Violenza sessuale: il danno biologico va liquidato oltre i limiti tabellari (ma non esaurisce il pregiudizio da risarcire alla vittima)
14 Settembre 2021
Massima
A parità di percentuale di invalidità, temporanea e/o definitiva, le compromissioni patite dalla vittima di reato doloso – commesso tramite violenza su persona minore – rivestono maggior intensità rispetto a quelle subite dalla vittima di sinistri stradali, reati colposi o altri atti/fatti privi di rilevanza penale: per cui risulta equa una personalizzazione del danno biologico in termini doppi rispetto alla percentuale massima prevista dalla Tabella milanese. A fronte di un illecito plurioffensivo, quale il reato di violenza sessuale, il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione del bene-salute non esaurisce i pregiudizi non patrimoniali, dovendosi procedere all'autonoma e separata liquidazione del danno derivante dalla lesione del diritto all'autodeterminazione sessuale. Il caso
Il tribunale di Milano è chiamato a pronunciarsi con riguardo al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti da una bambina di sette anni - vittima di atti plurimi di violenza sessuale, perpetrati dallo zio, durante un breve soggiorno di costui presso la casa dei genitori della minore - nonché dei pregiudizi direttamente riportati da questi ultimi. Il giudice meneghino affronta il caso esclusivamente sul versante del quantum debeatur, considerato che in sede penale era stata accertata la responsabilità dell'imputato e riconosciuto il diritto al risarcimento del danno subito dalle parti civili, con liquidazione di una provvisionale immediatamente esecutiva. Posto che, per quanto concerne il quantum, al giudice civile è rimessa ogni determinazione - dovendosi escludere che la liquidazione fatta del giudice penale in sede di condanna sia esaustiva della pretesa risarcitoria vantata dai danneggiati del reato - il tribunale è chiamato a valutare la ricorrenza di tre distinti profili di danno:
(a) Per quanto riguarda la minore, si tratta di liquidare le conseguenze della lesione alla salute patite dalla vittima, in considerazione delle ripercussioni di carattere fisico e soprattutto psichico (disturbo post- traumatico da stress) riscontrate in capo bambina: a fronte delle quali il CTU accerta un'invalidità temporanea parziale (del 35% per un anno e del 25% per l'anno successivo) e un'invalidità permanente del 18%;
(b) Si prospetta, altresì, l'autonomo ristoro delle ripercussioni discendenti dalla lesione del diritto all'autodeterminazione sessuale della minore, in considerazione del fatto che il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione alla salute non risulterebbe esaustivo delle compromissioni non patrimoniali subite dalla vittima;
(c) Un'ulteriore voce di pregiudizio riguarda, infine, il danno patito iure proprio dai genitori, nella veste di vittime secondarie del reato. La questione
Le questioni giuridiche da affrontare, per il giudice meneghino, sono molteplici:
Le soluzioni giuridiche
Per quanto concerne il danno provocato dalla lesione alla salute della minore – oltre alla componente patrimoniale, relativa alle spese mediche sostenute per le cure di psicoterapia – il tribunale affronta la quantificazione del pregiudizio non patrimoniale derivante dall'invalidità, sia permanente che temporanea, accertata in capo alla vittima. Sotto tale profilo, il giudice osserva che – in presenza di reati dolosi quali la violenza sessuale e le lesioni subite dalla minore – si evidenzia “una maggiore intensità delle sofferenze psicofisiche e delle conseguenze dinamico-relazionali patite dalla vittima” ove poste a confronto, a parità di percentuale di invalidità, con quelle subite a seguito di un sinistro stradale, di reati colposi o altri atti/fatti privi di rilevanza penale. A fronte di una simile constatazione, il tribunale ritiene che la personalizzazione del pregiudizio possa aver luogo in “termini pressoché doppi della personalizzazione massima prevista dalla Tabella Milanese in materia di danno biologico, sia temporaneo che permanente, e da applicarsi sui valori compensativi sia dei pregiudizi dinamico-relazionali sia della sofferenza interiore”.
Il giudice rileva che il pregiudizio biologico non risulta esaustivo di ogni conseguenza dannosa non patrimoniale subita dalla minore, posto che “a fronte di illeciti dolosi pluri-offensivi di diversi diritti della vittima il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione del bene salute non esaurisce i pregiudizi non patrimoniali conseguenti all'illecito, dovendosi in questi casi procedere ad un'autonoma e separata liquidazione del diverso danno non patrimoniale patito dal danneggiato”. Riscontrata, nel caso in esame, la ricorrenza in capo alla minore (oltre della lesione alla salute) della violazione dell'autodeterminazione sessuale, si procede al ristoro del pregiudizio da quest'ultima generato. Ai fini della relativa quantificazione, vengono presi in considerazione vari fattori: vale a dire la gravità e la ripetizione degli atti di violenza, il contesto familiare e il luogo ove gli stessi erano stati commessi, la giovane età della vittima. Alla stregua di tali criteri, il danno non patrimoniale da lesione della libertà sessuale viene quantificato in 80.000 euro.
Infine, per quanto riguarda il pregiudizio patito dai genitori, il tribunale rileva come “un reato possa cagionare danni non solo alle vittime primarie, bensì anche a quelle secondarie, le quali hanno diritto al risarcimento del danno in quanto titolari di una situazione qualificata, derivante da un particolare contatto con la vittima”. Si rileva, pertanto, la risarcibilità di un danno subito iure proprio, in applicazione del combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 2059 c.c.; senza contare che, in ogni caso, i genitori risultano titolari di un interesse che riveste rilevanza costituzionale il quale trova fondamento nell'art. 29 Cost. La liquidazione del pregiudizio in questione viene effettuata tenuto conto della sofferenza morale dei genitori, mentre il giudice ritiene non sia stato provato alcun danno di carattere dinamico- relazionale. I parametri presi in considerazione, ai fini della liquidazione, sono costituiti dalla ripetizione del reato, dalle circostanze di tempo e di luogo in cui è stato commesso e dal rapporto personale sussistente con l'autore del reato. L'applicazione di tali criteri porta ad una quantificazione complessiva, a favore dei genitori, di un risarcimento di 60.000 euro. Osservazioni
La sentenza del tribunale di Milano raggiunge conclusioni interessanti con riguardo a tutti i tre distinti profili di pregiudizio dalla stessa presi in esame.
Le indicazioni che presentano il maggior contenuto di originalità riguardano senz'altro la liquidazione del danno biologico, la cui dimensione quantitativa risulta dal giudice amplificata in ragione della particolare natura dell'illecito. In ossequio alle indicazioni raggiunte dall'Osservatorio di Milano - secondo cui il tetto massimo previsto per la personalizzazione del danno non patrimoniale da lesione alla salute può essere superato in ragione della gravità rivestita dal torto - la pronuncia sancisce la necessità di valicare quei limiti, considerato che nel caso di specie le lesioni sono originate da un reato particolarmente odioso, quale la violenza sessuale. Pur trattandosi di conclusioni già raggiunte in precedenti pronunce (v., ad esempio, Cass. 13 dicembre 2019, n. 32787, riguardante i pregiudizi alla salute provocati da un'aggressione fisica di inaudita ferocia), qui emerge un elemento di novità: legato alla determinazione dell'ordine di grandezza dello “sforamento”. Il tribunale milanese afferma, infatti, come la personalizzazione – relativa sia alla componente morale, che a quella dinamico-relazionale – debba aver luogo in termini raddoppiati rispetto ai valori massimi tabellari. Una simile conclusione risulta del tutto condivisibile, una volta constatato che la standardizzazione tabellare tiene conto del pregiudizio, correlato ad ogni particolare grado di invalidità, guardando alla menomazione di per sé considerata, e non già al comportamento che ha generato la stessa. La tabella, anche per quanto riguarda i possibili incrementi percentuali, non prende in considerazione quelle compromissioni che appaiono amplificate in ragione del carattere doloso del comportamento del danneggiante. Queste ultime sono, pertanto, suscettibili di una liquidazione che si presta a superare i limiti stabiliti nella tabella. È interessante rilevare come, in questo caso, il giudice offra un'indicazione precisa per quanto riguarda l'entità di tale incremento: il valore determinabile attraverso la personalizzazione tabellare risulta, infatti, raddoppiato. Ad essere affermata è un'idea senz'altro condivisibile, in base alla quale lo sforamento va, in ogni caso, determinato attraverso un raffronto con quelli che sono i calcoli tabellari; la discrezionalità del giudice va esercitata sulla base di un rapporto di proporzionalità con questi ultimi.
Del tutto scollegata dai valori individuati a livello tabellare risulta, invece, la determinazione del pregiudizio discendente dalla violazione di interessi distinti da quello alla salute, che si sostanzia a fronte della natura plurioffensiva dell'illecito. Il tribunale procede, in maniera senz'altro fondata, all'autonoma liquidazione del pregiudizio generato dalla lesione dell'autodeterminazione sessuale della minore. A tale riguardo, già in passato la Cassazione aveva sottolineato – in un caso similare, riguardante gli atti di libidine subiti da una bambina da parte di un pedofilo – come la posta del danno morale non rappresenti necessariamente una quota del danno alla salute, laddove le lesioni attengano a beni diversi, oggetto di autonoma tutela (Cass 11 giugno 2009, n. 13350; più di recente v. anche Cass. 18 febbraio 2020, n. 4099). La quantificazione di tale voce del pregiudizio ha luogo, da parte del tribunale milanese, avuto riguardo alla gravità del reato e alle circostanze in cui lo stesso si è verificato, per cui appare in sostanza rimessa alla discrezionalità giudiziale, al di fuori di qualunque aggancio a indicazioni quantitative predeterminate (per una liquidazione del pregiudizio patito da una minore vittima di violenza costruito sulla base di una comparazione con gli importi del danno derivante da un'ipotetica invalidità della vittima, v. invece Trib. Varese 10 dicembre 2010). Un aspetto da evidenziare riguarda la necessità che il giudice si astenga da prendere nuovamente in considerazione quei profili sofferenziali e dinamico-relazionali già liquidati nell'ambito del danno alla salute, quali effetti del disturbo psichico riportato dalla vittima.
Il tribunale sancisce, infine, l'autonoma risarcibilità del danno patito iure proprio dai genitori, nella loro veste di vittime secondarie del reato; a venire in gioco è, in buona sostanza, la lesione del rapporto parentale provocato dall'illecito (in tal senso, v. Trib. Varese 10 dicembre 2010, cit.). Lungo il profilo della determinazione del pregiudizio, una critica va mossa con riguardo alla considerazione esclusiva – da parte del giudice meneghino - dei profili morali, non essendo stata fornita la prova dell'avvenuta alterazione della vita del nucleo familiare. In verità, a fronte di una fattispecie così grave – ove la figlia risulta vittima dei ripetuti atti di violenza ad opera dello zio, mentre era ospite nella casa familiare – sembrerebbe doversi dare per scontato il ricorso all'applicazione di un ragionamento presuntivo anche per quanto riguarda la componente dinamico-relazionale del danno. Non soltanto attraverso la sofferenza interiore, ma anche tramite l'inevitabile alterazione delle dinamiche familiari è infatti destinato a manifestarsi il pregiudizio patito dai genitori della bimba abusata. |