Il valore sostanziale e probatorio della copia informatica per immagine

Giuseppe Vitrani
20 Settembre 2021

Il tema dell'efficacia probatoria della copia informatica per immagine è centrale nel panorama giuridico attuale, posto che molti sono i documenti che circolano in questa forma e vengono scambiati via PEC o via mail.È pertanto importante approfondire il valore sostanziale e probatorio di tali documenti informatici, stante che non sempre le risposte fornite dalla giurisprudenza che si è occupata del problema sono state in linea con le reali intenzioni del legislatore.
Il quadro normativo

Il quadro normativo che fa da sfondo alla presente analisi è costituito dal Codice dell'Amministrazione Digitale e dalle regole tecniche / Linee Guida attuative dello stesso. Non sempre infatti tali regole appaiono comprese appieno e rispettate in ambito processuale.

È bene innanzitutto ricordare che ai sensi dell'art. 22 del suddetto Codice, “la copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico è prodotta mediante processi e strumenti che assicurano che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto, previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell'originale e della copia” (comma 1 bis).

La norma in analisi prosegue disponendo che “le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato secondo le Linee guida” (comma 2) e che “le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all'originale non è espressamente disconosciuta” (comma 3).

È peraltro curioso notare, a livello di tecnica legislativa, come la norma di cui al comma 1 bis sia poi stata riprodotta quasi pedissequamente all'interno dell'art. 4 del dpcm 13 novembre 2014 e del punto 2.2 delle linee guida AgID sulla formazione, gestione e conservazione del documento informatico.

Ciò precisato, si possono trarre alcuni principi dalle norme in commento e cioè:

  • che la scansione di un documento analogico è certamente metodo idoneo a generare una copia per immagine rispettosa del disposto dell'art. 22 CAD, essendo possibile effettuare il raffronto tra questa e l'originale;
  • che l'attestazione di conformità tra originale e copia (per immagine) effettuata da notaio o pubblico ufficiale autorizzato è solo una delle opzioni per conferire piena dignità probatoria al documento, essendo altresì possibile ipotizzare la mera scansione dello stesso non seguita dal disconoscimento di chi possa averne interesse.

Appare altresì pacifico che il documento analogico reso digitale nelle forme in esame è a tutti gli effetti un documento informatico, costituendo documento elettronico che contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. E a tal proposito non va neppure dimenticato che l'acquisizione della copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico (la scansione, appunto) è una della modalità previste nelle regole tecniche e nelle linee guida per la valida formazione di un documento informatico.

La firma elettronica

Dato il contesto normativo che precede, una domanda interessante da porsi è come impatti un'eventuale firma elettronica (digitale o avanzata) sul valore probatorio di un documento analogico scansionato, ovvero se essa sia assolutamente necessaria per garantire la conformità tra originale e copia.

Occorre in primis far riferimento alle linee guida AgID che, al paragrafo 2.2, prevedono quanto segue: “Fermo restando quanto previsto dall'art. 22 comma 3 del CAD nel caso in cui non vi è l'attestazione di un pubblico ufficiale, la conformità della copia per immagine ad un documento analogico è garantita mediante l'apposizione della firma digitale o firma elettronica qualificata o firma elettronica avanzata o altro tipo di firma ai sensi dell'art. 20 comma 1bis, ovvero del sigillo elettronico qualificato o avanzato da parte di chi effettua il raffronto”.

In sostanza la norma delinea tre casi in cui la copia per immagine può essere validamente utilizzata:

  • la mera scansione del documento (si veda il riferimento all'art. 22, comma 3, CAD);
  • la scansione attestata conforme da pubblico ufficiale (evidentemente nel rispetto della normativa e dei poteri attribuiti a quel determinato soggetto, notaio, avvocato o pubblico funzionario), che fa piena prova fino a querela di falso;
  • la scansione firmata elettronicamente dal soggetto (non necessariamente pubblico ufficiale) che procede al raffronto tra documento analogico e documento informatico.

Quest'ultimo caso è particolarmente degno di attenzione perché introduce un elemento di novità, ovverosia la “garanzia della conformità”, che appare difficilmente sussumibile in precise categorie giuridiche. Va innanzitutto detto che tale opzione non era presente nel dpcm 13 novembre '14, ove si prevedeva la mera facoltà di apporre la (sola) firma digitale da parte del soggetto che aveva effettuato la copia ma non veniva chiarito il valore giuridico di siffatta firma; ora invece si fa riferimento ad una garanzia di conformità dai contorni giuridici abbastanza oscuri, dato che non può trattarsi di un'attestazione di conformità, essendo proprio scritto nelle premesse della disposizione che si fa riferimento al caso in cui essa manchi.

Ciò detto, però, non è chiaro quale possa essere il valore giuridico di tale “garanzia”: certamente non potrà essere un sinonimo dell'attestazione di conformità e del valore fidefacente che l'accompagna; più verosimilmente non si uscirà comunque dall'alveo dell'applicabilità dell'art. 2712 c.c. e della conseguente efficacia probatoria sino a disconoscimento.

Al di là del nomen iuris utilizzato in sede di redazione delle linee guida, pertanto, si può affermare che nel caso di specie la firma digitale è un elemento accidentale che nulla aggiunge al valore probatorio della copia per immagine; essa continuerà pertanto a far piena prova sino all'eventuale disconoscimento da parte di chi ne abbia interesse.

La giurisprudenza

Il tema in analisi è stato oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali, che non sempre hanno saputo dare risposte soddisfacenti; anzi, alcune volte si è incorsi in evidenti errori, che rischiano di costituire pericolosi precedenti.

È il caso ad esempio della sentenza resa dal tribunale di Palermo il 28 ottobre '20 con la quale si è addirittura negata dignità probatoria e sostanziale ad un documento (impugnativa di licenziamento) che era frutto di scansione ma non era munito di firma digitale del lavoratore o del suo difensore, non era munito di attestazione di conformità e (a dire del giudicante) non era stato formato secondo quanto prevedono le regole tecniche sul documento informatico.

Alla luce della normativa sopra esaminata è facile comprendere come gli assunti del giudice siciliano siano errati, stante che:

  • la scansione di un documento analogico è una delle modalità espressamente prevista da regole tecniche e linee guida per la generazione di un documento informatico;
  • la mancata firma digitale o attestazione di conformità (che nel caso di specie non avrebbe potuto effettuare neppure il difensore, essendo sfornito di poteri) non inficia il valore probatorio della comunicazione, che avrebbe dovuto essere considerata pienamente efficace sino ad avvenuto disconoscimento (mai avvenuto nel caso di specie).

Non molto più rassicurante è la sentenza n. 722 del 2021 del Tribunale di Monza con la quale si è ribadito un principio certamente coretto e cioè che “la trasmissione a mezzo posta elettronica certificata – da parte del difensore del lavoratore – di una copia informatica per immagine dell'atto analogico di contestazione, se ricevuta dal datore di lavoro entro il termine di legge, costituisce atto scritto idoneo, ai sensi del primo comma dell'art. 6 l. 15 luglio 1966, n. 604, a rendere nota la volontà di impugnare il licenziamento” ma lo si è fatto ignorando principi fondamentali del CAD.

Il giudice brianzolo ha infatti ritenuto inconferenti le disposizioni del codice dell'amministrazione digitale dettate in materia di firme elettroniche e documenti informatici e si è limitato a richiamare l'art. 6 della l. 15 luglio 1966, n. 604, ai sensi del quale l'onere di impugnare il licenziamento entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione, è soddisfatto laddove il lavoratore manifesti detta volontà per iscritto senza esigere formule sacramentali.

Si è così persa una buona occasione per affermare invece che quella copia per immagine era stata formata nel rispetto, innanzitutto, dell'art. 22, comma 3, del CAD e non era stata disconosciuta.

Sul punto desta peraltro qualche perplessità l'affermazione del Tribunale secondo cui sarebbe decisivo il fatto che “mai il lavoratore, unico soggetto che poteva avervi interesse siccome autore di quella dichiarazione, ha effettuato il disconoscimento della propria sottoscrizione o della paternità dell'atto”: invero, l'accertamento della falsità di una scrittura può essere chiesto anche da soggetti diversi dal sedicente firmatario, quando l'apocrifia della medesima determini conseguenze sfavorevoli in capo a chi se ne professa autore; ed allo stesso modo ha titolo a disconoscere la conformità della copia all'originale colui/colei che dall'eventuale difformità ritragga un vantaggio probatorio (come ad esempio l'inutilizzabilità del documento a fini processuali); del resto, l'art. 22, comma 3, del CAD non circoscrive in alcun modo la platea dei soggetti legittimati al disconoscimento della copia informatica e l'art. 2712 c.c. abilita ad esso colui/colei contro cui è prodotta la riproduzione informatica di fatti e cose (così A. Ricuperati, L'invio via PEC della scansione della lettera di contestazione del licenziamento basta ad impedire la decadenza dell'impugnazione?, commento alla sentenza pubblicato sul portale ilprocessotelematico.it).

Conclusione

L'approccio normativo al valore probatorio della copia per immagine appare ispirato a principi di buon senso, tesi a non appesantire l'utilizzo del documento informatico con formalismi che molti soggetti non sarebbero neppure in grado di soddisfare (perché non dotati di firma digitale o perché non muniti di poteri pubblici per attestare la conformità del documento informatico a quello analogico).

L'approccio del legislatore appare corretto, anche perché si tratta quasi sempre di documenti che vengono digitalizzati per accelerare lo scambio di corrispondenza utilizzando la posta elettronica al posto di quella ordinaria ma che sono formati da soggetti non in grado di generare un atto nativo digitale.

Di contro, la giurisprudenza spesso non appare in grado di cogliere i principi ispiratori del codice dell'amministrazione digitale e offre risposte non soddisfacenti, dimostrando di non essere in grado di cogliere la reale portata delle disposizioni normative che regolamentano la circolazione dei documenti digitali nel nostro paese.

Guida all'approfondimento
  • A. Ricuperati, L'invio via PEC della scansione della lettera di contestazione del licenziamento basta ad impedire la decadenza dell'impugnazione?, commento a sentenza pubblicato sul portale ilprocessotelematico.it
  • A. Ricuperati, Decade dall'impugnazione del licenziamento il lavoratore che trasmetta via PEC una copia informatica senza firma digitale della lettera di contestazione?, commento a sentenza pubblicato sul portale ilprocessotelematico.it

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