È possibile cedere il credito d'imposta derivante dall'ultima dichiarazione di una società in liquidazione coatta amministrativa

05 Agosto 2021

In tema di circolazione del crediti delle procedure concorsuali, posto che il credito IRES da eccedenza d'imposta versata a titolo di ritenuta d'acconto nasce in esito e per l'effetto del compimento delle attività di liquidazione, di modo che la dichiarazione concernente il maxiperiodo concorsuale comporta soltanto la rilevazione di un credito già sorto, valida ed efficace tra cedente e cessionario è la cessione di quel credito operata da commissario liquidatore di una società sottoposta a liquidazione coatta amministrativa antecedente alla cessazione della procedura, benché non rispondente ai requisiti formali stabiliti dal regolamento sulla contabilità generale dello Stato; laddove il contratto stipulato dopo la cessazione della procedura, che risponda a quei requisiti, si traduce in una riproduzione contrattuale, la quale costituisce un adempimento dovuto, funzionale a consentire al cessionario di far valere nei confronti del fisco il credito che gli è stato ceduto.
Massima

In tema di circolazione del crediti delle procedure concorsuali, posto che il credito IRES da eccedenza d'imposta versata a titolo di ritenuta d'acconto nasce in esito e per l'effetto del compimento delle attività di liquidazione, di modo che la dichiarazione concernente il maxiperiodo concorsuale comporta soltanto la rilevazione di un credito già sorto, valida ed efficace tra cedente e cessionario è la cessione di quel credito operata da commissario liquidatore di una società sottoposta a liquidazione coatta amministrativa antecedente alla cessazione della procedura, benché non rispondente ai requisiti formali stabiliti dal regolamento sulla contabilità generale dello Stato; laddove il contratto stipulato dopo la cessazione della procedura, che risponda a quei requisiti, si traduce in una riproduzione contrattuale, la quale costituisce un adempimento dovuto, funzionale a consentire al cessionario di far valere nei confronti del fisco il credito che gli è stato ceduto.

Il caso in esame

Con la sentenza in esame, la Corte di cassazione, a Sezioni Unite, ha stabilito che il commissario liquidatore di una liquidazione coatta amministrativa è legittimato non solo a presentare la dichiarazione dei redditi relativa al maxi-periodo concorsuale, ma anche a cedere il credito che emerge dalla stessa dichiarazione, anche se la relativa procedura è già stata chiusa.

Infatti, è lo stesso legislatore che, fissando dei termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi, prevede una sorta di “prorogatio” dei poteri del commissario liquidatore.

E' necessario ricordare che l'obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi è previsto dall'art. 1 d.P.R. 600/1973, il quale pone tale dovere in capo alla generalità dei soggetti passivi, anche di coloro che non abbiano prodotto reddito in quell'anno di imposta. Per le persone giuridiche, il dovere si intende in capo al legale rappresentante.

Nel caso di alcune procedure concorsuali, come il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa, sono previste delle norme specifiche che si andranno di seguito a riassumere.

Il quadro normativo

L' art. 183, comma 2, d.P.R. 917/1986 (di seguito anche TUIR), definisce il c.d. maxi-periodo concorsuale, prevedendo che: "Il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l'inizio e la chiusura del procedimento concorsuale, di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa, quale che sia la durata di questo ed anche se vi è stato esercizio provvisorio, è costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell'impresa o della società all'inizio del procedimento, determinato in base ai valori fiscalmente riconosciuti".

Relativamente a questo periodo, il reddito d'impresa deve risultare dalle dichiarazioni iniziale e finale che devono essere presentate dal curatore o dal commissario liquidatore ai sensi dell'art. 5, comma 4, d.P.R. 322/1998.

Pertanto, il curatore o il commissario liquidatore hanno l'obbligo di presentare la dichiarazione finale della procedura i cui termini scadono entro una data successiva a quella di chiusura (all'epoca dei fatti entro sette mesi).

Secondo parte della giurisprudenza, spetterebbe al curatore presentare anche la dichiarazione dei redditi relativa al periodo compreso tra l'inizio del periodo d'imposta e la data in cui ha effetto la dichiarazione di fallimento. Ne conseguirebbe che spetterebbe al fallito presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento (così Cass. 4 maggio 2021, n. 11590).

Secondo altra giurisprudenza, invece, l'obbligo della presentazione della dichiarazione, per il fallimento, spetterebbe al curatore, che ne prende la guida al momento di pubblicazione della sentenza che dichiara lo stato di decozione.

Tale conclusione si baserebbe sul fatto che non vi può essere soluzione di continuità nella conduzione d'impresa, almeno a fini fiscali; sicché il curatore si trova nella posizione di potere/dovere propria dell'imprenditore, seppur senza l'alea che quello caratterizza, bensì con i limiti propri che la legge prevede a garanzia dei creditori, tra cui quel creditore privilegiato che è lo Stato. Se all'imprenditore fallito non può essere imputata la mancata esposizione dei redditi prima della scadenza, al contrario, al curatore compete presentare la dichiarazione la cui scadenza sia successiva alla sua nomina nell'ufficio. Infatti, questo adempimento incombe, per la citata generale disposizione di legge, in capo a chi sia al governo della persona giuridica al momento della scadenza del termine per adempiere.

Pertanto, spetterebbe al curatore l'obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi anche per il periodo di imposta anteriore alla dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. 2 marzo 2021,n. 5623, ordinanza).

Secondo parte della dottrina, però, ciò non sarebbe previsto dalla legge.

Infatti, con riguardo al periodo c.d. “pre-concorsuale” (tra l'inizio dell'esercizio, ossia l'inizio del periodo d'imposta, ed il giorno anteriore alla data di deposito della sentenza dichiarativa di fallimento), l'obbligo per il curatore di presentare la dichiarazione dei redditi è sancito dal combinato disposto degli artt. 183 TUIR e 5, comma 4, d.P.R. 322/1998; per l'anno precedente, invece, nessuna specifica norma impone al curatore di presentare la relativa dichiarazione dei redditi.

Dovrebbe ritenersi, in definitiva, che il legislatore abbia compiuto una precisa scelta nel porre degli obblighi dichiarativi a carico del curatore fallimentare per i periodi anteriori alla dichiarazione di fallimento solo per la dichiarazione IVA nell'anno precedente (art. 8, comma 4, d.P.R. 322/1998) o per le dichiarazioni dei redditi ed IRAP del periodo “pre-concorsuale”, intendendo escluderli, per contro, nelle altre ipotesi (così M. Negro e A. Nicotra, Dichiarazione dei redditi del periodo ante-fallimento non obbligatoria per il curatore, in Il Quotidiano del Commercialista, 17 maggio 2021).

Tali principi dovrebbero essere validi, non solo nel caso del fallimento, ma anche in quello della liquidazione coatta amministrativa.

La problematica

Considerato che il periodo di imposta è differente rispetto a quello previsto per gli altri contribuenti, si è posto il dubbio come sia possibile recuperare eventuali crediti d'imposta, sorti a seguito di ritenute subite su interessi bancari attivi maturati sui conti correnti della procedura.

In merito, va ricordato che la liquidazione dell'imposta sul reddito (anche di impresa) in presenza di precedenti versamenti eseguiti dal contribuente in acconto di imposta è disciplinata dall'art. 79 del TUIR, che prevede che: “I versamenti eseguiti dal contribuente in acconto dell'imposta e le ritenute alla fonte a titolo di acconto si scomputano dall'imposta a norma dell'articolo 22”.

Principio al quale fanno eccezione le ritenute in acconto di cui all'art. 26, commi 1 e 2, d.P.R. 600/1973 (ritenute sugli interessi attivi), le quali, per i contribuenti (comprese le imprese in bonis) si scomputano nel periodo di imposta in cui si sono prodotti. A questo obbligo per gli enti finanziari di operare una ritenuta a titolo di acconto sugli interessi corrisposti, si accompagna, per i contribuenti in bonis, la facoltà, prevista dall'art. 80 TUIR, di computare l'eccedenza in diminuzione dell'imposta relativa al periodo di imposta successiva, ovvero di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione.

Diversa è, invece, la tassazione dei redditi delle imprese assoggettate a fallimento o a liquidazione coatta amministrativa. Per tali soggetti di imposta la tassazione non opera in relazione ai risultati economici della gestione di ciascun periodo di imposta (quali quelli risultanti dall'utile di bilancio rettificato a termini dall'art. 83 TUIR), ma su quanto eventualmente residui all'esito del pagamento dei creditori concorsuali in sede di riparto finale. La base imponibile non attiene alle rettifiche apportate all'utile di bilancio, ma a una grandezza patrimoniale, data dalla differenza tra il residuo attivo risultante al termine della procedura e il patrimonio netto all'inizio della procedura (art. 183, comma 2, TUIR). Ove il patrimonio netto iniziale, derivante dal confronto tra attività e passività risultanti dal periodo di imposta infrannuale (sino alla dichiarazione di fallimento) risulti nullo in forza della superiorità delle passività rispetto alle attività, nonché ove anche il residuo attivo finale sia inesistente (essendo l'attivo ripartito integralmente tra i creditori), nella procedura concorsuale liquidatoria non vi è reddito tassabile (così Cass. 28 maggio 2020, n. 10108).

Altra particolarità (per quanto rileva in questa sede) è costituita dalla deroga apportata dall'art. 183, comma 2, TUIR al principio della tassazione per singoli periodi di imposta costituiti dai vari periodi in ragione d'anno (art. 76 TUIR), essendo il periodo oggetto di tassazione pari all'intero periodo concorsuale «compreso tra l'inizio e la chiusura dei procedimento concorsuale» (cd. maxiperiodo concorsuale). Ne consegue che il momento in cui diviene certa la posta patrimoniale del “residuo attivo”, idonea a determinare il reddito eventualmente prodottosi durante la procedura, è il momento conclusivo della procedura concorsuale (così Cass. 7 marzo 2019, n. 6630).

Pertanto, essendoci un periodo d'imposta unico, non ci sarebbe la possibilità per il curatore o il commissario liquidatore di applicare l'art. 80d.P.R. 917/1986, perchè, non sussistendo i presupposti per la compensazione, non si può computare in diminuzione in un periodo d'imposta successivo l'eccedenza che sia stata accertata.

Le soluzioni

Per superare tale contrasto tra la disciplina generale delle ritenute d'acconto e quella particolare dell'imposizione reddituale nelle procedure concorsuali, la giurisprudenza ha elaborato diverse tesi.

Secondo un primo orientamento, la dichiarazione concernente il maxi-periodo concorsuale, che presuppone il compimento di tutte le operazioni necessarie alla definizione dei rapporti giuridico-economici facenti capo alla procedura, in mancanza di una espressa previsione di legge che lo vieti e in considerazione del fatto che il legislatore prevede il termine ultimo, ma non quello iniziale per ottemperarvi, è presentata in modo legittimo ed efficace anche prima della chiusura della procedura (Cass. 1 luglio 2003, n. 10349).

In forza di un altro indirizzo, avvenuta l'estinzione della società per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, il diritto al rimborso, spettante per l'eventuale eccedenza corrisposta, può essere esercitato dai soci pro quota (oppure da ciascun socio per l'intero, applicando i principi fissati da Cass. 21 settembre 2020, n. 19641) e sul rimborso ottenuto si possono soddisfare i creditori rimasti insoddisfatti nella procedura concorsuale.

In altri termini, secondo un orientamento, del rimborso da eccedenza fruirebbe la procedura, mediante la dichiarazione anticipata del curatore o del commissario liquidatore. In base all'altro, ne fruirebbero i soci (e sulla somma che ne sia oggetto si soddisferebbero i creditori rimasti insoddisfatti) dopo la chiusura della procedura e la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Conclusioni

La Suprema Corte ha respinto il ricorso erariale, sostenendo che il commissario liquidatore, essendo legittimato a presentare la dichiarazione dei redditi, lo è anche per procedere alla cessione del credito, nelle forme richieste dalla legge affinchè il cessionario lo possa far valere nei confronti dell'erario ai sensi del combinato disposto degli art. 69 e 70 R.D. 2440/1923, dell'art. 43-bis d.P.R. 602/1973 e dell'art. 1, comma 4, D.M 384/1997.

Infatti, l'adempimento in questione è consequenziale alla dichiarazione che il commissario (o il curatore) deve fare per legge dopo la cessazione della procedura, che espone il credito già oggetto dell'atto di disposizione.

In altri termini, la riproduzione, dopo la chiusura del fallimento o la cessazione della procedura di liquidazione coatta amministrativa, della cessione stipulata quando la procedura pendeva, si atteggia come mero adempimento materiale, trattandosi di un adempimento dovuto, perché, per effetto della cessione, il credito non fa più parte della sfera giuridica del cedente.

Pertanto, il commissario, a fronte di una cessione priva dei requisiti formali prescritti, successivamente stipulerebbe un atto che, invece, osservandoli, si tradurrebbe in una riproduzione contrattuale, che consente al cessionario di far valere il credito nei confronti del fisco

Sulla base di tali considerazioni, è stato sancito il seguente principio di diritto: "In tema di circolazione dei crediti delle procedure concorsuali, posto che il credito Ires da eccedenza d'imposta versata a titolo di ritenuta d'acconto nasce in esito e per l'effetto del compimento delle attività di liquidazione, di modo che la dichiarazione concernente il maxi-periodo concorsuale comporta soltanto la rilevazione di un credito già sorto, valida ed efficace tra cedente e cessionario è la cessione di quel credito operata dal commissario liquidatore di una società sottoposta a liquidazione coatta amministrativa antecedentemente alla cessazione della procedura, benchè non rispondente ai requisiti formali stabiliti dal regolamento sulla contabilità generale dello Stato; laddove il contratto stipulato dopo la cessazione della procedura, che risponda a quei requisiti, si traduce in una riproduzione contrattuale, la quale costituisce un adempimento dovuto, funzionale a consentire al cessionario di far valere nei confronti del fisco il credito che gli è stato ceduto".