Per rivendicare le attenuanti nel giudizio d'appello, la doglianza non deve essere generica
23 Luglio 2021
«In tema di giudizio d'appello, la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche può essere legittimamente effettuata anche soltanto mediante una memoria difensiva, senza necessità che già sia stata dedotta con i motivi d'impugnazione o con i motivi nuovi, dal momento che incombe sul giudice di merito il potere-dovere di riconoscere anche d'ufficio le dette attenuanti generiche ai sensi dell'art. 597, comma 5, codice di rito, ma ove la rivendicazione sia formulata in termini del tutto generici, la parte non potrà poi dolersi della mancata decisione in relazione ad esse, non essendo in tal caso – come in quello in cui la sollecitazione sia stata del tutto omessa – configurabile né una violazione di legge né il vizio di motivazione per mancanza». Il potere-dovere del giudice d'appello. La Corte d'Appello di Ancona confermava la pronuncia del Tribunale di Ascoli Piceno, con la quale un imputato era stato ritenuto responsabile dei delitti di violenza privata e lesioni personali. L'accusato ricorre in Cassazione, deducendo la violazione di legge, in quanto la Corte territoriale non si sarebbe espressa in ordine al profilo delle circostanze attenuanti richieste. La doglianza è, però, inammissibile poiché la giurisprudenza di legittimità, con la sentenza n. 29538/2019, ha avuto modo di chiarire che «il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare di ufficio i benefici di legge e una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, se l'effettivo espletamento del medesimo potere-dovere non sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni nel giudizio d'appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna la prima volta in appello, neppure con le conclusioni subordinate proposte dall'imputato nel giudizio di primo grado». E con la sentenza n. 37569/2015 la S.C. ha precisato che «il giudice d'appello può legittimamente riconoscere le attenuante generiche anche “ex officio”, ma il mancato esercizio di tale potere, eccezionalmente riconosciuto dall'art. 597, comma 5, c.p.p., non è censurabile in cassazione, né è configurabile in proposito un obbligo di motivazione, in assenza di specifica richiesta nei motivi di appello, o nel corso del giudizio di secondo grado». Anche nella sentenza n. 10085/2020, è stato ribadito che «il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d'ufficio una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l'imputato, nell'atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all'accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione».
La rivendicazione delle attenuanti generiche. Nel caso di specie, la rivendicazione delle attenuanti generiche, intervenuta con la tardiva memoria, è stata formulata in modo generico. Per questi motivi il Collegio arriva ad affermare il seguente principio di diritto: «in tema di giudizio d'appello, la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche può essere legittimamente effettuata anche soltanto mediante una memoria difensiva, senza necessità che già sia stata dedotta con i motivi d'impugnazione o con i motivi nuovi, dal momento che incombe sul giudice di merito il potere-dovere di riconoscere anche d'ufficio le dette attenuanti generiche ai sensi dell'art. 597, comma 5, codice di rito, ma ove la rivendicazione sia formulata in termini del tutto generici, la parte non potrà poi dolersi della mancata decisione in relazione ad esse, non essendo in tal caso – come in quello in cui la sollecitazione sia stata del tutto omessa – configurabile né una violazione di legge né il vizio di motivazione per mancanza».
Ne consegue l'inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Fonte: DirittoeGiustizia |