Quantificazione dell'assegno divorzile e scelte lavorative incidenti sulla conduzione della vita familiare
06 Settembre 2021
dell'assegno divorzile alla luce delle scelte lavorative compiute dagli ex coniugi. In particolare, con il secondo motivo del ricorso incidentale, l'ex marito, controricorrente, ha insistito sulla violazione dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, nonché sull'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nell'escludere l'adeguatezza dei mezzi economici a disposizione della donna, la sentenza della Corte territoriale non aveva tenuto conto della scelta, dalla stessa compiuta, di lavorare a tempo parziale, e della conseguente possibilità di ottenere emolumenti aggiuntivi attraverso lo svolgimento di un'attività lavorativa a tempo pieno. La Cassazione, dichiarando estinto il ricorso principale presentato dalla donna, ha accolto il secondo motivo del ricorso incidentale proposto dall'ex marito a carico del quale il Tribunale di prime cure aveva posto l'obbligo di corrispondere l'assegno divorzile, nonché l'obbligo di contribuire al mantenimento della figlia mediante il versamento di un assegno mensile anch'esso annualmente rivalutabile, e attraverso la partecipazione alle spese straordinarie nella misura dei quattro quinti.
La questione sottoposta alla Corte.La Corte di Cassazione affronta il tema del riconoscimento del diritto all'assegno divorzile, e in particolare della relativa quantificazione alla luce delle scelte lavorative degli ex coniugi. Preliminarmente, viene richiamato l'orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, avuto riguardo alla funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa di tale contributo, la verifica dell'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente e dell'incapacità di procurarseli per ragioni obiettive richiede in primo luogo una valutazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti. Si tratta di una verifica da condursi alla stregua degli indicatori previsti dalla prima parte dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, in modo tale da accertare se l'eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale dei coniugi dipenda dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, quale fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell'altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche alla luce dell'età del coniuge richiedente e della conformazione del mercato del lavoro (Cass., S.U., n. 18287/2018). In proposito, la Cassazione osserva che nell'applicazione di tale criterio al caso di specie, la Corte territoriale si era limitata, nell'esame della situazione reddituale dei coniugi, ad evidenziare il rilevante squilibrio esistente tra gli introiti derivanti dalle attività lavorative svolte dagli stessi, per poi procedere alla valutazione dei rispettivi patrimoni e degli altri indici di riferimento previsti dallo art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, trascurando la circostanza, fatta valere dal controricorrente con l'atto di appello, che la ricorrente, pur essendo titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, prestava la propria attività a tempo parziale. Proprio tale circostanza, evidenzia la Cassazione, idonea ad orientare in senso diverso la decisione, in quanto verosimilmente incidente in misura tutt'altro che trascurabile sul reddito da lavoro della donna, non aveva costituito oggetto di specifico riscontro nell'ambito della sentenza impugnata, la quale, pur avendo accertato che nei primi anni di matrimonio la donna si era dedicata esclusivamente alla famiglia, in tal modo consentendo al coniuge di impegnarsi nel proprio lavoro e di fare carriera, aveva omesso di individuare il momento in cui era maturata la decisione di trovare un'occupazione retribuita e le ragioni di questa scelta, nonché di verificare se la stessa fosse stata compiuta in autonomia dalla donna o concordata tra i coniugi e di stabilire se l'attività lavorativa fosse stata prestata a tempo parziale fin dall'origine. Qualora, infatti, la predetta scelta fosse stata riconducibile alla necessità di far fronte contemporaneamente alle esigenze della famiglia ed all'accudimento dell'unica figlia nata dall'unione, i relativi effetti non avrebbero potuto non essere tenuti in considerazione ai fini della determinazione dell'assegno, sotto il duplice profilo del parziale sacrificio della capacità professionale e reddituale della ricorrente e del contributo da lei fornito alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune. Al riguardo, la Cassazione precisa altresì che la Corte territoriale aveva omesso di accertare se, anche in relazione all'età della moglie, la scelta compiuta dalla stessa avesse dovuto considerarsi irreversibile, oppure se, come sostenuto dal controricorrente, la donna sarebbe stata ancora in grado di incrementare il proprio reddito, e quindi ridurre il divario accertato rispetto a quello dell'ex coniuge, optando per la prestazione di lavoro a tempo pieno. Invero, in quest'ultimo caso, osserva la Cassazione, il predetto squilibrio non avrebbe potuto essere considerato come un effetto esclusivo di scelte compiute in costanza di matrimonio, ma sarebbe risultato, almeno in parte, riconducibile ad un'autonoma decisione della ricorrente, la quale, pur essendo libera da impegni familiari, anche per effetto dell'età ormai raggiunta dalla figlia, non aveva inteso porre pienamente a frutto la propria capacità di lavoro professionale. In conclusione, la Corte di legittimità cassa la sentenza impugnata, nei limiti segnati dall'accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'Appello in diversa composizione.
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