L'istanza di accelerazione non assicura la ragionevole durata dei processi

02 Agosto 2021

L'istanza di accelerazione prevista dalla c.d. legge Pinto, come modificata dalla legge n. 208/2015, quale facoltà dell'imputato e delle altre parti del processo penale, non rivela un'efficacia effettivamente acceleratoria del giudizio, atteso che questo, pur a fronte dell'adempimento dell'onere di deposito, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di ragionevole durata, senza che la violazione dello stesso possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità della parte.

L'istanza di accelerazione prevista dalla c.d. legge Pinto, come modificata dalla legge n. 208/2015, quale facoltà dell'imputato e delle altre parti del processo penale, non rivela un'efficacia effettivamente acceleratoria del giudizio, atteso che questo, pur a fronte dell'adempimento dell'onere di deposito, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di ragionevole durata, senza che la violazione dello stesso possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità della parte.

Lo ha precisato la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 175, pubblicata il 30 luglio 2021.

Istanza di accelerazione a pena di inammissibilità: disciplina incostituzionale? La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 1-bis, comma 2, e dell'art. 2, comma 1 della legge n. 89/2001 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile, c.d. “legge Pinto”), nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016), nella parte in cui subordina, a pena di inammissibilità della domanda, il riconoscimento del diritto ad una equa riparazione in favore di chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata di un processo penale la cui durata al 31 ottobre 2016 non ecceda i termini ragionevoli previsti dall'art. 2, comma 2-bis, e che non ancora sia stato assunto in decisione alla stessa data, all'esperimento del rimedio preventivo consistente nel depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un'istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i detti termini.

Secondo il giudice a quo, la disciplina censurata violerebbe l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 6, e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), non garantendo una ragionevole durata dei processi.

I precedenti della Corte Costituzionale… La Consulta ha già avuto modo di dichiarare l'incostituzionalità della legge Pinto nella parte in cui negava la proponibilità della domanda di equa riparazione in pendenza del procedimento presupposto (Corte Cost., n. 88/2018), rilevando la carenza di “concreta efficacia acceleratoria” dei rimedi preventivi introdotti dalla legge n. 208/2015, posto che gli stessi, alla luce della loro disciplina processuale, non vincolano il giudice a quanto richiestogli.

Analogamente, il giudice delle leggi ha avuto modo di affermare che l'istanza di prelievo nei processi amministrativi costituiva, non un adempimento necessario, ma una mera facoltà del ricorrente con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la non ragionevole e non proporzionata sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia né con l'obiettivo del contenimento della durata del processo né con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata (Corte Cost., n. 34/2019).

Da ultimo, con riferimento ai rimedi preventivi introdotti per i processi civili dalla legge n. 208/2015 quale condizione di ammissibilità della domanda di equo indennizzo, la Consulta ha, invece, ritenuto gli stessi, per l'effetto acceleratorio della decisione che può conseguirne, siano riconducibili alla categoria dei rimedi preventivi volti ad evitare che la durata del processo diventi eccessivamente lunga, in quanto consistenti proposizione di possibili, e concreti, “modelli procedimentali alternativi”, volti ad accelerare il corso del processo, prima che il termine di durata massima sia maturato (Corte Cost., n. 121/2020).

… e della Corte EDU. Secondo la giurisprudenza della Corte EDU, ai fini della “effettività” dei ricorsi relativi a cause concernenti l'eccessiva durata dei procedimenti, la migliore soluzione in termini assoluti è la prevenzione. Ciò comporta che, rispetto all'obbligo di esaminare le cause entro un termine ragionevole, imposto dall'art. 6 della CEDU agli Stati contraenti, alle eventuali carenze del sistema giudiziario può sopperire nella maniera più efficace un ricorso finalizzato ad accelerare i procedimenti. Tale ricorso è da preferire ad un rimedio meramente risarcitorio, ma è “effettivo” soltanto nella misura in cui rende più sollecita la decisione da parte del tribunale interessato ed è adeguato solo se non interviene in una situazione in cui la durata del procedimento è già stata chiaramente eccessiva (Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza 25 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, e, più di recente, sentenza 30 aprile 2020, Keaney contro Irlanda).

L'istanza non ha un'effettiva portata acceleratoria. Con la pronuncia in commento, la Consulta ritiene che l'istanza di accelerazione prevista dalle norme censurate, quale facoltà dell'imputato e delle altre parti del processo penale, non riveli un'efficacia effettivamente acceleratoria del giudizio, atteso che questo, pur a fronte dell'adempimento dell'onere di deposito, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di ragionevole durata, senza che la violazione dello stesso possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità della parte. La mancata presentazione dell'istanza di accelerazione nel processo penale può eventualmente assumere rilievo ai fini della determinazione della misura dell'indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non deve condizionare la proponibilità della correlativa domanda.

La disciplina impugnata è, quindi, incostituzionale.

Fonte: Diritto e Giustizia

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