Il “conflitto di interesse” nel Codice dei contratti pubblici: alcuni chiarimenti sulla portata e sull'ambito di applicazione

23 Settembre 2021

La portata della definizione di “conflitto di interesse” ex art. 42 del d.lgs. n. 50/2016 consente di ricomprendere nel suo ambito di applicazione tutti coloro che, anche senza averne titolo, e con qualsiasi modalità, e non necessariamente per conto della stazione appaltante, senza intervenire nella procedura, ma, anche dall'esterno, siano in grado di influenzarne il risultato.

Il caso. In sintesi, la vicenda trae origine dall'impugnazione, da parte di un operatore del settore, del provvedimento di esclusione da una procedura negoziata relativa a “lavori per l'esecuzione delle opere di prevenzione ambientale sul sito discarica”.

Detta esclusione veniva disposta dalla S.A. in virtù della sussistenza di un conflitto di interessi tra la società incaricata della progettazione e direzione lavori dell'appalto e l'impresa ricorrente, risultata prima in graduatoria.

La ricorrente, dunque, lamentava l'illegittimità del provvedimento de qua laddove l'asserito conflitto di interessi, ex aliis, non risulterebbe comunque integrato nella fattispecie specifica.

Breve inquadramento normativo. Come noto, l'art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 prevede che si ha conflitto di interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della Stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzare, in qualsiasi modo, il risultato, ha direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione.

In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l'obbligo di astensione previste dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, 62.

Sul conflitto di interesse, peraltro, l'art. 24 della direttiva 2014/24/UE (cui il predetto art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 dà attuazione), non sembra dettare una disciplina univoca, ma indica solamente una soglia minima di contenuto e tutela: “Gli Stati membri provvedono affinché le amministrazioni aggiudicatrici adottino misure adeguate per prevenire, individuare e porre rimedio in modo efficace a conflitti di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici. Il concetto di conflitti di interesse copre almeno i casi in cui il personale di un'amministrazione aggiudicatrice o di un prestatore di servizi che per conto dell'amministrazione aggiudicatrice interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti o può influenzare il risultato di tale procedura o ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto”.

La fattispecie descritta dall'art. 42 cit. ha, dunque, portata generale (come emerge anche dall'uso della locuzione “in particolare”, riferita alla casistica di cui al richiamato art. 7 d.P.R. n. 62/2013, avente dunque mero carattere esemplificativo) e si riferisce, in termini per l'appunto generali e astratti, a quelle situazioni in grado di compromettere, anche solo potenzialmente, l'imparzialità richiesta nell'esercizio del potere decisionale. Situazioni che si verificano quando il “dipendente” pubblico (ad esempio, il RUP e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali ed il provvedimento finale, esecuzione contratto e collaudi) ovvero colui (anche un soggetto privato) che sia chiamato a svolgere una funzione strumentale alla conduzione della gara d'appalto, è portatore di interessi della propria o dell'altrui sfera privata, che potrebbero influenzare negativamente l'esercizio imparziale ed obiettivo delle sue funzioni.

Su tale assunto, viste le finalità generali di presidio della trasparenza e dell'imparzialità dell'azione amministrativa, la giurisprudenza, sul punto, ha già avuto modo di evidenziare che il disposto normativo in esame vada applicato non solo ai dipendenti in senso stretto (ossia, i lavoratori subordinati) dei soggetti giuridici ivi richiamati, “ma anche a quanti, in base ad un valido titolo giuridico (legislativo o contrattuale), siano in grado di validamente impegnare, nei confronti dei terzi, i propri danti causa o comunque rivestano, di fatto o di diritto, un ruolo tale da poterne obiettivamente influenzare l'attività esterna”.

Diversamente, si entrerebbe nella contraddizione di escludere dalla portata della norma – dalla manifesta funzione preventiva – “proprio quei soggetti che più di altri sono in grado di condizionare l'operato dei vari operatori del settore (pubblici e privati) e dunque si darebbe vita a situazioni di conflitto che la norma vuol prevenire, ossia i componenti degli organi di amministrazione e controllo” (Cons. Stato, 3415/2017).

Tali rilievi si inseriscono e trovano conferma anche in quel costante orientamento giurisprudenziale per cui le situazioni di conflitto di interessi, nell'ambito dell'ordinamento pubblicistico, non sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite (ex multis, Cons. Stato, n. 5444/2006).

Di conseguenza, al di là delle singole disposizioni normative, ogni situazione che determini un contrasto, anche solo potenziale, tra il soggetto e le funzioni attribuitegli, deve comunque ritenersi rilevante a tal fine; in buona sostanza “ogni Pubblica Amministrazione deve conformare la propria immagine, prima ancora che la propria azione, al principio generale di imparzialità e di trasparenza ex art. 97 Cost., tanto che le regole sull'incompatibilità, oltre ad assicurare l'imparzialità dell'azione amministrativa, sono rivolte ad assicurare il prestigio della Pubblica Amministrazione ponendola al di sopra di ogni sospetto, indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia in concreto creato o non un risultato illegittimo” (Cons. Stato, n. 563/2004).

Le conclusioni del TAR. Ciò brevemente premesso, nel respingere le doglianze della ricorrente, il TAR ha preliminarmente rilevato come l'ampia portata dell'art. 42 del Codice dei contratti pubblici “consente di ricomprendere nel suo ambito di applicazione tutti coloro che, anche senza averne titolo, e con qualsiasi modalità, e non necessariamente per conto della stazione appaltante, senza intervenire nella procedura, ma, anche dall'esterno, siano in grado di influenzarne il risultato”, tenendo, peraltro, conto che per l'insorgenza del conflitto, non è necessario che si concretizzi uno situazione di vantaggio, essendo, invece, sufficiente “il solo pericolo di pregiudizio che la situazione conflittuale possa determinare: si tratta, dunque, di una norma di pericolo”.

Né può soccorrere, con riferimento al caso di specie, la particolare previsione dell'art. 24, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016, il quale ammette la possibilità di dimostrare l'assenza di una situazione di vantaggio derivante dal conflitto di interessi, ma solo con riferimento al caso in cui si tratti di progettisti che, dopo aver collaborato all'attività di progettazione, partecipino essi stessi.