davide Trentini, accompagnandolo in auto in una clinica svizzera, ove egli si era spento il 13 aprile 2017), i quali sono stati mandati assolti con formula piena dal delitto loro contestato ex art. 580 c.p.

Viceversa, l'ordinanza in rassegna all'apparenza, dotata di un tasso di innovatività, in realtà difetta di determinazione, in una materia nella quale, a tutela di diritti sensibili di cui sono titolari i più fragili, i malati terminali, il coraggio da parte del giudice appare risorsa preziosa e doverosa (la pronunzia sul caso Englaro docet).

L'ordinanza collegiale marchigiana si spende abbondantemente nell'argomentare e ribadire, come già l'ordinanza reclamata, affermando che la decisione sul caso Cappato sarebbe dotata di valenza limitata all'alveo penalistico; senza con ciò conferire al paziente in fine vita alcun diritto civilistico a conseguire una morte dignitosa, avanzando richiesta di suicidio assistito, argomentando e richiamando la posizione espressa dalla maggioranza della dottrina.

Per vero, tenuto conto delle conclusioni formulate e delle importanti precisazioni” che la difesa del reclamante aveva compiuto in sede di reclamo, laddove aveva chiarito che non intendeva invocare “un diritto al suicidio”, ma unicamente richiesto di accertare la sussistenza dei presupposti indicati dalla Corte Costituzionale nella pronuncia c.d. Cappato; come pure, di non pretendere che la struttura sanitaria ponesse in atto “comportamenti materiali finalizzati all'eutanasia”, la perplessità agitata dal Tribunale diveniva superflua. Dato che, in realtà, per l' accoglimento del reclamo, sarebbe stato sufficiente verificare se, come pareva a livello di fumus, il paziente si trovasse nelle condizioni soggettive e personali indicate dalla Corte Costituzionale e, ancor prima, il riscontro della colpevole inerzia in capo ad ASUR: condotta omissiva che era di per sé giustiziabile col provvedimento d'urgenza. D'altro canto, a quale scopo argomentare ampiamente sull'assenza nell'ordinamento di un diritto al suicidio assistito se lo stesso reclamante aveva chiarito che non intendeva invocare “un diritto al suicidio” ?

In ogni caso, ammesso che un diritto al suicidio assistito non sia riscontrabile nell'ordinamento, se non per parte “assolutamente minoritaria della dottrina”, l'ordinanza avrebbe dovuto chiarire, quale “diritto” soggettivo la pronunzia Cappato avrebbe conferito al paziente, dato che la sussistenza di un “diritto (ad agire) in via ordinaria costituisce istituzionale presupposto di accoglimento del provvedimento d'urgenza; diritto che l'ordinanza ha riconosciuto in concreto, avendo accolto il reclamo ed in tal modo riconoscendo la ricorrenza di una situazione cautelanda.

D'altro canto, anche il dispositivo dell'ordinanza che, autoritativamente e perentoriamente “ordina” ad ASUR le verifiche sulle condizioni cliniche del paziente dal medesimo vanamente richieste, nella sostanza pare un poco sfuggente.

Il significato e il valore dell'art. 700 c.p.c. sembrano obnubilati dall'ordinanza in epigrafe.

Se è vero che, nonostante apposita diffida in data 28 agosto 2020, ASUR aveva del tutto omesso di effettuare in capo al ricorrente le specifiche verifiche indicate dalla pronunzia della Corte Costituzionale, al punto che l'istante (a fronte dell'omissione di atti d'ufficio; art. 328, 2° comma, c.p.) era stato costretto ad adire in via cautelare il Tribunale; sarebbe stato doveroso per il collegio verificare, se ricorressero, quantomeno a livello di fumus e periculum

,

come è doveroso effettuare per ogni istanza cautelare, in capo al reclamante le quattro condizioni di scriminanti la condotta di cui all'art. 580 c.p. e poi, sulla base dei dati conoscitivi ed istruttori acquisiti senza demandarne l'accertamento alla struttura sanitaria pubblica (che già si era mostrata renitente a farlo), previa acquisizione del parere del comitato etico competente, verificarne appunto la ricorrenza.

A fronte della conclamata latitanza di ASUR e in presenza dei dati istruttori versati in atti, l'accertamento richiesto dal paziente avrebbe dovuto essere compiuto direttamente, mediantepronunzia accertativa, da partedel Tribunale, sempre a livello di fumus, previa acquisizione del parere del comitato etico.

Ci si chiede se non sia questa, secondo la migliore processualistica (Mandrioli), la funzione di anticipazione degli effetti della tutela giurisdizionale di merito insita nella misura d'urgenza?

Traendo le fila del discorso, sembra che la storia, vichianamente, tenda a ripetersi a precise cadenze temporali.

Come nei casi Welby (2006) ed Englaro (2007), anche in questo caso la via crucis giudiziaria sembra percorso obbligato per l'affermazione dei diritti dei più deboli, dei sofferenti e degli infelici. Come se i patemi e le preoccupazioni e le attese dell'esito del giudizio non dovessero essere risparmiati neppure a chi, già per propria patologica condizione personale di grave fragilità esistenziale, dovrebbe esserne, umanamente e cristianamente, completamente esentato.

Tuttavia, affinché tali diritti possano affermarsi definitivamente nell'ordinamento ed a fronte della latitanza del potere legislativo (e, come ha evidenziato questo caso, anche di quello amministrativo), sono necessari provvedimenti pronunziati da una magistratura coraggiosa, che non abbia ritrosie nel sentenziare in contrasto rispetto alla communis opinio, come in passato era paradigmaticamente avvenuto nel delineare l'ambito applicativo della misura di protezione dell'a.d.s. a tutela dei diritti dei disabili “impossibilitati a provvedere ai propri interessi (art. 404 c.c.), grazie alla meritoria, coraggiosa ed attenta ai valori della persona giurisprudenza dei giudici tutelari.

Il coraggio e la determinazione si rivelano indispensabili quando sono in gioco valori cruciali dell'uomo, quali sono la salute, la vita e, quello che, ancor'oggi maggiormente spaventa i più, il “diritto a pretendere una morte dignitosa”. Non si dimentichi che l'art. 2 della l. 219/2017 richiama espressamente la “dignità nella fase finale della vita”.

La pronunzia in rassegna, piuttosto che accorciare la via crucis giudiziaria del paziente terminale, come pure la via crucis esistenziale, ne ha invece procrastinato il termine, demandando la verifica delle condizioni patologiche alla struttura sanitaria che già si era mostrata sorda e del tutto insensibile alla tutela delle esigenze di dignità del malato e, ancor prima, al rispetto delle regole ordinamentali introdotte meritoriamente dalla Corte Costituzionale.

Trincerandosi infine dietro la formula della “complessità del contenzioso”, la pronunzia in rassegna ha pure disposto l'integrale compensazione delle spese di lite, pur a fronte dell'accoglimento del ricorso e di una condotta di conclamata latitanza e inadempienza mantenuta dalla p.a. convenuta in giudizio.

Riferimenti

Cappelli, La nozione di trattamento di sostegno vitale dopo la sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale: il caso Trentini, in Giustizia civile. Com, 2021, nota adesiva a Assise Massa 27 luglio 2020;

Donini, Il caso Fabo/Cappato fra diritto di non curarsi, diritto a trattamenti terminali e diritto di morire. L'opzione non penalistica della Corte Costituzionale di fronte a una trilogia inevitabile, in Il caso Cappato, a cura di MARINI, CUPELLI, Napoli, 2019, 113 ss.

Mandrioli- Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2019, XXVII, IV, 363 e segg.

Masoni, Disponibilità del corpo umano per un fine vita dignitoso, in Dir Fam. Pers., 2020, 4, 1711 e segg.

Nefedi Gribaudi, Il Tribunale di Ancona sul fine vita: prime applicazioni della Corte Cost. n. 242/19, in Quot. Giur.

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