Certificazioni di qualità e criteri premiali

Valeria Zallocco
29 Luglio 2021

La circostanza che la normativa di rango primario preveda il possesso di una determinata certificazione di qualità per l'esecuzione di una attività non preclude alla stazione appaltante di prevedere quale criterio premiale il possesso di ulteriori certificazioni di qualità, in quanto ciò esalta il confronto concorrenziale e costituisce concreta e corretta applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento.

La vicenda. Una stazione appaltante svolgeva una procedura di gara per l'affidamento triennale dei servizi di vilanza armata, da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Nel disciplinare di gara si prevedeva l'attribuzione di settanta punti all'offerta tecnica e trenta all'offerta economica. Dodici dei settanta punti dell'offerta tecnica erano attribuiti in caso di possesso da parte dei concorrenti di alcune certificazioni di qualità, nello specifico la UNI EN ISO 9001, la OHSAS 18001 o UNI EN ISO 45001, UNI EN ISO 14001 e UNI EN ISO 27001.

Il concorrente secondo classificato nella procedura impugnava l'aggiudicazione e il disciplinare di gara, lamentando che il riconoscimento del punteggio per il possesso di tali certificazioni sarebbe illegittimo per una duplice motivazione. In primo luogo, si tratterebbe di certificazioni estranee e non pertinenti al servizio oggetto dell'appalto, giacché la normativa di riferimento di rango primario individua tra i requisiti minimi di qualità degli istituti di vigilanza il possesso della sola certificazione di conformità UNI 10891. In secondo luogo, il punteggio previsto, per la non pertinenza di tali certificazioni, finirebbe per alterare irragionevolmente il confronto competitivo.

La decisione. Secondo il Collegio, la circostanza che per i servizi di vigilanza la normativa di rango primario già preveda il possesso di una determinata certificazione di qualità non preclude affatto alla stazione appaltante di richiedere nella lex specialis ai concorrenti il possesso di ulteriori certificazioni di qualità, in quanto ciò costituisce concreta e corretta applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento cui deve essere ispirata l'azione della pubblica amministrazione.

Peraltro, nell'ambito delle procedure di affidamento da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la scelta dei criteri di valutazione delle offerte operata dalla stazione appaltante, ivi compreso il peso da attribuire a singoli elementi è espressione dell'ampia discrezionalità attribuitale dalla legge per meglio perseguire l'interesse pubblico, come tale sindacabile in sede di legittimità solo allorché sia manifestamente illogica, abnorme ed irragionevole e i criteri non siano trasparenti ed intellegibili. La sentenza afferma che nella vicenda in esame non risulta in concreto illogica, né irragionevole, la scelta dell'amministrazione appaltante di valorizzare negli atti di gara il possesso di ulteriori certificazioni, riguardanti interessi generali (ambiente, sicurezza dei lavoratori, sicurezza dei dati), certamente apprezzabili anche con riferimento all'attività oggetto dell'appalto.

In seguito, il Collegio si sofferma sul peso conferito alle certificazioni dal disciplinare di gara e richiama le linee guida n. 2 dell'ANAC secondo cui di regola il peso attribuito a criteri di natura soggettiva deve essere limitato, considerato che non riguardano il contenuto dell'offerta ma la natura dell'offerente. Secondo il Consiglio di Stato, nel caso di specie il peso conferito alle certificazioni non altera la gara, né risulta incongruo. Al contrario, la previsione del punteggio attribuibile alle ulteriori certificazioni di qualità piuttosto che alterare in negativo il confronto concorrenziale, lo esalta consentendo la scelta sul concorrente che abbia standard qualitativi obiettivamente superiori, così garantendo nel miglior modo possibile il corretto perseguimento dell'interesse pubblico.