Pubblica amministrazione quale conduttrice iure privatorum e ragioni che le consentono di liberarsi in anticipo del vincolo contrattale

Alberto Celeste
02 Agosto 2021

Perimetrando il concetto di “gravi motivi” che consente al conduttore di liberarsi, in ogni momento, in anticipo del vincolo contrattuale - salva sempre la comunicazione del preavviso al locatore almeno sei mesi prima - e calando tale concetto all'ipotesi in cui la Pubblica Amministrazione riveste la qualità di conduttore dell'immobile locato, il Supremo Collegio ha cassato la decisione di merito, ritenendo che non costituisse, di per sé, motivo idoneo di recesso anticipato dal rapporto di locazione la delibera dell'Azienda sanitaria locale, adottata in attuazione di una legge regionale, volta a redistribuire sul territorio le strutture psichiatriche.
Massima

Il contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo concluso iure privatorum dalla Pubblica Amministrazione in qualità di conduttore non si sottrae alla disciplina del recesso anticipato ex art. 27, comma 8, della l. n. 392/1978, secondo cui le ragioni che consentono al locatario di liberarsi in anticipo del vincolo contrattuale devono essere determinate da avvenimenti estranei alla sua volontà, imprevedibili, sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione, non potendo esse risolversi nella soggettiva ed unilaterale valutazione dal medesimo effettuata in ordine alla convenienza (o meno) di continuare il rapporto locativo, né potendosi apprezzare la legittimità del recesso in base all'esclusivo rilievo della natura pubblicistica delle determinazioni assunte dal soggetto conduttore.

Il caso

La causa, decisa dalla sentenza in commento, originava da un ricorso per decreto ingiuntivo, chiesto ed ottenuto da un locatore nei confronti dell'Azienda sanitaria locale, intimando il pagamento di una data somma pari ai canoni dovuti, per il periodo luglio-dicembre 2012, relativamente ad una locazione ad uso commerciale

La suddetta Azienda si era opposta, ai sensi dell'art. 645 c.p.c., deducendo che il contratto di locazione doveva considerarsi risolto a far data dal 1° luglio 2012 per effetto di recesso anticipato, comunicato al locatore con nota del 27 gennaio 2012, ai sensi dell'art. 27 della l. 27 luglio 1978, n. 392: recesso, in tesi, giustificato da gravi motivi, nascenti dalla delibera del novembre 2008 con cui, in esecuzione dell'indicazione programmatica di cui alla legge regionale del 2006, era stato disposto il trasferimento della comunità alloggio (ubicata nell'immobile di proprietà del locatore), nell'area nord del territorio aziendale.

Il Tribunale aveva accolto l'opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e tale decisione è stata confermata dalla Corte d'Appello, rigettando l'appello interposto dal locatore.

In sintesi, il giudice distrettuale aveva ritenuto: a) sussistenti gravi motivi di recesso, rappresentati dall'esigenza di redistribuire sul territorio le strutture psichiatriche, in attuazione di norma di legge regionale; b) irrilevante il tempo trascorso tra l'emanazione della legge regionale e la comunicazione del recesso (gennaio 2012), poiché giustificato dalla tempistica che una Pubblica Amministrazione deve osservare per assumere le proprie determinazioni e, nello specifico, dall'interlocuzione con le Organizzazioni sindacali delle parti sociali e dall'esigenza di completare l'intero piano di riorganizzazione, predisponendo la struttura sostitutiva; c) parimenti irrilevante il fatto che i motivi si fossero manifestati in pendenza dei termini per impedire la rinnovazione del contratto alla scadenza del 31 dicembre 2009, poiché poteva “ben profilarsi il caso che il conduttore si trovi a versare nella condizione per cui, se la situazione può risultare superata, è suo diritto valutare la convenienza alla continuazione del rapporto attraverso il meccanismo della rinnovazione, mentre se non dovesse esserlo, egli ha interesse a recedere”.

La questione

Si trattava di verificare la correttezza della gravata decisione, laddove aveva ritenuto giustificato il recesso in relazione ad un motivo manifestatosi anteriormente alla precedente scadenza del contratto e quando ancora il conduttore aveva la possibilità di evitarne la rinnovazione tacita comunicando disdetta, considerando che, quando i gravi motivi sopravvenuti dedotti dal conduttore si sono verificati prima della scadenza del termine per dare l'utile disdetta alla scadenza naturale del contratto ed il medesimo conduttore non l'abbia data, tale condotta, interpretata secondo il principio di buona fede, doveva intesa come rinuncia a far valere in futuro l'incidenza di tali motivi sul sinallagma contrattuale, dei quali poteva altresì presumersi la non gravità, poiché altrimenti sarebbe stato ragionevole utilizzare il mezzo più rapido per la cessazione del rapporto.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno dato ragione al locatore, ritenendo fondate le sue doglianze.

Invero, costituisce ius receptum che la disposizione di cui all'art. 27, ultimo comma, della l. n. 392/1978 - la quale consente al conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto per gravi motivi - è applicabile anche ai contratti di locazione contemplati dall'art. 42 stessa legge, ivi inclusi quelli conclusi in qualità di conduttore da un Ente pubblico territoriale (Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2000, n. 15082).

Tuttavia, si è costantemente precisato che, allorquando la Pubblica Amministrazione scelga di agire iure privatorum stipulando un contratto di locazione come conduttore, essa non si sottrae ai principi predicati in subiecta materia, secondo cui la situazione assunta come giustificativa del recesso anticipato ex art. 27, comma 8, della legge sul c.d. equo canone non può attenere alla soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all'opportunità o meno di continuare ad occupare l'immobile locato, ma deve avere carattere oggettivo, sostanziandosi in fatti involontari, imprevedibili, sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore medesimo la prosecuzione del rapporto locativo.

È stato, altresì, condivisibilmente evidenziato che - seppure è indubbio che la scelta di recedere non può prescindere dall'apprezzamento dell'attività esercitata dal conduttore, quale indicata dall'art. 27, oppure contemplata direttamente o indirettamente nell'art. 42 citato, con la conseguenza che, ove la scelta di recedere sia operata da un Ente pubblico, non può prescindersi dal profilo delle attività e dei compiti ad esso affidati - è altrettanto certo che la qualificazione pubblicistica del conduttore, una volta che lo stesso si sia avvalso dello strumento privatistico, non consente di ritenere che la legittimità del recesso sia apprezzata, dando rilievo esclusivamente alle determinazioni perseguite dal soggetto pubblico, seppure nell'adempimento delle sue funzioni (Cass. civ., sez. III, 27 agosto 2015, n. 17218, che - in una fattispecie non molto dissimile - ha ritenuto che non costituisse, di per sé, motivo idoneo di recesso anticipato dal contratto in corso la decisione di una A.S.L. di trasferire i servizi sanitari prima sistemati nell'immobile locato, in ragione del fatto che i nuovi locali presentavano caratteristiche più idonee al loro utilizzo quali strutture sanitarie pubbliche, nonché ai fini dell'accorpamento dei servizi volto al conseguimento di una maggiore efficienza operativa).

Orbene - ad avviso dei magistrati del Palazzaccio - la decisione impugnata si colloca al di fuori del percorso segnato dai principi sopra indicati, giacché, non essendo neppure posto in discussione che la A.S.L. non avesse assunto in locazione un immobile non idoneo all'espletamento dei servizi sanitari, ha attribuito rilievo a circostanze - l'emanazione di una legge regionale che imponeva alle A.S.L. di redistribuire sul territorio le comunità alloggio, l'adozione di due successive delibere attuative da parte della stessa Azienda, la prima nel 2006, la seconda nel 2008, la necessità di “completare l'intero piano di riorganizzazione” e di “predisporre la struttura sostitutiva” - che bene avrebbero potuto e dovuto essere prevedute, con l'ordinaria diligenza, già al momento del rinnovo della locazione, così che essa non poteva pregiudicare l'aspettativa del locatore alla prosecuzione del rapporto sino alla sua scadenza.

E' accaduto così, nella specie - chiosano gli ermellini - “quel che il principio sopra richiamato ritiene non consentito da una coerente e corretta applicazione della disciplina privatistica del rapporto cui la P.A. si è volontariamente assoggettata: la legittimità del recesso viene, cioè, in concreto apprezzata, dando rilievo esclusivamente alle determinazioni perseguite dal soggetto pubblico, seppure nell'adempimento delle sue funzioni”, aggiungendo che, “indipendentemente, dunque, da ogni valutazione sulla questione se la mancata disdetta alla scadenza del contratto possa o meno interpretarsi, in senso tecnico, quale implicita rinuncia a far valere i gravi motivi di recesso anteriormente verificatisi, appare comunque indubbio che, per i motivi suesposti, l'esercizio del diritto di recesso non possa ritenersi legittimo”.

Osservazioni

La legge n. 392/1978, con due disposizioni di tenore pressoché identico (artt. 4 e 27), ha regolamentato compiutamente la materia del recesso dal rapporto ad opera del conduttore, sia nelle locazioni abitative che non abitative, prima della scadenza del termine di durata.

Per quel che qui rileva, l'art. 27, al comma 7, prevede che “è in facoltà delle parti consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione”, mentre, il successivo comma 8 stabilisce che, “indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.

In altri termini, tali norme, per un verso, ammettono la possibilità di una pattuizione inter partes che attribuisca al conduttore di recedere in qualunque momento, dal contratto (recesso convenzionale), e, per altro verso, configurano una speciale ipotesi di ius poenitendi di cui il conduttore, nella concorrenza dei relativi presupposti, è legittimato comunque ad avvalersi, a prescindere dalla previsione del regolamento pattizio.

La fattispecie esaminata dal Supremo Collegio riguardava quest'ultima ipotesi, nel senso che, aldilà della previsione contrattuale, la legge c.d. sull'equo canone riconosce, poi, al conduttore, il diritto di recedere dal contratto ove ricorrano “gravi motivi”: atteso che l'espressione impiegata dal patrio legislatore è volutamente ampia, la giurisprudenza si è fatta carico di chiarire in cosa consistano tali condizioni legittimanti lo scioglimento anticipato dal rapporto contrattuale locatizio.

L'interpretazione offerta dai giudici di legittimità è stata abbastanza rigida, nel senso che i gravi motivi, i quali consentono, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il recesso del conduttore dal contratto di locazione, ai sensi dei richiamati artt. 4 e 27 della l. n. 392/1978, devono essere “determinati da fatti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere al conduttore oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto stesso” (così Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1992, n. 11466).

In quest'ordine di concetti, anche di recente, si è ribadito che i gravi motivi legittimanti il recesso anticipato dal contratto di locazione previsti dall'art. 27 della l. n. 392/1978, pur potendo riguardare anche un solo ramo di un intero complesso aziendale di cui fan parte settori che riscontrano risultati economici positivi, devono essere determinati da fatti estranei dalla volontà di chi li invoca, imprevedibili e sopravvenuti e tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2019, n. 5803).

I “gravi motivi” vengono generalmente distinti in soggettivi ed oggettivi, secondo che siano inerenti alla persona del conduttore, ovvero al suo oggetto, cioè all'immobile.

Tra i motivi soggettivi, si discute con riguardo alle diverse vicende che possano interessare l'attività imprenditoriale del conduttore: in quest'ottica, è stata esclusa la legittimità del recesso in ragione dell'antieconomicità della prosecuzione dell'attività per mancata acquisizione di commesse (Trib. Padova 29 maggio 1986); dei negativi risultati della gestione economica (Trib. Rovigo 7 febbraio 1998); della mancata previsione della futura inadeguatezza, per le sue dimensioni, dell'immobile locato (Trib. Milano 9 settembre 1993), essendo del tutto fisiologiche le esigenze di maggiore spazio conseguenti alla normale espansione dell'attività imprenditoriale del conduttore (Trib. Milano 18 novembre 1996); dell'incremento dell'attività imprenditoriale (Trib. Bologna 17 novembre 1998).

A fronte di tale indirizzo rigorista - il quale perviene in talune ipotesi a soluzioni non perfettamente ragionevoli, come nell'esclusione della legittimità del recesso in un caso in cui l'immobile locato aveva subìto ingenti danni per l'esplosione di una bomba, dal momento che il disagio economico del conduttore sarebbe stato il frutto della libera determinazione del conduttore di continuare l'attività commerciale (App. Lecce 4 dicembre 1996) - un diverso filone giurisprudenziale riconosce rilievo anche l'insufficienza e inadeguatezza dell'immobile, determinatesi in ragione dell'espansione dell'attività economica del conduttore (Trib. Vicenza 2 gennaio 2001; Trib. Milano 22 settembre 1988; Trib. Firenze 16 dicembre 1991).

In effetti, fermo restando che la decisione va assunta caso per caso, tenendo conto delle peculiarità della fattispecie - per soluzioni misurate al caso concreto, v., per esempio, Trib. Genova 23 marzo 1987; Trib. Milano 25 febbraio 1993; Pret. Bologna 4 novembre 1994 - non si può negare che il concetto di estraneità dei fatti legittimanti il recesso alla volontà del conduttore va rapportato alle cause obiettive che impongano il ridimensionamento o incremento dell'attività (Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 1996, n. 10980), sicché il conduttore possa operare una scelta di adeguamento strutturale dell'azienda, ampliandola o riducendola per renderla rispondente alle sopravvenute esigenze di economicità e produttività (Cass. civ., sez. III, 12 novembre 2003, n. 17042), tanto più che l'andamento dell'attività imprenditoriale non rientra nell'àmbito della prevedibilità, che spetta al giudice di merito scrutinare (Cass. civ., sez. III, 24 settembre 2002, n. 13909).

Ecco, allora, che può integrare grave motivo un andamento della congiuntura economica - sia favorevole che sfavorevole all'attività di impresa - sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile, che lo obblighi ad ampliare o ridurre la struttura aziendale in misura tale da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2004, n. 3418; per l'insussistenza di gravi motivi nel caso di concessionaria di vendita di autoveicoli che intenda rilasciare l'immobile per concentrare altrove le attività, v. Cass. civ., sez. III, 8 agosto 2002, n. 12020).

In senso restrittivo - cui sembra allinearsi la decisione in commento - risulta ribadito, però, che i gravi motivi di cui all'art. 27, comma 8, della l. n. 392/1978, devono essere determinati da fatti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da rendergli oltremodo gravosa la sua prosecuzione; il comportamento deve essere conseguenziale a fattori obiettivi, sicchè, se il conduttore è un imprenditore commerciale, egli non può operare scelte di adeguamento strutturale della azienda ampliandola o riducendola per renderla rispondente alle sopravvenute esigenze di economicità e produttività.

Ai motivi oggettivi possono ricondursi i vizi della cosa locata, giacché il conduttore può avere maggiore interesse al recesso che alla risoluzione prevista dall'art. 1578 c.c.

In tal senso, sono stati presi in adeguata considerazione: lo scadimento delle condizioni dell'immobile, dell'edificio o del quartiere in cui questo è posto; il diniego delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento dell'attività cui l'immobile deve essere destinato, sempre che ricorra il requisito dell'estraneità alla volontà del conduttore, sopravvenuto e imprevedibile (il recesso, però, non è legittimo quando già al momento della stipulazione del contratto non sussistano i presupposti di fatto e di diritto per conseguire l'autorizzazione: Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 1991, n. 260).

Riferimenti

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Carrato, I presupposti per illegittimo esercizio del recesso da parte del conduttore di immobile commerciale, in Corr. giur., 2012, fasc. 4, 510;

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Pomarico, Brevi note sulla giurisprudenza in tema di contratti di locazione nei quali è interessata la Pubblica Amministrazione, in Enti pubblici, 1996, 425;

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