Revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente del ricavato dalla vendita di un bene costituito in pegno consolidato

Sergio Sisia
15 Luglio 2021

Occorre valutare se l'applicazione congiunta degli artt. 67, comma 2, e 70, comma 2, l. fall., nella lettura datane da Cass. nn. 4785/2010 e 24627/2018, non finisca per privare di efficacia una causa di prelazione costituita in forza di un atto non più suscettibile di essere ritenuto pregiudizievole per i creditori, al di là delle stesse esigenze della concorsualità.
Massima

Occorre valutare se l'applicazione congiunta degli artt. 67, comma 2, e 70, comma 2, l. fall., nella lettura datane da Cass. 4785/2010 e 24627/2018, non finisca per privare di efficacia una causa di prelazione costituita in forza di un atto non più suscettibile di essere ritenuto pregiudizievole per i creditori, al di là delle stesse esigenze della concorsualità.

Il caso

Il Tribunale rigettava, per difetto della prova della scientia decoctionis, la revocatoria fallimentare proposta ex art. 67, comma 2, l. fall. dal curatore di una società fallita nei confronti della banca correntista, sia delle rimesse solutorie effettuate nell'anno antecedente al fallimento, sia dell'incasso ottenuto dalla stessa banca di un certificato di deposito oggetto di pegno consolidato.

La Corte territoriale, invece, accoglieva parzialmente l'impugnazione proposta dalla curatela affermando, in particolare, che “[…] era revocabile anche l'incasso, a seguito di vendita da parte della banca, del valore del certificato di deposito costituito in pegno, trattandosi di pegno regolare e dovendosi riconoscere la revocabilità della rimessa in conto corrente bancario effettuata con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno anche se consolidatosi in favore della banca (Cass. 4785/2010)” (v. § 1.1, p. 3 dell'ord.). La banca proponeva quindi ricorso affidato a tre motivi e, dopo che la Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria, disponeva la trattazione della causa in pubblica udienza in relazione alle questioni sollevate con il terzo motivo, il Sostituto Procuratore Generale depositava osservazioni scritte sulla cui base concludeva per il rigetto del ricorso.

Le questioni giuridiche

La Prima Sezione Civile della Suprema Corte, nel rimettere gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione della causa alle Sezioni Unite (disattesa l'eccezione di improcedibilità per mancato rispetto del termine di venti giorni ex art. 369 c.p.c. e ritenuti inammissibili i primi due motivi “[…] in quanto veicolano censure prettamente meritali”, v. p. 4 e p. 6 ord.) ha affrontato la questione della revocabilità, ex art. 67, comma 2, l. fall. della rimessa in conto corrente effettuata dalla banca con denaro proveniente dalla vendita di un certificato di deposito al portatore con scadenza annuale costituito in pegno c.d. “rotativo” (v. p. 5 ord.)ormai consolidato, “[…] da valutare alla luce della connessa questione circa il trattamento in sede fallimentare del credito originariamente garantito, ai sensi dell'art. 70, comma 2, legge fall.” (v. § 4.1, p. 6 ord., enfasi aggiunta – n.d.a.).

In sostanza, i Giudici della Suprema Corte si sono chiesti se, una volta restituita dal creditore pignoratizio la somma revocata, l'ammissione del credito al passivo in via chirografaria possa o meno ritenersi confliggente con la stessa concezione redistributiva e anti-indennitaria della revocatoria fallimentare, la quale implica unicamente il ripristino della par condicio creditorum.

(i) Il pegno regolare

Preliminarmente, la Suprema Corte qualifica la garanzia concessa dalla fallita in termini di pegno regolare seguendo i rilievi della corte territoriale, per cui “[…] qualora il cliente della banca vincoli, a garanzia del proprio adempimento, un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati e non conferisca alla banca il potere di disporre del relativo diritto, si esula dall'ipotesi del pegno irregolare e si rientra invece nella disciplina del pegno regolare (artt. 1997 e 2784 e segg. c.c.) in base alla quale la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l'obbligo di riversare il relativo ammontare, ma è tenuta a restituire il titolo o il documento” (v. § 5.2, p. 7 e ss. ord.).

Ne consegue che il creditore pignoratizio deve insinuarsi al passivo fallimentare ex art. 53 l. fall., mentre è esclusa la compensazione, operante nel pegno irregolare (enfasi aggiunta – n.d.a., v. Cass. Civ.Sez. I, 5 marzo 2004, n.4507, e Cass.Civ. Sez. I, 6 febbraio 2018, n.2818). Ad avviso del Supremo Collegio, tale qualificazione non è impedita né dalla consegna dei titoli di credito accompagnata da accordi rivolti a disciplinare i poteri e i compiti della banca al fine della cessione a terzi dei titoli stessi in caso di debito inadempiuto, né dal carattere rotativo del pegno (a dimostrazione che, in realtà, si tratta di una qualificazione tutt'altro che scontata si richiamano due pronunce del Tribunale di Treviso che, sul punto, sono giunte ad opposte conclusioni, la n. 1717 del 27 luglio 2017 e la più recente n. 1953 del 17 settembre 2019, quest'ultima in linea con l'ordinanza in commento).

(ii) La revocabilità delle rimesse: gli opposti orientamenti

La Cassazione segnala quindi due orientamenti giurisprudenziali contrapposti.

(a) Quello della giurisprudenza richiamata dalla banca ricorrente, che esclude la revocatoria giacché “[…] produrrebbe l'effetto indiretto di una revoca della garanzia, nonostante il suo pacifico consolidamento, con conseguente degradazione del grado pignoratizio del credito garantito a semplice chirografo, ai fini dell'ammissione al passivo, in palese (e paradossale) violazione della par condicio creditorum” (v. § 3.3, p. 6 ord. e, in giurisprudenza, v. Cass. Civ. Sez. I, 11 novembre 2003, n. 16914, secondo cui l'eventuale accreditamento sul conto della somma ricavata dal pegno non entra nella disponibilità del debitore e non ha natura solutoria costituendo effetto del diritto di prelazione legittimamente esercitato dal creditore e, pertanto, non revocabile; sostanzialmente nello stesso senso, Cass. civ. Sez. I, 14 settembre 2004, n.18439, Cass. civ. Sez. I, 1 febbraio 2008, n. 2456 e Cass. Civ. Sez. I, 10 novembre 2008, n. 26898, quest'ultima in tema di pegno avente per oggetto titoli del debito pubblico).

(b) Dall'altra parte, quello della giurisprudenza richiamata anche dalla Procura generale che, “[…] riprendendo l'orientamento giurisprudenziale più recente (Cass. 16565/2018 che conferma integralmente Cass. 4785/2010) ritiene [invece] revocabile l'operazione cui si è fatto cenno perché vietata di per sé” (v. § 4.2, p. 6 e ss. ord.).

(iii) Il superamento degli opposti orientamenti nell'ambito della funzione ridistributiva della revocatoria fallimentare.

La Cassazion analizza, quindi (quanto all'effetto indiretto della perdita della garanzia, per cui il creditore pignoratizio che l'abbia escussa ha diritto a insinuare il proprio credito solo in via chirografaria), le richiamate pronunce al fine di valutarne le conclusioni alla luce della funzione redistributiva o “anti-indennitaria” dell'azione revocatoria fallimentare, “[…] al fine di scongiurare una possibile eterogenesi dei fini nella loro applicazione, avuto riguardo proprio al principio sotteso della par condicio creditorum” (v. § 8, p. 13 e ss. ord.).

(a) In primo luogo, riconsidera le conclusioni delle richiamate pronunce a favore della revocabilità (ossia Cass. Civ., Sez. I, 26 febbraio 2010, n. 4785 e Cass. Civ., Sez. I, 5 ottobre 2018 n. 24627) alla luce della “funzione ridistributiva (o “anti-indennitaria”) dell'azione revocatoria fallimentare” (v. § 8, p. 13 e ss. ord.) per cui scopo di tale azione è riportare il patrimonio dell'imprenditore nelle condizioni in cui si trovava al momento in cui è sorto il periodo sospetto, consentendo la redistribuzione paritetica delle risorse residue individuando il danno nella alterazione della par condicio creditorum ricollegabile, per presunzione “legale e assoluta” (così Cass. Civ., SS.UU., 28 marzo 2006 n. 7028) all'uscita del bene dalla massa a seguito dell'atto dispositivo, ragion per cui il terzo revocato ha diritto all'insinuazione al passivo per il proprio eventuale credito, ai sensi dell'art. 70, comma 2, l. fall., solo in via chirografaria (v. Cass. Civ., Sez. I, 18 luglio 2008, n. 19978; Cass. Civ., Sez. I,29 luglio 2009, n. 17522; Cass. Civ., Sez. I, 26 febbraio 2010, n. 4785, cit.; Cass. Civ., Sez. VI, 5 ottobre 2018, n. 24627 e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano 8 marzo 2019, n. 2363, in IlCaso.it).

(b) In secondo luogo, rileva che la revocabilità, ex art. 67, comma 2, l. fall. della rimessa in conto corrente bancario effettuata dalla banca con denaro proveniente dalla vendita di un bene costituito in pegno ormai consolidatosi in suo favore, non appare “[…] pacificamente assimilabile a quella della revoca del pagamento di un credito astrattamente privilegiato, in cui il creditore non ha acquisito alcun diritto, opponibile alla massa, a soddisfarsi sulla somma di denaro ricevuta”; al contrario, secondo la Cassazione, “in caso di pegno costituito al di fuori del c.d. periodo sospetto, l'efficacia della garanzia nei confronti del fallimento non può più essere posta in discussione, e la revoca del pagamento proveniente dalla vendita del bene comporterebbe il sostanziale venir meno del diritto consolidato del creditore ad esercitare la prelazione sulla somma incassata” (così al § 8.2, p. 14 ord.); infatti se “[…] è vero che la possibilità di una soddisfazione in sede extra-concorsuale, in quanto eccezionale, non soffre letture estensive o analogiche oltre i casi espressamente previsti […], e che altrettanto deve ritenersi per le esenzioni da revocatorie ulteriori rispetto a quelle codificate nell'art. 67, comma 3 legge fall. […] tuttavia ciò non significa che all'esercizio vittorioso dell'azione revocatoria fallimentare consegue, oltre al fine precipuo di ricondurre il pagamento nell'orbita concorsuale, anche l'effetto sanzionatorio – inespresso – del venir meno della causa di prelazione spettante al credito irregolarmente soddisfatto (e così estinto) in sede extraconcorsuale [attraverso la rimessa revocata]” (così al § 8.5, p. 15 ord.).

(c) In terzo luogo, in definitiva, ritiene quindi che “[…] sotto tale profilo andrebbe allora verificata l'applicabilità al caso di specie della teoria distributiva sopra richiamata, apparendo quantomeno dubbio che la realizzazione del pegno consolidato possa pregiudicare le ragioni di altri creditori privilegiati (ma, evidentemente, non muniti del medesimo privilegio pignoratizio) che potrebbero insinuarsi anche successivamente all'esercizio dell'azione revocatoria, e che pertanto la verifica dell'insussistenza di tale pregiudizio possa verificarsi solo in seguito alla ripartizione dell'attivo, secondo quanto affermato da Cass. Sez. U., n. 7028/2016” (così al § 8.3, p. 14 e ss. ord.).

Le soluzioni

Al termine del sopra esposto iter logico-giuridico, la Cassazione giunge alle seguenti conclusioni.

(i) La rimeditazione della presunzione di danno iuris et de iure della revocatoria fallimentare e il relativo onere probatorio.

(a) Posto che è indubbio che il realizzo del pegno consolidato possa pregiudicare la par condicio “[…] sia perché anche i pegni soffrono privilegi di grado anteriore (sebbene in via residuale), sia perché, comunque, nel fallimento vi sono i debiti della massa, ai quali le garanzie specifiche sono chiamate a contribuire, ai sensi dell'art. 11[3]1-ter ultimo comma, l.fall.” (v. E. Staunovo-Polacco, “Revocatoria del realizzo del pegno consolidato, eventus damni ed insinuazione al passivo ex art. 70, comma 2, l.f. note sulla sollecitazione di una pronuncia a sezioni unite da parte di Cass. 8923/2021”, in IlCaso.it, p. 4 e ss. e, in precedenza, ibidem, E. Staunovo-Polacco, “Revocatoria fallimentare dei pagamenti dei crediti privilegiati ed insinuazione al passivo ai sensi dell'art. 70, comma 2, l. fall.”, p. 3 e ss.) l'ordinanza pone, giustamente, in discussione il principio affermato dalle SS. UU. con la sentenza del 28 marzo 2006 n. 7028 e dalla successiva conforme giurisprudenza (ai sensi della quale sarebbe irrilevante il fatto che l'atto solutorio abbia estinto un credito assistito da garanzia reale anche consolidata, ipotecaria o pignoratizia che sia, privilegiato o chirografario). Infatti, possono verificarsi situazioni nelle quali il pagamento del credito privilegiato non altera la parità di trattamento fra i creditori, perché, ad esempio, la procedura dispone di liquidità sufficienti all'estinzione integrale delle prededuzioni, dei privilegiati poziori e del credito estinto con il pagamento impugnato, per cui la presunzione di danno dovrebbe perdere, per ciò solo, il carattere dell'assolutezza (come riconosciuto dallo stesso A. Maffei Alberti, Il danno nella revocatoria, Padova, 1970, 225-226, ideatore della teoria anti-indennitaria). D'altra parte, nella stessa giurisprudenza di merito, il danno è stato escluso nel caso in cui il curatore, dopo avere impugnato pagamenti ricevuti da professionisti per crediti privilegiati ex art. 2751-bis n. 2 c.c., aveva soddisfatto in un riparto parziale il grado di privilegio generale nel quale rientravano i crediti oggetto dei pagamenti da revocare, v. Trib. Milano 26 maggio 2017).

(b) Superata la presunzione di danno iuris et de iure, c'è spazio allora, in assenza di una norma che inverta l'onere ex art. 2697 c.c., per ritenere più “[…] corretto tornare al principio generale, più volte enunciato nella giurisprudenza anteriore al 2006, secondo il quale il curatore che agisce in giudizio deve provare che il creditore, senza il pagamento impugnato, non avrebbe trovato capienza, in tutto o in parte, sul ricavato del bene cui il privilegio si riferiva, in ragione della sua insufficienza ovvero della concorrenza su di esso di crediti privilegiati poziori” (v. E. Staunovo-Polacco, Revocatoria fallimentare dei pagamenti dei crediti privilegiati ed insinuazione al passivo ai sensi dell'art. 70, secondo comma, l. fall.”, 7 e ss., e la giurisprudenza ivi richiamata, Cass. Civ., Sez. I, 14 ottobre 2005, n. 20005; Cass. Civ., Sez. I, 8 luglio 2004, n. 12558; Cass. Civ., Sez. I, 28 aprile 2004, n. 8096).

(ii) L'ammissione al medesimo grado del credito estinto

Si è visto sopra sub (iii) (b) che la Cassazione ha espressamente qualificato come “sanzionatorio” il concorso in via chirografaria del creditore pignoratizio ex art. 70, comma 2, l. fall., per il solo fatto di avere ottenuto il pagamento prima della dichiarazione di fallimento. Questi verrebbe, infatti, assoggettato ad un trattamento peggiorativo rispetto a quello che avrebbe conseguito se avesse atteso l'apertura della procedura concorsuale e fosse stato pagato a seguito del realizzo della garanzia consolidata ai sensi dell'art. 53 l. fall. (non solo, secondo Trib. Ascoli Piceno, 5 luglio 2019, in ragione di tale trattamento sanzionatorio, verrebbe consentito a creditori di rango inferiore di concorrere su di una somma sulla quale non avrebbero avuto alcun diritto, vista la prelazione altrui) quando, in realtà (secondo la costruzione anti-indennitaria), la revocatoria fallimentare implica unicamente il ripristino della par condicio creditorum. Tale risultato, come correttamente rilevato dal Supremo Collegio, può essere realizzato consentendo al revocato di concorrere, con il grado di privilegio di cui beneficiava, sulla somma restituita, che tiene luogo del realizzo in sede fallimentare del bene oggetto della garanzia specifica, e sul cui ammontare devono essere fatti gravare gli eventuali oneri prededucibili imputabili nonché, sicuramente, la quota proporzionale delle spese generali di procedura, ai sensi dell'art. 111-ter, comma 3, l. fall.

Deve escludersi infatti che la revocatoria fallimentare abbia una funzione punitiva e, del resto, si è rilevato che l'art. 70, comma 2, l. fall., si applica anche ai pagamenti inefficaci exart. 65 l. fall., per i quali la conoscenza dello stato d'insolvenza non è richiesta.

Conclusioni

In conclusione, l'ordinanza in esame, nel confermare che lo scopo dell'azione revocatoria fallimentare è il ripristino della par condicio, consente al terzo revocato di concorrere in modo corretto sulla somma restituita, ossia subendo le dovute falcidie e venendo soddisfatto secondo il grado proprio del credito estinto, “Conclusione, questa, tanto più predicabile, quanto più si consideri che il credito ex art. 70, comma 2, l. fall. viene qualificato, proprio dalla giurisprudenza che vorrebbe l'ammissione chirografaria, come credito nuovo, che sorge con la restituzione al curatore della somma oggetto del pagamento revocato, e che ben si concilia con l'unica ammissione al passivo idonea chiudere il “circolo della revocatoria””, sia sul versante “rescindente”, rappresentato dalla revoca del pagamento (nel caso di specie, di un credito assistito da pegno consolidato), sia sul versante “rescissorio”, consistente nella ricollocazione del terzo revocato fra i creditori concorsuali.

Guida all'approfondimento

E. Bruno, Il creditore titolare di pegno regolare deve insinuarsi al passivo fallimentare, in Diritto & Giustizia, fasc. 67, 2021, 10; G. Limitone, La revocatoria fallimentare in cassazione tra debito di valuta e debito di valore: è nomofilachia?, in IlCaso.it; A. Maffei Alberti, Il danno nella revocatoria, Padova, 1970; E. Staunovo-Polacco, Revocatoria del realizzo del pegno consolidato, eventus damni ed insinuazione al passivo ex art. 70, c. 2, l.f. note sulla sollecitazione di una pronuncia a sezioni unite da parte di CAss. 8932/2021, in IlCaso.it; E. Staunovo-Polacco, Revocatoria fallimentare dei pagamenti dei crediti privilegiati ed insinuazione al passivo ai sensi dell'art. 70, secondo comma, l. fall., in IlCaso.it.; P. Bosticco, Azione revocatoria fallimentare (bussola), in ilfallimentarista, 21 maggio 2020.