L'Adunanza plenaria sulla spettanza del compenso revisionale in caso di recesso dal contratto di appalto per interdittiva antimafia

Mahena Chiarelli
06 Settembre 2021

L'Adunanza Plenaria, facendo luce sulla natura e la finalità dell'istituto della revisione dei prezzi, si pronuncia sulla spettanza del compenso revisionale all'appaltatore colpito da interdittiva antimafia, per servizi anteriormente eseguiti.

Il caso. In seguito all'interdittiva prefettizia antimafia emessa nei confronti di una società titolare di diversi contratti di appalto, l'Azienda sanitaria committente recedeva da tutti i contratti in corso con l'appaltatrice aventi ad oggetto i servizi di pulizia, facchinaggio ed ausiliariato. La società chiedeva quindi all'Azienda il riconoscimento e il pagamento delle somme dovute a titolo di revisione dei prezzi degli appalti in questione.

Nel corso della complessa vicenda processuale che ne è seguita, l'Azienda chiedeva di dichiarare improcedibile il ricorso della società sul rilievo che la ricorrente, in quanto destinataria di una informazione interdittiva antimafia, era incorsa in quella particolare forma di incapacità a poter ottenere “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo”, estesa, dalla sentenza dell'Adunanza plenaria n. 3/2018, ad ogni esborso della pubblica Amministrazione, a titolo indennitario o compensativo, tra cui rientrerebbe, ad avviso dell'Azienda, anche il compenso revisionale.

Secondo il TAR, tuttavia, l'impostazione ermeneutica seguita dall'Azienda rispetto alla pronuncia n. 3/2018 non è condivisibile: “poiché nella specie non vengono in rilievo somme dovute a titolo di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo”, ma corrispettivi contrattuali, sebbene nella peculiare forma legata al meccanismo dell'istituto della revisione prezzi, dovuti in ragione di prestazioni già da tempo eseguite”.

L'Azienda ha quindi promosso appello, nel corso del quale è stata pronunciata – con riferimento ad altro giudizio – la sentenza 26 ottobre 2020 n. 23 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che ha esaminato gli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2, i quali prevedono che i soggetti di cui all'art. 83: “revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”, stabilendo che esse costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione.

Il CGARS, in esito all'udienza pubblica, ha richiesto l'intervento dell'Adunanza plenaria in ordine al corretto significato da attribuire alla locuzione: “valore delle opere già eseguite”, al fine di chiarire, con particolare riferimento agli appalti di servizi connotati da prestazioni periodiche, ripetitive e standardizzate (quale è quello in esame), se nella determinazione del “valore” debba tenersi conto solo del prezzo dedotto in contratto o anche del prezzo quale risulta dall'applicazione della revisione dei prezzi. In subordine, ha chiesto di verificare se la domanda volta ad ottenere il pagamento delle somme a seguito della revisione prezzi possa essere avanzata dall'operatore economico dopo essere stato attinto dall'informazione interdittiva ma per opere realizzate in epoca antecedente.

La pronuncia del Consiglio di Stato. Ricorda anzitutto il Collegio che l'informazione interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità ex lege parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che nei confronti del soggetto – persona fisica o giuridica – destinatario del provvedimento prefettizio, opera il divieto di ottenere: “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali” ai sensi dell'art. 67 co. 1 lett. g) d.lgs. n. 159/2011. La norma va interpretata nel senso di riferirsi a qualunque tipo di esborso proveniente dalla P.A., quale che ne sia la fonte e la causa, per il tempo di durata degli effetti dell'interdittiva (Cons. St., sez. III, 4 giugno 2021, n. 4293).

L'eccezione al principio è dettata dagli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2, i quali prevedono che i soggetti di cui all'art. 83: “revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”. Inoltre, conformemente a quanto stabilito dall' Adunanza plenaria n. 23 del 2020, l'eccezione si applica anche agli appalti di servizi.

Il valore dei servizi già eseguiti. Negli appalti di servizi in cui la determinazione del prezzo contrattuale segue ad una procedura di evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite dalla Stazione appaltante, coincide con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti, posto che le prestazioni eseguite prima del recesso e non ancora pagate, in questo genere di appalti, hanno tendenzialmente la medesima “utilità” dalle prestazioni periodiche già pagate, salvo diversa dimostrazione, da parte della stazione appaltante.

Natura e finalità della revisione dei prezzi. Sulla scorta delle interpretazioni fornite dalla giurisprudenza amministrativa e civile alla revisione dei prezzi, l'Adunanza esclude che l'istituto abbia finalità risarcitorie. Esso viene concepito dal legislatore unicamente al fine di garantire l'equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente pattuito, ed evitare che una parte possa avvantaggiarsi sine titulo (del valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi.

La revisione dei prezzi svolge una funzione “integrativa” del prezzo contrattuale, nel senso che definisce l'esatto corrispettivo, rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto e tale conclusione è corroborata dal carattere obbligatorio della revisione dei prezzi negli appalti di servizi, ai sensi dell'art. 115 d.lgs. n. 163/2006, applicabile ratione temporis.

Se si ritenesse che, in caso di interdittiva antimafia, il prezzo da pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza l'integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all'esecutore vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall'amministrazione, il che non solo sarebbe contrario alla lettera e alla ratio legis, ma determinerebbe a favore della PA un “ingiustificato arricchimento”, consistente nel “valore” risultante dalla differenza tra quanto previsto originariamente nel contratto e il (maggior) costo – del lavoro, nel caso di specie – determinato tenendo conto della revisione.

I principi affermati dall'Adunanza Plenaria. In conclusione, l'Adunanza plenaria afferma i seguenti principi:

“a) negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all'esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso;

b) nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall'applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all'art. 115 d.lgs. n. 163/2006”.