Difetto di veridicità del riconoscimento: litisconsorzio necessario e prova
16 Luglio 2021
Massima
Nel procedimento di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio, entrambi i genitori sono litisconsorti necessari. Il caso
La Corte D'Appello di Catanzaro confermava la sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Cosenza aveva accolto la domanda di impugnazione per difetto di veridicità ex art. 263 c.c., proposta in via riconvenzionale da parte di una minore, dichiarando che la stessa non era figlia del padre. La Corte aveva infatti ritenuto sufficiente - quale prova - il rifiuto dell'asserito genitore a sottoporsi all'esame del DNA ed a rendere il deferito interrogatorio formale. Il Supremo Collegio ha cassato entrambe le pronunce, rinviando davanti al giudice di primo grado per l'integrale rinnovazione del giudizio a seguito della corretta instaurazione del contradditorio, non essendo stata chiamata in giudizio la madre della minore. La questione
La decisione in commento prende in esame la necessità della partecipazione in giudizio di entrambi genitori che ebbero a riconoscere il figlio, nonché la questione della prova nel giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità. Le soluzioni giuridiche
Come noto, l'art. 263 c.c. prevede l'impugnazione del riconoscimento del figlio per difetto di veridicità nei casi in cui l'autore del riconoscimento non sia in realtà il genitore biologico della persona riconosciuta. La norma nulla, peraltro, prevede circa i soggetti legittimati passivi, contrariamente alle ipotesi di disconoscimento della paternità ove i soggetti litisconsorti necessari sono espressamente indicati nell'art. 247 c.c. Nel caso in esame, la Corte di Cassazione ribadisce il proprio recente orientamento circa l'obbligatorietà della chiamata in giudizio dell'altro genitore che pure abbia operato il riconoscimento. La Corte di Cassazione ritiene infatti che l'acquisizione di un nuovo status del minore sia idoneo a determinare una rilevante modifica della situazione familiare anche nei confronti del genitore il cui riconoscimento non sia oggetto del contendere, in considerazione di tutto ciò che ne consegue in termini di obblighi morali e materiali verso il figlio (Cass., sez. I civ, ord., 17 aprile 2019 n. 10775; Cass., sez. I civ., 2 febbraio 2016 n. 1957). Sulla base di tale principio, la Cassazione ha annullato le sentenze emesse nei due gradi di giudizio rinviando al giudizio di primo grado per la corretta instaurazione del contraddittorio nei confronti di entrambi i genitori. Osservazioni
A seguito dell'entrata in vigore della riforma della filiazione del 2012/2013, l'azione di impugnazione per difetto di veridicità è stata dalla giurisprudenza allineata alle altre azioni di stato con la previsione, anche per la prima, di termini brevi per il suo esercizio, mantenendo l'imprescrittibilità (precedentemente valevole per tutti i soggetti legittimati ad esperire detta azione) soltanto in favore dei figli. In tal modo si è voluto fa prevalere l'esigenza di non prolungare la durata dell'incertezza dello stato di figlio per un periodo indefinito, anche se a scapito dell'interesse pubblico alla verità del rapporto di filiazione. Secondo un orientamento giurisprudenziale più rigoroso, tale azione di stato postulava, altresì, la dimostrazione dell'assoluta impossibilità che il soggetto che avesse inizialmente compiuto il riconoscimento fosse, in realtà, il padre biologico del soggetto riconosciuto come figlio (Cass. civ., sez. I, 26 novembre 2003 n. 4462; Cass. civ., sez. I, 10 luglio 2013 n. 17095; Cass. civ. sez. I, 11 settembre 2015 n. 17970). Recentemente peraltro, la Cassazione – alla luce delle riforme del 2012 e del 2013 in materia di filiazione – ha ritenuto che detta prova non sia diversa rispetto a quella che sia necessario fornire per le altre azioni di stato al fine di far emergere il favor veritatis (Cass. civ., sez. I, sent., 14 dicembre 2017 n. 30122; Cass. civ., sez. I, sentenza 10 luglio 2018 n. 18140). A seguito di tale orientamento, al soggetto che impugna il riconoscimento per difetto di veridicità basterà provare - ex art. 2697 c.c. - un fatto costitutivo negativo e precisamente l'inesistenza del legame biologico con il riconosciuto, prova che può essere data con ogni mezzo, anche attraverso la prova ematologica, che – del resto – è quella certamente maggiormente attendibile, potendosi conseguentemente tener conto, ex art. 116 c.p.c., del comportamento della parte che si opponga al suo espletamento. Occorre, peraltro, pur sempre operare il giusto bilanciamento tra favor veritatis e favor minoris avendo come obiettivo principale l'accertamento in concreto dell'interesse superiore del minore nelle controversie che lo riguardano. La CorteCostituzionale con la sentenza Corte cost. n. 127/2020 ha, infatti, dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 c.c. sul presupposto che il testo della norma non escluda la possibilità di valutare l'interesse del minore ai fini della decisione sull'impugnazione del riconoscimento. La Consulta ha infatti evidenziato che il favor veritatis non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta, atteso che l'art. 30 della Costituzione non ha attribuito preminenza indefettibile alla verità biologica rispetto a quella legale. Tale principio è stato ribadito dalla Corte Costituzionale con la sentenza Corte cost. n. 127/2020. La Corte D'Appello di Torino aveva infatti sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 c.c. nella parte in cui non escludeva la legittimazione ad impugnare il riconoscimento del figlio in capo a colui che aveva compiuto tale atto nella consapevolezza della sua non veridicità, per disparità con l'art. 9 l. n. 40/2004, il quale preclude espressamente l'impugnazione ex art. 263 c.c. al coniuge o al convivente che abbia prestato il proprio consenso a tecniche di procreazione medicalmente assistita. La Corte ha infatti evidenziato trattarsi di situazioni diverse che non possono conseguentemente essere comparate, evidenziando come l'evoluzione normativa e giurisprudenziale abbia attribuito prevalenza al consenso alla genitorialità ed all'assunzione della conseguente responsabilità rispetto al favor veritatis. Del resto, la Corte sottolinea che le novità apportate dal d.lgs. n. 154 del 2013 con l'introduzione di rigorosi termini per la proposizione dell'azione da parte dei soggetti interessati, assicurano maggior tutela al diritto alla stabilità dello status acquisito e ciò proprio al fine di evitare il protrarsi di un'incertezza potenzialmente lesiva della solidità degli affetti e dei rapporti familiari.
|