La recidiva può essere riqualificata in appello con conferma della pena di prime cure?

Redazione Scientifica
27 Luglio 2021

Il giudice di appello, dopo aver riqualificato la recidiva ed operato un suo ridimensionamento (per esempio, escludendo la recidiva specifica, ovvero quella infraquinquennale ovvero quella reiterata ovvero ancora tutte le recidive qualificate precedentemente ritenute) in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di "reformatio in peius", confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché questo sia accompagnato da adeguata motivazione.

Il giudice di appello, dopo aver riqualificato la recidiva ed operato un suo ridimensionamento (per esempio, escludendo la recidiva specifica, ovvero quella infraquinquennale ovvero quella reiterata ovvero ancora tutte le recidive qualificate precedentemente ritenute) in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di "reformatio in peius", confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché questo sia accompagnato da adeguata motivazione.

Condanna per tentata rapina aggravata. La Corte d'Appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, aveva condannato un'imputata per il reato di tentata rapina aggrava in concorso, previo riconoscimento dell'attenuante del danno di lieve entità (art. 62, n. 4, c.p.), considerata equivalente all'aggravante della recidiva specifica reiterata infraquinquiennale. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione, ma la Corte ha ritenuto infondate le doglianze proposte.

Comparazione tra circostanze. Sgombrato il campo da ogni dubbio circa la corretta qualificazione della condotta da parte del giudice di merito, il Collegio ha ricordato che secondo le Sezioni Unite (sent. n. 33752 del 18/04/2013, Papola), «la conferma da parte del giudice dell'impugnazione dell'esito del precedente giudizio di comparazione tra le circostanze, pur dopo l'esclusione di una circostanza aggravante o il riconoscimento di una ulteriore circostanza attenuante, non viola i principi posti dall'art. 597, commi 3 e 4, c.p.p., essendo tale conferma soggetta alla sola verifica di adeguatezza della motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.». Difatti « se è indiscutibile che il divieto di reformatio in peius è esteso alle singole componenti che concorrono a formare il trattamento sanzionatorio complessivo, ciò imponendolo la corretta interpretazione dell'art. 597 c.p.p., commi 3 e 4, da leggersi in correlazione con la regola dell'effetto parzialmente devolutivo posta dal comma 1 del citato articolo, deve da subito porsi in evidenza come le ipotesi derogatorie a siffatta regola (previste nel comma 5) non possano, in assenza di specifica previsione, essere parimenti poste in correlazione con il divieto in questione, ad esse essendo estranee - proprio perché introduttive di poteri di ufficio del giudice di appello - quelle argomentazioni circa l'ambito della decisione di appello a fronte dei motivi proposti dall'imputato e del petitum sostanziale della sua impugnazione».

Il principio. La sentenza cristallizza dunque il principio di diritto secondo cui «il giudice di appello, dopo aver riqualificato la recidiva ed operato un suo ridimensionamento (per esempio, escludendo la recidiva specifica, ovvero quella infraquinquennale ovvero quella reiterata ovvero ancora tutte le recidive qualificate precedentemente ritenute) in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di "reformatio in peius", confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché questo sia accompagnato da adeguata motivazione».

Fonte: DirittoeGiustizia

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