Ancora sull'efficacia in Italia dello scioglimento del matrimonio per ripudio

09 Agosto 2021

Per escludere la trascrivibilità nei registri dello Stato Civile di una sentenza straniera di divorzio, il giudice nazionale deve esaminare se la decisione straniera produca “effetti” contrari all' ordine pubblico, accertando se nel corso del procedimento straniero siano stati violati diritti essenziali di difesa, senza arrivare ad un sindacato di merito, valutando solo la correttezza della soluzione adottata alla luce dell'ordinamento straniero o di quello italiano.
Massima

Ai fini dell'accertamento della contrarietà all'ordine pubblico italiano di una sentenza straniera di divorzio, per escluderne la trascrivibilità nei registri dello Stato Civile, il giudice nazionale deve esaminare, ai sensi dell'art. 64 lett. g) l. 218/1995, se la decisione straniera produca “effetti” contrari al detto ordine pubblico, accertando se nel corso del procedimento straniero siano stati violati diritti essenziali di difesa, senza arrivare ad un sindacato di merito, valutando solo la correttezza della soluzione adottata alla luce dell'ordinamento straniero o di quello italiano.

Il caso

La Corte di Appello di Bari ordinava all'Ufficiale di Stato Civile del luogo di provvedere a cancellare la trascrizione dai registri della sentenza di divorzio di due coniugi iraniani, ritenendo che essa fosse in contrasto con i principi dell'ordinamento italiano, poiché consentiva al marito di divorziare unilateralmente e arbitrariamente, non discostandosi dall'istituto del ripudio, con “violazione dei principi di parità coniugale e tra i sessi” e già “oggetto di giudiziale repulsa per contrasto con l'ordinamento interno ed internazionale”.

L'uomo proponeva ricorso alla Corte di Cassazione lamentando come la Corte d'Appello, invece, di valutare la contrarietà della sentenza all'ordine pubblico, ex art. comma 1, l. n. 218/1995, abbia invece esteso la sua cognizione alla normativa iraniana.

La Corte di Cassazione ritiene il ricorso meritevole di accoglimento e cassa l'ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte d'Appello, in diversa composizione. Ad avviso della Suprema Corte, infatti, la Corte d'Appello non aveva approfondito la cognizione delle fonti normative straniere, violando gli artt. 14 e 15 l. n. 218/1995 e doveva limitarsi a valutare gli effetti della decisione nel nostro ordinamento e non la correttezza della soluzione adottata dall'ordinamento straniero o dalla legge italiana, non essendo consentita un'indagine sul merito del rapporto giuridico, oggetto della pronuncia.

La questione

L'aumento della presenza di stranieri in Italia, negli ultimi anni, nonché dei matrimoni tra soggetti di diversa cittadinanza, e conseguentemente dei divorzi, ha posto l'attenzione sul riconoscimento delle sentenze straniere di volontaria giurisdizione in Italia. Pertanto, con grande sollievo è stata accolta l'entrata in vigore, il 31 dicembre 1996, del Titolo IV della legge n. 218 del 31 maggio 1995, con cui è stata approvata la Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.

Prima dell'entrata in vigore di detta normativa, le pronunce di scioglimento del vincolo matrimoniale, emesse da Autorità giurisdizionali straniere, avevano efficacia nel territorio italiano solamente a seguito della delibazione da parte della Corte d'Appello, che le riconosceva come valide attraverso l'emissione di una sentenza che veniva successivamente trascritta nei registri dello stato civile del Comune competente.

Poi, in conformità del principio della circolazione internazionale dei provvedimenti giudiziari, il riconoscimento delle sentenze e dei provvedimenti stranieri, con la legge n. 218/1995, è divenuto automatico, in presenza dei requisiti richiesti dalla legge (artt. 64, 65 e 66).

Le soluzioni giuridiche

La normativa di riferimento nell'applicazione della normativa de qua è la Circolare n. 1/50/FG/29(96)1227 del 7 gennaio 1997, tramite cui il Ministero della Giustizia ha stabilito che sia competente l'Ufficiale di Stato Civile, qualora rilevi la sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per il riconoscimento, a procedere con la trascrizione.

Qualora, invece, detti requisiti dovessero mancare, l'Ufficiale di Stato Civile deve rivolgersi alla Procura della Repubblica, le cui determinazioni dovranno essere eseguite. Sul punto, la Corte di cassazione, già con la sentenza Cass. n. 9085/2003, aveva ribadito come gli Ufficiali dello Stato Civile, a cui siano stati presentati provvedimenti di volontaria giurisdizione e/o sentenze, per la relativa trascrizione, iscrizione o annotazione nei registri dello Stato Civile, ove li ritenessero privi dei requisiti per il riconoscimento dell'ordinamento interno, debbano rivolgersi al procuratore della Repubblica.

In oggi, quindi, alle Corti di Appello, è rimasta una competenza residuale, in ordine ai requisiti di riconoscimento in caso di mancata ottemperanza o di contestazione attraverso un'azione di mero accertamento, come prevede l'art. 68, l. 218/1995.

Peraltro, l'Ufficiale di Stato civile, prima di procedere alla verifica dei requisiti sostanziali necessari, affinchè la sentenza sia riconosciuta come efficace in Italia, deve, in primis, accertare che essa sia: pervenuta in copia autentica, debitamente legalizzata dall'Autorità consolare italiana o diplomatica con sede nello Stato in cui il provvedimento è stato emanato, munita della traduzione giurata in lingua italiana, pervenuta in forma integrale.

La mancanza anche di uno solo di detti requisiti permette all'Ufficiale di Stato Civile di non procedere alla verifica dei requisiti di cui agli artt. 64, 65 e 66 della l. 218/1995.

La trascrizione dovrà essere richiesta dal soggetto interessato all'Ufficiale dello Stato Civile, nei cui registri risulti trascritto il matrimonio, personalmente ovvero tramite l'Autorità consolare ovvero tramite legale munito di procura speciale con sottoscrizione autenticata dallo stesso legale.

Una volta proceduto alla verifica formale della pronuncia giurisdizionale ed accertata la legittimità della richiesta di trascrizione, l'Ufficiale dello Stato Civile procederà alla valutazione di tutti i requisiti e delle condizioni sostanziali previste dalla Legge 218/1995, all'art. 64, ovvero che:

a) il giudice che l'ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano;

b) l'atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa;

c) le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo o la contumacia è stata dichiarata in conformità a tale legge:

d) essa è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata;

e) essa non è contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato;

f) non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero;

g) le sue disposizioni non producono effetti contrari all'ordine pubblico.

Tale ultima condizione, la non contrarietà all'ordine pubblico, impone la verifica da parte dell'Ufficiale di Stato Civile della mancata violazione di norme di diritto interno. La pronuncia straniera, infatti, non dovrà contenere disposizioni inconciliabili con le regole fondamentali che definiscono la struttura dei singoli istituti giuridici e che abbiano un impatto concreto contrastante con i principi fondanti l'ordinamento giuridico italiano. Quindi, qualsiasi violazione delle norme imperative ed inderogabili dell'ordinamento italiano rappresenta la contrarietà all'ordine pubblico, cui fa espresso riferimento la l. n. 218/1995.

Pertanto, l'Ufficiale di Stato Civile, che accerti il rispetto dei requisiti formali, nonché la mancata violazione dell'ordine pubblico interno, può procedere alla trascrizione della sentenza ed agli adempimenti conseguenti; ove detti requisiti non siano rispettati trasmette gli atti alla Procura della Repubblica.

Il Procuratore può esprimere, allora, parere favorevole alla trascrizione, nel qual caso l'Ufficiale di Stato Civile trascriverà la sentenza ovvero comunicare che non può essere data esecuzione alla richiesta di riconoscimento; in detto caso, l'Ufficiale di Stato Civile comunicherà ufficialmente all'interessato il provvedimento di diniego, specificando la motivazione ed avvertendo che potrà essere richiesto alla Corte d'Appello competente l'accertamento dei requisiti del riconoscimento.

Per quanto concerne la decorrenza degli effetti della sentenza, che viene automaticamente riconosciuta dall'Ufficiale di Stato Civile, bisogna puntualizzare come la sentenza straniera produca effetti dal momento in cui è passata in giudicato all'estero e non dalla data della trascrizione in Italia.

L'art. 2 l. n. 218/1995 prevede la prevalenza delle convenzioni internazionali, le cui norme risultano così prevalenti sulla legge; pertanto, le sentenze dei Tribunali ecclesiastici in materia di nullità del matrimonio concordatario dovranno essere oggetto di delibazione da parte della Corte d'Appello, in quanto non rientranti nella previsione dell'art. 64, l. n. 218/1995.

Trattasi, infatti, di sentenze emesse sì da uno stato straniero, la Città del Vaticano, ma con cui l'Italia ha stipulato una convenzionale internazionale, il Concordato Lateranense del 1929, così come modificato dall'accordo del 1984, ratificato con la legge n. 121/1985.

Per quanto concerne la trascrizione delle sentenze straniere di divorzio emesse in un Paese membro dell'Unione europea trova applicazione la disciplina di cui al Regolamento CE 2201 del 27 novembre 2003. L'Ufficiale di Stato Civile riceverà dall'Autorità giurisdizionale o competente dello Stato membro in cui è stata pronunciata la sentenza di divorzio, insieme all'istanza dell'interessato, un certificato redatto con codificazione numerica e quindi senza traduzione e legalizzazione. A questo punto, l'interessato dovrà depositare una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà attestante che non esiste fra le stesse parti e per il medesimo motivo una decisione resa in un procedimento tra le stesse parti nello Stato membro o una decisione precedente avente le stesse parti di un altro Stato membro o in un Paese terzo. Il Regolamento CE 2201/2003 si applica alla trascrizione delle sentenze di divorzio e di separazione il cui procedimento sia iniziato dopo il 1° marzo 2005, nonché a quelli in corso a tale data, purchè iniziati dopo il 10 marzo 2001 (quando è entrato i vigore il precedente Regolamento CE 1347/2000).

In ordine, invece, la trascrizione delle sentenze emesse nei paesi extra UE ed in Danimarca, così come per quelle emesse prima del 1° marzo 2001 nei Paesi della Comunità Europea, è necessario un preventivo esame del provvedimento da parte dell'Ufficiale di Stato Civile ai fini della verifica della presenza dei requisiti di cui all'art. 64 e ss l. n. 218/1995. Sarà necessario che l'interessato presenti: la sentenza di divorzio in copia conforme all'originale, rilasciata dall'Autorità Giudiziaria straniera e legalizzata o con apostille apposta, secondo quanto disposto dalla Convenzione dell'Aja del 1961 per i Paesi aderenti ovvero legalizzata dalla rappresentanza consolare, per gli alti Paesi; la certificazione di passaggio in giudicato della sentenza, secondo la legge vigente nel Paese di emissione; la traduzione in lingua italiana, dichiarata conforme dalla rappresentanza diplomatica/consolare, oppure con traduzione giurata presso un Tribunale italiano; la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell'art. 47 della l. 445/2000, attestante che fra le stesse parti e per il medesimo motivo non sia stata pronunciata sentenza da parte del giudice italiano e non penda un procedimento in Italia radicato prima di quello straniero.

Osservazioni

Pare opportuno segnalare come successivamente, sempre la Prima Sezione della Suprema Corte, con la sentenza n. 16804/2020, deliberata il 16 luglio 2020, abbia ritenuto che il provvedimento straniero di divorzio in conseguenza di ripudio (talàq) risultasse in contrasto con l'ordine pubblico italiano, sia in relazione al profilo processuale che in riferimento al profilo sostanziale, e non potessero, pertanto, esserne riconosciuti gli effetti civili nel nostro ordinamento (questione su cui anche la CEDU è intervenuto in altro analogo caso, con la sentenza in data 20 dicembre 2017, in causa C-372/16, Sahyouni c. Mamisch). In quella pronuncia la Suprema Corte ha affermato che una decisione di ripudio emanata all'estero da una autorità religiosa (nella specie tribunale sciaraitico) seppure equiparabile, secondo la legge straniera, ad una sentenza del giudice statale, non può essere riconosciuta all'interno dell'ordinamento giuridico statuale italiano a causa della violazione dei principi giuridici applicabili nel foro, sotto il duplice profilo dell'ordine pubblico sostanziale (violazione del principio di non discriminazione tra uomo e donna; discriminazione di genere) e dell'ordine pubblico processuale (mancanza di parità difensiva e mancanza di un procedimento effettivo svolto nel contraddittorio reale).

In diversa prospettiva, la pronuncia annotata afferma che l' individuazione del limite rappresentato dall'ordine pubblico deve avere riguardo esclusivamente agli effetti dell'atto nell'ordinamento interno, una volta che l'ordine pubblico, nell'attuale fase storico-sociale, si identifica nel complesso dei valori discendenti dalla Costituzione e dalle fonti internazionali e sovranazionali dettati a tutela dei diritti fondamentali per il modo in cui essi si attuano attraverso il diritto vivente. Da tanto consegue come non possa costituire ostacolo in linea di principio al riconoscimento dell'efficacia interna della sentenza straniera «il fatto che essa applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto a più norme interne benchè imperative o inderogabili» (Cass., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599), poichè, diversamente – e qui sta l'avvertenza che si vuole ricordare al giudice del rinvio – “le norme di conflitto sarebbero operanti solo ove conducessero all'applicazione di norme materiali aventi contenuto simile a quelle italiane, cancellando la diversità tra sistemi giuridici e rendendo inutili le regole del diritto internazionale privato”(Cass., Sez. IV, 04/05/2007, n. 10215)». Muovendo da detto presupposto, la Suprema Corte censura la decisione appellata che era pervenuta alla declararoria di contrasto con l'ordine publico del ripudio, siccome rappresentativo di una condizione di privilegio del marito rispetto alla moglie (posto che il primo può divorziare dalla seconda senza che questa ne possa “paralizzare” la volontà).

La sentenza in commento e quella testè richiamata, adottate entrambe dalla Cassazione in materia di riconoscibilità degli effetti civili ad un provvedimento straniero di divorzio unilaterale, nell'assenza della partecipazione della moglie, sono state pronunciate in giudizi aventi ad oggetto la cancellazione della trascrizione di detti provvedimenti, che erano, pertanto, già stati trascritti e producevano effetti nell'ordinamento italiano, senza che fosse intervenuto alcun controllo giurisdizionale.

Ciò potrebbe portare ad interrogarsi sull'efficacia delle modalità di riconoscimento degli effetti civili ai provvedimenti stranieri attualmente vigente in relazione a casi simili; peraltro, gli ordinamenti matrimoniali non sono uguali nei diversi Stati il cui ordinamento giuridico è ispirato ai principi dell'Islam. Ragion per cui è facile prevedere che di problemi simili occorrerà presto tornare ad occuparsene la Suprema Corte, magari con un intervento delle Sezioni Unite

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