Il progetto di riforma Cartabia: una rivoluzione copernicana per il sistema sanzionatorio penale?

Claudia Castelli
20 Settembre 2021

L'evoluzione del sistema sanzionatorio penale consente di osservare da una prospettiva privilegiata il complessivo processo di sviluppo dell'ordinamento giuridico. Ben lungi dal porsi come dato definitivamente acquisito, il riconoscimento delle garanzie in materia di esecuzione penale risulta dal concorso di innumerevoli variabili socio-culturali, oltre che giuridiche. Una sensibilità di stampo garantista pare animare la riforma del sistema sanzionatorio...
Abstract

L'evoluzione del sistema sanzionatorio penale consente di osservare da una prospettiva privilegiata il complessivo processo di sviluppo dell'ordinamento giuridico. Ben lungi dal porsi come dato definitivamente acquisito, il riconoscimento delle garanzie in materia di esecuzione penale risulta dal concorso di innumerevoli variabili socio-culturali, oltre che giuridiche. Una sensibilità di stampo garantista pare animare la riforma del sistema sanzionatorio ora all'esame del Parlamento: intervenendo sulle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi e aprendo orizzonti nuovi in materia di giustizia riparativa, il progetto di riforma Cartabia sembra inaugurare, sul palcoscenico dell'esecuzione penale, una stagione inedita.

Scenari nuovi nel sistema sanzionatorio penale

Se le odierne tendenze della politica criminale mettono in costante discussione l'assunto di Rudolf von Jhering per cui la storia della pena è la storia di una continua abolizione, le linee programmatiche sulla giustizia, illustrate dalla ministra della giustizia Marta Cartabia nel marzo del 2021, segnano una netta inversione di rotta rispetto alla doxa dominante. L'attenzione per il significato sociale della pena, che si innesta sull'ideale rieducativo (art. 27, comma 3, Cost.), registra la volontà di rendere la sanzione penale funzionale all'effettivo reinserimento del reo nella società. Allo scopo di incentivare il superamento dell'equazione pena-carcere e, con essa, della convinzione che la restrizione della libertà personale rappresenti l'unica risposta effettiva al reato, il progetto di riforma del sistema sanzionatorio penale si muove in due direzioni: emerge, da una parte, l'intento di valorizzare le alternative al carcere – e, in particolare, le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi – già quali pene principali; dall'altra, si persegue l'obiettivo di fornire un maggior grado di sistematicità alla disciplina della giustizia riparativa, secondo le indicazioni provenienti dall'Unione Europea.

Al fine di elaborare proposte di riforma in materia di processo e di sistema sanzionatorio penale, la ministra Cartabia ha istituito presso l'Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia una commissione di studio, presieduta dal Presidente emerito della Corte costituzionale, Giorgio Lattanzi.

Perseguendo l'obiettivo di «superare il luogo comune e la cultura del carcere, come unica o comunque irrinunciabile, risposta al reato», la Commissione sottolinea anzitutto, nella sua relazione finale presentata al Guardasigilli, l'improrogabilità di una riforma organica della disciplina della pena pecuniaria e, in particolare, dei meccanismi di conversione della stessa, tramite l'adozione di un sistema basato sulle “quote” che consenta di commisurare la pena alla gravità del fatto e alle condizioni economiche del condannato.

Inoltre, secondo la Commissione Lattanzi, oggetto di un intervento di ampio respiro dovrebbero essere le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, la cui attuale ineffettività è evidenziata da dati statistici: in base a quanto riportato sul sito del Ministero della Giustizia, ad aprile 2021 i soggetti in semidetenzione sull'intero territorio nazionale erano solamente in due, allorché i soggetti sottoposti alla misura della libertà controllata erano in 104.

La Commissione Lattanzi propone, dunque, in primo luogo, un innalzamento dei limiti temporali delle pene detentive sostituibili, anche per evitare sovrapposizioni con l'ambito di applicazione dell'istituto della liberazione condizionale; in secondo luogo, si prospetta una modificazione della tipologia di pene sostitutive, «nella consapevolezza che il carcere non deve rappresentare l'unica risposta al reato e che, anzi, per gli effetti desocializzanti che comporta, deve essere evitato quando possibile in favore di pene da eseguirsi nella comunità».

In concreto, all'abolizione della semidetenzione e della libertà controllata, dovrebbe accompagnarsi l'estensione delle misure alternative (affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, semilibertà) al novero delle sanzioni sostitutive, da applicarsi già nella fase della cognizione. Sarebbe in questo modo netto il mutamento di prospettiva: da modalità alternative di esecuzione della pena detentiva, tali misure si trasformerebbero sostanzialmente in pene alternative al carcere.

In questa cornice si inserisce la riforma delineata dal disegno di legge S 2353, denominato Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, ora all'esame del Parlamento. Tale progetto di riforma nasce in un contesto del tutto peculiare, trattandosi di un emendamento a un disegno di legge presentato lo scorso anno dalla precedente compagine governativa (disegno di legge AC 2435). Con specifico riferimento alla revisione del sistema sanzionatorio, il progetto si articola in due assi portanti: la modifica al sistema delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (art. 1, comma 17); l'introduzione di un sistema organico di giustizia riparativa (art. 1, commi 18-20).

Il nuovo sistema di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi

La materia delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi riceve, a quarant'anni dal suo primo ingresso nell'ordinamento (l. 24 novembre 1981, n. 689), un impulso nuovo. Introdotto allo scopo di evitare gli effetti desocializzanti del carcere a fronte di condanne brevi alla detenzione – e il conseguente svilimento della finalità rieducativa della pena, per l'impossibilità di avviare, in periodi brevi, credibili percorsi di reinserimento sociale –, tale sistema, così come in origine strutturato, si è rivelato poco funzionale.

La revisione che se ne propone è radicale, poiché muove dall'abolizione delle originarie sanzioni della semidetenzione e della libertà controllata e dalla loro sostituzione con un catalogo di misure maggiormente articolato: detenzione domiciliare, semilibertà, lavoro di pubblica utilità e pena pecuniaria costituiscono, infatti, i quattro pilastri del nuovo sistema di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi.

Nel tratteggiare i connotati essenziali di tale sistema, occorre preliminarmente considerare che la detenzione domiciliare e la semilibertà si configurano attualmente come misure alternative alla detenzione, sulla cui applicazione si pronuncia il Tribunale di sorveglianza in un momento successivo al passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

L'applicazione di tali misure da parte del giudice della cognizione andrebbe, dunque, a incidere in maniera significativa sul meccanismo di cui all'art. 656, comma 5, c.p.p., che prevede la sospensione dell'ordine di esecuzione per i condannati a pena detentiva non superiore a quattro anni, o sei anni nei casi di cui agli artt. 90 e 94 del d.P.R. n. 309 del 1990, con la contestuale concessione all'interessato di un termine di trenta giorni per la presentazione di una istanza volta a ottenere la concessione di una misura alternativa alla detenzione.

L'anticipazione di tale momento alla fase della cognizione è da salutare con grande favore, poiché elimina in radice il problema della scissione temporale tra il momento in cui la sentenza di condanna viene pronunciata e il momento in cui la stessa viene in concreto eseguita. Il carico di lavoro dei Tribunali di sorveglianza sovente impedisce, infatti, una pronuncia in tempi ragionevolmente brevi, anche in considerazione del fatto che le istanze dei c.d. liberi sospesi vengono posposte rispetto a quelle dei soggetti in vinculis, per un evidente ordine di priorità.

Nel progetto di riforma Cartabia la detenzione domiciliare e la semilibertà sarebbero suscettibili di essere applicate a soggetti condannati fino a quattro anni di reclusione e sarebbero assoggettate alla stessa disciplina prevista per le corrispondenti misure alternative, ove compatibile. Talune differenze si registrano in materia di revoca delle misure: essa sarebbe disposta in caso di mancata esecuzione o di grave o reiterata inosservanza delle prescrizioni, con possibilità di conversione del residuo anche in altra pena sostitutiva.

Tra le nuove sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi non figura, peraltro, l'affidamento in prova al servizio sociale; sulle ragioni di tale assenza pare doveroso interrogarsi. Muovendo dalla premessa che tale misura concede al condannato spazi di libertà certamente maggiori rispetto alla detenzione domiciliare e alla semilibertà, si può forse leggere nella sua esclusione la difficoltà, da parte del legislatore, ad abbandonare la radicata convinzione della necessaria coincidenza tra pena e privazione della libertà personale. L'inflizione in via esclusiva di una pena non detentiva è, verosimilmente, guardata con sospetto. In secondo luogo, può forse leggersi in questa scelta la volontà di evitare il rischio che l'applicazione dell'affidamento in prova si trasformi in una sospensione condizionale mascherata.

Nel novero delle misure sostitutive delle pene detentive brevi rientra anche il lavoro di pubblica utilità, che sinora ha conosciuto un discreto successo nell'ambito di reati stradali e di reati attinenti alla violazione della disciplina sugli stupefacenti. Se ne prevede l'applicazione, anche d'ufficio, ai soggetti condannati a pene non superiori ai tre anni di reclusione, purché l'interessato non vi si opponga. Anche in questo caso la misura, che avrebbe una durata pari a quella della pena detentiva sostituita, troverebbe la sua disciplina nella fonte che lo ha originariamente introdotto (d.lgs. n. 274 del 2000, “Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468”).

Infine, unica sopravvissuta dal sistema della l. n. 689 del 1981, anche la pena pecuniaria andrebbe incontro a talune modificazioni di rilievo. In primo luogo, il limite massimo di pena detentiva sostituibile verrebbe innalzato da sei mesi a un anno. Inoltre, si supererebbe il criterio di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria previsto dall'art. 135 c.p. attraverso l'introduzione del sistema delle “quote” (con determinazione di un ammontare massimo e minimo per ciascun giorno di pena detentiva), maggiormente aderente alle condizioni economiche del reo, allo scopo di scongiurare che la pena pecuniaria divenga un privilegio per i più abbienti, in palese violazione del principio di uguaglianza.

Una riforma organica della giustizia riparativa

Nel quadro di un complessivo riassetto del sistema sanzionatorio penale, il progetto di riforma affronta altresì la questione della giustizia riparativa, anche allo scopo di implementare la Direttiva 2012/29/UE. È l'art. 2 di tale Direttiva che definisce la giustizia riparativa come «qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale».

A questo proposito il legislatore rivolge al Governo principi e criteri direttivi per l'esercizio di una delega che conferisca un maggior grado di sistematicità alle esperienze di giustizia riparativa già presenti nell'ordinamento.

In particolare, si propone l'introduzione nell'ordinamento della possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale e durante l'esecuzione della pena, senza preclusioni relative alla fattispecie di reato o alla sua gravità. In secondo luogo, si fa leva sulla necessità di disciplinare la formazione di mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa e di garantire un'erogazione dei servizi da parte di strutture pubbliche da istituire presso ogni distretto di corte d'appello. È bene sottolineare, peraltro, che, in luogo della consueta clausola di invarianza finanziaria, si propone un apposito stanziamento economico per la realizzazione dei programmi di giustizia riparativa.

Un intervento del legislatore in tal senso rivestirebbe un'importanza notevole, anzitutto per l'introduzione di una disciplina di carattere generale che farebbe da cornice agli istituti di giustizia riparativa attualmente disseminati nel sistema – si pensi, a titolo esemplificativo, alla sospensione del procedimento con messa alla prova. Sul piano ideologico, per di più, si aprirebbe il varco al superamento del monopolio della dimensione esclusivamente punitiva dell'esecuzione penale.

In conclusione

La creazione di una cultura condivisa in relazione alle tematiche attinenti all'esecuzione penale è questione alquanto delicata e tendenzialmente sovrapponibile ai mutamenti strutturali ascendenti e discendenti di un paese. Perché il dibattito sul sistema sanzionatorio penale sia fruttuoso, esso deve inevitabilmente intervenire sul senso comune, sull'orientamento culturale della società, mettendo in campo una nuova rappresentazione dell'intera dimensione del punire. Qualora non si agisse in questa direzione, qualsiasi sforzo volto a dare concretezza all'ideale rieducativo consacrato in Costituzione si rivelerebbe, in fin dei conti, vano.

Nell'attuale clima di temperie populistiche, dove il carcere assurge a simulacro della sicurezza, si staglia con imponenza il baluardo costituzionale a tutela del garantismo in materia penale: un'isola della ragione, che resiste ai ricorrenti attacchi provenienti dai portatori di istanze giustizialiste e securitarie sull'onda emergenziale del pericolo; un anticorpo imprescindibile contro le derive patologiche della paura e contro un uso del diritto penale come strumento di lotta contro il nemico.

La rotta segnata dalla ministra Cartabia va esattamente nella direzione di un rinnovato garantismo. Se si vuole tuttavia evitare che tale riforma abbia un epilogo analogo a quello degli “Stati Generali sull'esecuzione penale”, occorre riflettere sul fatto che la presenza di persone e luoghi disponibili ad accogliere una riforma è la condicio sine qua non per una sua compiuta realizzazione; se non si vuole che essa rimanga meramente sulla carta, è sul versante della cultura sociale della pena che si deve intervenire, debellando il pregiudizio fondato sulla convinzione della sussistenza di un rapporto di proporzionalità diretta tra carcere e sicurezza.

Guida all'approfondimento

F. Palazzo, I profili di diritto sostanziale della riforma penale, in Sistema penale, 8 settembre 2021;

E. Dolcini, Sanzioni sostitutive: la svolta impressa dalla riforma Cartabia, in Sistema penale, 2 settembre 2021;

G. De Francesco, Brevi appunti sul disegno di riforma della giustizia, in La Legislazione Penale, 23 agosto 2021;

V. Bonini, Le linee programmatiche in tema di giustizia riparativa: il quadro e la cornice, in La Legislazione Penale, 15 giugno 2021;

E. Novi, Cartabia, una “rivoluzione costituzionale”, Il Dubbio, 16 marzo 2021.

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