Rilevanza del decreto di rinvio a giudizio ai fini delle valutazioni della P.A. e concreto esercizio del potere valutativo da parte di quest'ultima

Angelica Cardi
31 Agosto 2021

Il rinvio a giudizio per fatti di grave rilevanza penale, al pari della adozione di un'ordinanza di custodia cautelare a carico dell'amministratore della concorrente ad una gara, ancorché non espressamente contemplato quale causa di esclusione dalla procedura, può astrattamente incidere sulla moralità professionale dell'impresa con conseguente legittimità di un provvedimento di esclusione che previa adeguata motivazione ne abbia vagliato l'incidenza negativa sulla moralità professionale. Peraltro il decreto di rinvio a giudizio (cui va equiparato il caso di citazione a giudizio) rileva ai fini dell'esclusione a condizione che sia relativo a condotte tenute nell'esecuzione di precedenti contratti, di modo che essa costituisca “vicenda professionale” suscettibile di essere qualificata come “grave illecito professionale” e purché sia riferibile ad uno dei soggetti elencati all'art. 80, comma 3, del Codice.

Il caso. La società capogruppo mandataria del RTI concorrente nella gara per l'affidamento del “servizio di sorveglianza antincendio e gestione delle emergenze” indetta dall'Azienda per la Tutela della Salute della Regione Sardegna ha impugnato la sua esclusione dalla gara.

L'esclusione era stata disposta, ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c) del D.lgs. n. 50 del 2016, a seguito della sopravvenuta notizia dell'esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del Presidente del Consiglio della società mandante e nonostante la società avesse comunicato alla stazione appaltante l'adozione di opportune misure di self cleaning (sostituzione del Presidente del Consiglio di amministrazione e rinnovo dell'intero Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale).

La ricorrente aveva, inoltre, presentato istanza di riammissione in gara quale impresa singola, ritenendo di essere in possesso dei requisiti necessari per partecipare singolarmente.

La decisione. Il Consiglio di Stato ha chiarito, in primo luogo, l'ampiezza del rinvio contenuto nell'art. 48, comma 19 ter del D.lgs. n. 50 del 2016 (ovvero se tra le circostanze che consentono la modifica – in senso riduttivo – del raggruppamento in corso di gara, considerate dai commi 17 e 18, rientri anche l'ipotesi ivi contemplata della perdita di uno dei requisiti di cui all'art. 80 oppure no).

In secondo luogo, si è pronunciato sui limiti del potere discrezionale della stazione appaltante nella valutazione della rilevanza e della gravità dei fatti idonei a integrare la causa di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016.

Ebbene, il Collegio, richiamando la più recente giurisprudenza dell'Adunanza Plenaria, ha confermato l'interpretazione restrittiva dell'art. 48, comma 19 ter affermando che tale norma estende espressamente la possibilità di modifica soggettiva per le ragioni indicate dai commi 17, 18 e 19 anche in corso di gara, con le precisazioni contenute nei detti commi e che, dunque, deve escludersi l'ipotesi della perdita dei requisiti di cui all'art. 80, circoscritta espressamente alla sola fase esecutiva.

In tal senso, infatti, è stato affermato che “si impone che nella fase della procedura di gara il soggetto che ha preso parte ad essa, presentando l'offerta, non sia diverso da quello che viene valutato dalla stazione appaltante e che, infine, si aggiudica la gara, non essendo ammissibile, sul piano del diritto UE, che proprio la fase pubblicistica, deputata alla scelta del miglior offerente, sia quella in cui attraverso la modifica soggettiva e l'addizione di un soggetto esterno alla gara si aggiri il principio della concorrenza e si ammetta in corso di gara un soggetto diverso da quello che ha presentato l'offerta”.

Ne consegue, dunque, che, secondo giurisprudenza consolidata, non deve essere consentita la modificazione soggettiva in caso di perdita dei requisiti di cui all'art. 80 se l'evento si verifica in corso di gara.

Quanto, invece, alla legittimità della valutazione effettuata dalla stazione appaltante in merito all'illecito professionale ritenuto nei confronti della mandante, il Consiglio di Stato ha confermato l'ampio potere tecnico discrezionale attribuito all'Amministrazione dal Codice dei contratti pubblici, la quale ben può utilizzare ogni tipo di elemento idoneo e “mezzi adeguati” a desumere l'affidabilità del concorrente.

Ed infatti, ribadisce il Collegio, l'elencazione delle cause rilevanti sulla valutazione di affidabilità del concorrente, sotto la vigenza del precedente e dell'attuale codice, deve intendersi come meramente esemplificativa, di talché la stazione appaltante può desumere il compimento di “gravi illeciti professionali” da ogni altra vicenda pregressa dell'attività professionale dell'operatore economico di cui è stata accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa se essa ne mette in dubbio l'integrità e l'affidabilità, secondo un giudizio espresso dall'amministrazione non in chiave sanzionatoria, ma piuttosto fiduciaria.

Ne deriva, dunque, che la necessità di garantire l'elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della Pubblica Amministrazione comporta che, ai fini dell'esclusione di un concorrente, non è necessario un accertamento della responsabilità ma è sufficiente una valutazione motivata della stazione appaltante in ordine alla grave negligenza o malafede, connotata dall'elemento psicologico della colpa grave e da lesività non di scarsa entità, che rilevi sulla moralità e affidabilità dell'impresa.

In tale contesto, il Collegio ha ritenuto legittimo il provvedimento di esclusione adottato dalla stazione appaltante, in applicazione del principio secondo cui il rinvio a giudizio per fatti di grave rilevanza penale al pari della adozione di un'ordinanza di custodia cautelare a carico dell'amministratore della società interessata – ancorché non espressamente contemplato quale causa di esclusione dalle norme che regolano la aggiudicazione degli appalti pubblici – può astrattamente incidere sulla moralità professionale dell'impresa.

In tal caso, ha precisato il Collegio, grava sull'amministrazione una doppia valutazione: dapprima se si tratti di un effettivo caso pregresso di grave illecito professionale; poi, in che termini il fatto che lo integra risulti idoneo a incidere sull'affidabilità dell'impresa in relazione al contratto per il quale è gara.

Da quest'ultimo punto di vista, il giudizio della stazione appaltante “non può che investire il fatto in sé, in tutti i suoi profili sostanziali, e non la sola valutazione e il trattamento datogli in sede penale”, considerato che l'apprezzamento del medesimo fatto in sede penale e da parte dell'amministrazione ex art. 80, comma 5, lett. c) del Codice è ben distinto proprio per le diverse finalità istituzionali della valutazione e gli inerenti parametri normativi.

Tale discrezionalità si estende, ai sensi dell'art. 80, comma 8, del D.lgs. n. 50 del 2016, anche alla valutazione operata dalla stazione appaltante in merito alla idoneità delle misure di self cleaning adottate dalla concorrente. In particolare, l'amministrazione, come rilevato dal Collegio, ha correttamente aderito all'orientamento giurisprudenziale secondo cui le misure secondo cui le misure poste in essere allo scopo di evitare la sanzione espulsiva e dare prova del superamento delle criticità che avevano minato l'affidabilità dell'impresa possono logicamente operare solo per le future gare.

In conclusione, il Consiglio di Stato ha confermato che il potere discrezionale dell'Amministrazione è soggetto al controllo ed al sindacato giurisdizionale nei consueti limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti.

Onde il relativo sindacato, propriamente incentrato sulla motivazione del rifiuto di aggiudicazione per ragioni di ritenuta inaffidabilità dell'impresa, va rigorosamente mantenuto sul piano della verifica estrinseca della non pretestuosità della operata valutazione degli elementi di fatto, senza attingere, per ritenere concretato il vizio di eccesso di potere, la logica intrinseca di vera e propria condivisibilità della valutazione.

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