Attribuzione patrimoniale in favore dell'ex convivente e non ripetibilità delle somme versate
22 Settembre 2021
Massima
Un'attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurare l'adempimento di un'obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens. Il caso
Nel giudizio di primo grado Tizio citava Caia, ex compagna convivente, al fine di richiedere la condanna della stessa al pagamento di € 92.042,01: importo corrispondente all'esborso sostenuto da Tizio per opere e lavori di ristrutturazione eseguiti nell'immobile di proprietà di Caia. Il Tribunale di Udine accoglieva la domanda di Tizio, condannando la resistente al pagamento di € 82.583,83, in considerazione delle ulteriori spese per il mènage familiare a carico del ricorrente, dell'esclusivo vantaggio per Caia e della obiettiva consistenza della somma impiegata rispetto al reddito e al patrimonio di Tizio. Caia impugnava la sentenza, lamentando il vizio di extrapetizione: solo sanandone l'erronea qualificazione – e ritenendo sussistenti i presupposti di cui all'art. 2041 c.c., invece che dell'art. 2034 c.c. – era stata accolta, infatti, la domanda del ricorrente, tardivamente proposta. La Corte d'Appello di Trieste accoglieva il gravame, qualificando le prestazioni di Tizio come obbligazioni naturali e osservando come lo stesso avesse acconsentito al verificarsi dello squilibrio patrimoniale, partecipando, anche economicamente, ai lavori di ristrutturazione con scelte proprie, in autonomia, e talvolta in disaccordo con Caia. Tizio ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi, mentre nessuna attività difensiva è stata svolta da Caia. La questione
Qual è la natura delle attribuzioni patrimoniali a favore del partner convivente? Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che nulla dovesse essere liquidato per le spese, non avendo Caia svolto attività difensiva. Con il primo motivo il ricorrente lamentava la violazione o falsa applicazione dell'art. 2041 c.c., riguardante l'azione generale di arricchimento. Tizio, oltre alla mancata considerazione della breve durata della relazione (quattro anni), sosteneva che la tesi dei giudici di secondo grado fosse in contrasto con la giurisprudenza di legittimità. In particolare, evidenziava l'inconciliabilità tra la convivenza more uxorio e l'azione di arricchimento senza causa nei casi di prestazioni rese da una parte a favore dell'altra per costruire, o ristrutturare, l'abitazione comune. Il Supremo Collegio ha giudicato infondato il motivo poiché la sentenza impugnata è stata ritenuta coerente con la giurisprudenza, secondo la quale «un'attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio configura l'adempimento di un'obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens» (Cass. civ., n. 3713/2003; Cass. civ.,n.23177/2014; Cass. civ., n. 11303/2020). La Corte ha valutato come corretto l'operato dei giudici di merito, che hanno ricondotto all'adempimento di un dovere morale le prestazioni di Tizio e, come tali, irripetibili secondo le previsioni di cui all'art. 2034 c.c. Con il secondo motivo Tizio denunciava, altresì, la violazione o falsa applicazione della norma da ultimo citata, oltre all'omesso esame di un fatto decisivo. Il ricorrente asseriva che le prestazioni oggetto della controversia non avevano avvantaggiato la prole, ma solamente Caia: proprietaria di un bene il cui valore era stato incrementato. Non era colta così la ratio decidendi della sentenza impugnata, che, invece – stante il progetto di vita comune dei conviventi e la nascita della figlia – riconduceva le prestazioni rese ai doveri di carattere morale e civile di solidarietà e reciproca assistenza all'ambito delle obbligazioni naturali. Con questo motivo Tizio mirava ad ottenere – a giudizio del Supremo Collegio – una rivalutazione degli accertamenti fattuali: richiesta non meritevole di accoglimento perché estranea al perimetro di legittimità e che avrebbe comportato la trasformazione del processo di cassazione in un terzo giudizio di merito nel quale ridiscutere quanto non gradito. La doglianza non è deducibile in sede di legittimità: ne è derivata, pertanto, l'inammissibilità. Osservazioni
L'ordinanza in esame permette diverse considerazioni. Occorre, innanzitutto, soffermarsi sul cosiddetto principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), tale per cui il giudice deve decidere su tutta la domanda e non può pronunciarsi oltre i limiti della stessa. Non può essere ampliato, o modificato, l'oggetto della domanda, altrimenti ricorrerebbe il vizio di extrapetizione (o ultrapetizione), che configura motivo di impugnazione: come avvenuto nel caso in questione. Il vizio di extrapetizione, lamentato da Caia, “ricorre qualora il giudice attribuisca alla parte un bene nemmeno implicitamente compreso nella domanda”, ma non quando la decisione è contenuta “nei limiti della pretesa pur fondandola su argomentazioni non prospettate dalla parte” (v. Cass. civ., n. 2297/2011; Cass. civ., n. 2475/2017). Ciò premesso, pare opportuno estendere le riflessioni al tema delle convivenze, precisandone le differenze. Prima del 2016, era disciplinata esclusivamente l'unione che si fondava sul matrimonio: è con la Legge Cirinnà – l. n. 76/2016 – che sono state regolamentate le convivenze di fatto ed istituite le unioni civili per le coppie omosessuali. Essa prevede che vi siano due persone maggiorenni “unite stabilmente da legami affettivi di coppia” e “reciproca assistenza morale e materiale”, non vincolate da rapporti di parentela, matrimonio o unione civile, per cui non vi è alcun obbligo di registrazione all'anagrafe. La famiglia di fatto è considerata così una formazione sociale rilevante, valorizzata dall'art. 2 della Costituzione, e tale unione fa sorgere tra i conviventi doveri di natura morale e materiale. È con la legge Cirinnà, peraltro, che è stata introdotta la figura negoziale vera e propria del contratto di convivenza: uno schema atipico al quale ricorrere per regolare i rapporti patrimoniali fra conviventi. Nella vicenda in oggetto, invece, Tizio e Caia non avevano formalizzato la loro posizione, rientrando, quindi, nell'ambito delle convivenze more uxorio e, come tali, non disciplinate da nessuna legge, ma tutelate dagli strumenti elaborati dalla giurisprudenza costante consolidatasi nel corso degli anni. Stando alla dottrina, comunque, prima che la legge n. 76/2016 disciplinasse l'argomento, era già possibile stipulare “contratti di convivenza” regolati dalla disciplina codicistica dell'obbligazione naturale (v. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991; Balestra, Le obbligazioni naturali, in Tr. CM). Ad ogni modo è bene ricordare che l'art. 2041 c.c. costituisce una norma di chiusura della disciplina delle obbligazioni, diretta a conferire uno strumento di tutela ogniqualvolta si verifichi uno spostamento patrimoniale tra due soggetti, per cui uno subisca un danno e l'altro si arricchisca senza giusta causa (v. Perlingieri, Manuale di diritto civile, Napoli, 1997; v. Caiaffa, Rivista del Consiglio, Ed. Grifo, n. 1, 2004). Più precisamente, l'azione generale di arricchimento ha come presupposto «la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa»: non è, dunque, possibile «invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale» (v. Cass. civ., n.11330/2009; Cass. civ., n. 11303/2020). Al contrario, se vi sono prestazioni a vantaggio dell'altro convivente «esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza» può configurarsi l'ingiustizia dell'arricchimento (v. Cass. civ., n. 14732/2018) con conseguente esperibilità dell'azione ex art. 2041 c.c. successivamente al venir meno della convivenza (v. Cass. civ., n. 11330/2009). Come osservato, infine, le prestazioni rese da Tizio sono state ricondotte all'adempimento di un dovere morale: il richiamo alla categoria delle obbligazioni naturali di cui all'art. 2034 c.c., però, non è scevro dal necessario riferimento a criteri di proporzionalità, analoghi a quelli valevoli per i coniugi ai sensi dell'art. 143 c.c. (v. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Levrotto & Bella, Torino).
|