Le ispezioni della Guardia di finanza e l'apertura di plichi sigillati. Il consenso sanante del contribuente

27 Settembre 2021

L'Amministrazione finanziaria, come noto, è titolare di poteri strumentali all'esercizio dell'attività di controllo che trovano fondamento nell'art. 32, d.P.R. n. 600/73, rubricato “Poteri degli uffici”. Quest'ultimo testualmente prescrive che “per l'adempimento dei loro compiti gli uffici delle imposte possono procedere all'esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche; invitare i contribuenti, indicandone il motivo a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti…”.
La fase istruttoria del procedimento di accertamento

L'Amministrazione finanziaria, come noto, è titolare di poteri strumentali all'esercizio dell'attività di controllo che trovano fondamento nell'art. 32, d.P.R. n. 600/73, rubricato “Poteri degli uffici”. Quest'ultimo testualmente prescrive che “per l'adempimento dei loro compiti gli uffici delle imposte possono

  1. procedere all'esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche;
  2. invitare i contribuenti, indicandone il motivo a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti…”.

Il punto n. 1 disciplina i cd. poteri istruttori, che si concretizzano in accessi, ispezioni e verifiche fiscali e consistono nell'ingresso dell'Ufficio presso i locali in cui il contribuente esercita la propria attività. Sogliono definirsi, più precisamente, “indagini amministrative”, da considerarsi, pertanto, distintamente dalle indagini che la Guardia di Finanza conduce in veste di Polizia giudiziaria e dirette all'accertamento delle fattispecie incriminatrici.

L'ingresso dei funzionari è subordinato alla sussistenza di una autorizzazione da parte del Direttore dell'Agenzia delle Entrate (da esibire al momento dell'accesso) e contenente l'indicazione delle ragioni dell'indagine.

L'autorizzazione deve essere adeguatamente motivata al fine di tutelare la persona che subisce l'ispezione, la quale deve essere posta nella condizione di conoscere le ragioni che hanno condotto ad una limitazione dei propri diritti. L'autorizzazione deve essere scritta e non è, pertanto, ammissibile una autorizzazione meramente telefonica. La suddetta autorizzazione andrà a costituire la motivazione cd. rafforzata del provvedimento di accertamento.

Le verifiche fiscali rappresentano un'attività particolarmente invasiva della sfera giuridico-patrimoniale del contribuente, sicché lo Statuto dei diritti del contribuente (l. n. 212/2000) ha previsto un limite temporale oltre il quale l'Ufficio non può permanere presso i locali del contribuente, che si traduce in un massimo di trenta giorni, prorogabili solo una volta e per ragioni di urgenza (A. Viotto, La permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente, in Riv. dir. trib., 2013, 0203, fasc. 02). In particolare, l'art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente rubricato “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali” dispone che “tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo”. Il legislatore ha, dunque, delimitato l'ambito di operatività delle suddette indagini alle ipotesi in cui risultino effettivamente necessarie e laddove le informazioni non possano essere altrimenti reperite. La ratio sottesa alla perimetrazione dell'ambito di applicazione delle indagini fiscali è da ravvisarsi nella esigenza di tutelare il contribuente, già parte debole del rapporto obbligatorio, che risulterebbe ulteriormente vessato dall'ingresso degli Organi di controllo nei locali di svolgimento dell'attività. Al fine di evitare un utilizzo indiscriminato di tale modalità di accertamento cd. in senso stretto, si è fatto appello al principio di tassatività e determinatezza indicando specificamente i presupposti per l'esercizio dei poteri.

Le ispezioni: il consenso sanante del contribuente

La seconda fase delle verifiche fiscali consiste nell'ispezione ed ha come oggetto i libri, i documenti, i plichi sigillati del contribuente. Ancora una volta viene in rilievo l'esigenza di un bilanciamento tra contrapposti interessi: l'interesse fiscale e quello relativo alla segretezza della corrispondenza. Al fine di individuare il preciso punto di confine tra i due interessi, il legislatore ha reso obbligatoria l'autorizzazione, in questo caso da parte del Procuratore della Repubblica.

Si tratta, tuttavia, di un atto discrezionale con cui l'organo giudiziario valuta l'indispensabilità delle indagini e la sussistenza dei presupposti ex lege. A tal proposito, l'Organo di controllo deve sottoporre alla valutazione del Procuratore della Repubblica i gravi indizi di violazione delle norme che devono essere riscontrati.L'art. 52, comma 3, del d.P.R. n. 633/1972 stabilisce che: “E' in ogni caso necessaria l'autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l'accesso a perquisizioni personali e all'apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l'esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all'art. 103 c.p.p.”. Al punto che “è nullo l'accertamento basato sui dati acquisiti dalla Guardia di Finanza che ha aperto una borsa chiusa in casa del contribuente” (in questi termini Cass. Civ. Sez. Trib. 10275/ 2019). Con riguardo all'esame di “pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili”, con la sentenza n. 3204 del 18 febbraio 2015 la Corte di Cassazione ha stabilito che l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica va richiesta soltanto qualora si renda necessaria un'apertura “coattiva”, mentre nell'ipotesi in cui la ricerca estesa su borse, mobili o altro venga svolta con la collaborazione del contribuente, oppure nell'ipotesi in cui i cassetti e gli armadi non risultino chiusi a chiave, l'autorizzazione dell'Autorità Giudiziaria non è necessaria.

Analoga autorizzazione è richiesta in caso di accesso al “domicilio informatico” del contribuente contenente tutte le informazioni “digitali” dell'azienda ed è necessario anche il requisito delle “gravi violazioni” ai fini della legittimità del provvedimento autorizzatorio (M. Miscali, Documentazione illecitamente acquisita e tutela giurisdizionale nel processo tributario, in Riv. dir. trib., fasc. 9, 2012, 759). Può, infatti, costituire un valido indizio anche la documentazione non ufficiale contenuta all'interno di un personal computer del contribuente, purché connotato dai requisiti di gravità, precisione e concordanza.

I funzionari, infatti, al momento dell'accesso attestano l'esistenza di portatili, chiavi Usb, memorie esterne per copiare il contenuto. Valgono, tuttavia, le regole previste per le aperture coattive, tra le quali, l'autorizzazione del PM con alcuni distinguo: qualora si tratti di sistemi non protetti l'attività dell'Amministrazione finanziaria non incontra alcun limite; se si tratta di sistemi che richiedono l'uso di una password occorre l'autorizzazione del Pubblico Ministero, perché assimilato ad una apertura coattiva, infine, in presenza del consenso del contribuente (che provvede al rilascio volontario della password) l'ispezione può essere condotta anche senza autorizzazione (G. Dell'Anna, L. Gucciardo, La Guardia di Finanza può ispezionare da remoto la documentazione conservata nel server di una società estera, in Fisco, 2021, 17, 1671, nota a Cass. pen. Sez. III, 16 ottobre 2020, n. 11207).

La giurisprudenza di legittimità ha precisato che l'autorizzazione è richiesta soltanto in caso di apertura coattiva e non anche quando l'attività di ricerca si svolga con il consenso del contribuente (Cass. civ. sez. trib. n. 737/2021; in dottrina si veda, A. Natalini, Pieghi sigillati e borse: solo in caso di apertura coattiva è necessaria l'autorizzazione del PM, in Iltributario.it, fasc., 15 gennaio 2019; M. Martella, Orientamenti giurisprudenziali in tema di acquisizione di prove nella fase istruttoria del procedimento di accertamento tributario, in Riv. Dir. Trib., fasc. 11, 2002, 1161).

Viene, dunque, in rilievo il cd. consenso sanante o collaborativo del contribuente che consente di superare anche eventuali vizi dell'attività istruttoria svolta dalla Guardia di Finanza (in tema di consenso vd. si, T. C. Manigrasso, La rilevanza del consenso dell'avente diritto nelle attività di indagine irritualmente esercitate, in Dir. e prat. Trib., 2019, 5, 2108). Ad oggi, non sussiste un orientamento uniforme sul punto, infatti, una certa giurisprudenza esclude l'efficacia sanante del consenso, facendo prevalere il vizio procedimentale (Cass. 1 ottobre 2004, n. 19689); altra, invece, condivisibile, attribuisce rilevanza alla volontà del contribuente (Cass. 23 aprile 2007, n. 9565). La manifestazione di volontà del contribuente esclude che possa parlarsi di “violazione della segretezza” che si configura solamente nell'ipotesi in cui gli Organi di controllo abbiano agito senza autorizzazione ed in modo “forzoso”.

Il consenso idoneo ad escludere l'illegittimità procedimentale è, tuttavia, solo quello che presenti determinati requisiti previsti dalla legge. Deve trattarsi, dunque, di un consenso personale, perché prestato direttamente dal soggetto abilitato a disporre della documentazione ispezionata, ed attuale, cioè riconducibile al momento in cui gli Organi di controllo abbiano fatto ingresso nei locali commerciali. Non può, ad esempio, assurgere a fattispecie sanante il consenso del contribuente conseguente a ripetuti richiami da parte della Guardia di Finanza sulle conseguenze sfavorevoli che possano derivare da un rifiuto di esibizione (Cassazione, sez. I civ., sentenza del 1aprile 1998, dep. il 27 luglio 1998, n. 7368).

Il consenso, infatti, deve essere libero da ogni condizionamento e prestato, se non spontaneamente, almeno volontariamente. Sul punto si richiama un interessante arresto giurisprudenziale con cui la suprema Corte ha asserito che “è legittima l'apertura di una borsa nella disponibilità del dipendente avvenuta volontariamente”. Nel caso di specie, inoltre, la borsa del dipendente conteneva documentazione e materiale inerente all'azienda e non oggetti personali (A. Borgoglio, Utilizzabile dal fisco la pen drive rinvenuta nella borsa aperta su richiesta, ma senza autorizzazione del P. M., in Fisco, 2021, 9, 870 nota a Cass. civ. Sez. V, 19 gennaio 2021, n. 737).

Qualora, nonostante la prescrizione di legge, i controllori procedano al recupero di informazioni e dati privi delle necessarie autorizzazioni, gli elementi raccolti saranno inutilizzabili. Pur non essendo prevista espressamente la sanzione della inutilizzabilità dei dati acquisiti irritualmente è possibile desumere la medesima dalla disciplina generale applicabile a qualsivoglia attività istruttoria. Ne deriva che i provvedimenti fondati su dati e notizie irritualmente acquisiti saranno affetti da invalidità (Cass. Civ. Sez. Trib. n. 15230/2001).

Senz'altro l'inutilizzabilità colpisce soltanto quegli elementi dell'atto impositivo che siano legati da “un nesso di insostituibile e necessaria conseguenzialità” (A. Borgoglio, Non serve l'autorizzazione del pm per ottenere il backup dei pc, in Fisco, 2019, 12, 1284 nota a Cass. civ. Sez. V, 06 marzo 2019, n. 6486). Sul punto, tuttavia, non può dirsi unanime l'orientamento. Una linea di tendenza ulteriore, seppur minoritaria, è quella che esclude l'inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite fondando l'assunto sulla circostanza secondo la quale gli atti illeciti con cui l'amministrazione finanziaria si è procurata le prove sono estranei al processo (Cass. nn. 8344/2001; 3852/2001; 14058/2006; 8940/2007).

Ancora oggi, tuttavia, manca un orientamento conforme e per tale ragione e, per la necessità di conseguire un orientamento nomofilattico la Suprema Corte, con ordinanza 22 aprile 2021, n. 10664 ha rimesso alle Sezioni Unite il compito di dirimere il contrasto. In particolare, nell'ordinanza in questione è stato richiesto di risolvere diversi punti: se, in caso di apertura di una valigetta reperita in sede di accesso, la mancanza di autorizzazione di cui all'art. 52 d.P.R. n. 633/72 possa essere superata dal consenso prestato dal titolare del diritto; se, in caso di risposta positiva, il consenso può dirsi libero ed informato anche se l'amministrazione finanziaria non ha informato il titolare del diritto della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinnanzi agli organi della giustizia tributaria e se l'eventuale vizio del consenso comporti l'inutilizzabilità della documentazione in mancanza della necessaria autorizzazione.

L'inutilizzabilità dei documenti non esibiti: le preclusioni amministrative e processuali

Se il contribuente rifiuta espressamente di esibire la documentazione contabile richiesta dagli Organi di controllo opererà la cd. sanzione delle preclusioni, ovvero il contribuente non potrà utilizzare i documenti in suo favore in sede amministrativa e contenziosa, a meno che non provi di essere stato nella impossibilità di produrli per cause a lui non imputabili. Tuttavia, i presupposti per l'operatività della sanzione sono particolarmente stringenti. Essa, infatti, in primis, trova applicazione solo nell'ipotesi in cui i verificatori abbiano formulato una esplicita richiesta di esibizione dei documenti contabili e abbiano dato contezza del rifiuto, della dichiarazione di non possedere i documenti richiesti, della sottrazione o dell'occultamento dei medesimi all'interno del processo verbale di constatazione, dal momento che la leale collaborazione è richiesta anche all'Ufficio che deve avvertire espressamente in ordine alle conseguenze (M. Conigliaro, Presupposti e modalità operative di ricerche e ispezioni documentali nei controlli fiscali, in Fisco, 2018, 34, 3203; E. Manoni, Accessi con autorizzazioni viziate e rifiuto di esibizione della documentazione richiesta, in Fisco, 2017, 23, 2207), deinde la sanzione delle preclusioni trova applicazione solo in caso di contabilità obbligatoria.

Tra le condotte punibili vi sono, dunque, la distruzione o l'occultamento. La prima fattispecie presuppone l'eliminazione fisica, totale o parziale, delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione. Per occultamento, invece, deve intendersi il nascondimento materiale, in tutto o in parte, delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione. In entrambi i casi i verificatori si trovano nella impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d'affari del contribuente (L. Bellanova, Il rifiuto di esibire le scritture contabili equivale al loro occultamento,in Ilpenalista.it). L'ordinamento giuridico “sanziona” il contribuente che non ha collaborato con l'Amministrazione finanziaria in aperta violazione dell'art. 10, l. n. 212/2000, che sancisce il principio di leale collaborazione e buona fede.

La prova, infatti, si forma nel corso del procedimento amministrativo tributario e richiede l'interazione sia dell'ufficio controllore, sia del contribuente verificato. Quanto asserito si pone in linea con una tassazione collaborativa cui mira l'intero impianto normativo tributario. Pertanto, il contribuente che non partecipi o, comunque, non favorisca l'ufficio nell'attività di controllo deve essere sanzionato, perché non collaborativo.

Desta particolare interesse, sul punto, l'ultimo arresto giurisprudenziale con cui la Suprema Corte (Cass. civ. Sez. VI-T, 14/04/2021, n. 9784) ha asserito che la sanzione delle preclusioni opera solo con riguardo agli accessi eseguiti dall'Ufficio (art. 32, d.P.R. n. 600/73), mentre se la richiesta è avvenuta nel corso delle investigazioni svolte dalla Guardia di Finanza tale preclusione non opera in quanto non richiamata dall'art. 33, d.P.R. n. 600/73. Tale assunto, non appare, tuttavia, condivisibile se si considera che la ratio sottesa alla sanzione è l'incentivo alla collaborazione del contribuente richiesta non soltanto quando l'attività di indagine è svolta dagli Uffici, ma anche nelle ipotesi di investigazioni svolte dalla Guardia di Finanza. Inoltre, l'art. 33, d.P.R. n. 600/73, rinvia a quanto contenuto all'interno dell'art. 32, d.P.R. n. 600/73, in particolare dispone che “la Guardia di finanza coopera con gli uffici delle imposte per l'acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai fini dell'accertamento dei redditi e per la repressione delle violazioni delle leggi sulle imposte dirette procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici secondo le norme e con le facoltà di cui all'art. 32” (per un commento alla pronuncia si rinvia a C. Ferrari, S. Schillaci, Esclusa la sanzione dell'inutilizzabilità pro contribuente della documentazione non esibita in sede di verifica alla GDF, in Cass. civ. Sez. VI - 5 Ord., 14/04/2021, n. 9784 nota a Cass. Civ. Sez. VI- 5ord. 14/04/2021, n. 9784).

Il processo verbale di constatazione a chiusura delle verifiche fiscali: la cd. impugnazione differita

L'attività di verifica si conclude con la redazione di un processo verbale di constatazione, un documento avente natura di atto pubblico, redatto dalla Guardia di Finanza ovvero dai funzionari dell'Amministrazione Finanziaria nel quale si attestano le attività svolte e le risultanze delle stesse. Il documento in oggetto non rientra fra quelli indicati all'art. 19, d.lgs. n. 546/92, in quanto atto endoprocedimentale, pertanto, non è direttamente impugnabile dal contribuente. Quest'ultimo, tuttavia, non è privato della tutela giurisdizionale, sicché, al fine di ottenere una compiuta difesa, potrà impugnare il pvc in via mediata e congiuntamente all'atto finale del procedimento amministrativo tributario.

Il processo verbale di constatazione riveste una triplice funzione: in primis, la consegna di copia del pvc costituisce il dies a quo per l'espletamento del contraddittorio endoprocedimentale, infatti, il contribuente ha sessanta giorni di tempo per presentare osservazioni, deduzioni e memorie. L'ufficio, infatti, non può emettere un avviso di accertamento prima che siano trascorsi sessanta giorni dalla consegna di copia del pvc al contribuente, tempo utile per consentire a quest'ultimo di esercitare in modo adeguato il proprio diritto di difesa. L'Ufficio, tuttavia, deve dare una puntuale e chiara attestazione dell'avvenuta consegna dando atto che la firma apposta dal contribuente vale anche come prova dell'avvenuta ricezione (M. Conigliaro, Rivoluzione digitale, connessi ma non del tutto tra notifiche via PEC e consegne cartacee, in Fisco, 2020, 21, 2044).

L'Amministrazione finanziaria può, in deroga a tale regola, emettere un avviso di accertamento prima del termine legale, ma solo qualora sussistano delle ragioni cd. di urgenza che non possono essere ricondotte in nessun caso a comportamenti imputabili all'ente impositore. Pertanto, la compressione del suddetto spatium deliberandi può aversi solo, qualora, prevalga l'interesse fiscale all'esercizio della potestà di accertamento (P. Turis, Accertamento anticipato e redazione di due processi verbali di constatazione, in Fisco, 2012, 45, parte prima, 7259, nota a Comm. Trib. Prov. Emilia Romagna, Reggio Emilia, Sez. VI, 8 novembre 2012). In seconda istanza riveste la natura di atto “presupposto” su cui si fonda il successivo atto cd. posto, conclusivo del procedimento amministrativo tributario. Quanto detto vuol significare che ogni eventuale vizio di cui sia gravato il pvc si riverbera automaticamente sull'atto successivo in base ad un principio di illegittimità procedimentale. Si pensi, ad esempio, ad un processo verbale di constatazione contenente le dichiarazioni rilasciate da soggetti terzi e raccolte dalla Guardia di Finanza senza la partecipazione del contribuente. Tale modalità di acquisizione è in palese violazione del principio di parità delle armi con conseguente illegittimità delle informazioni raccolte. In ultimo, il pvc configura l'elemento motivazionale del successivo avviso di accertamento (art. 7, l. 212/2000, cd. motivazione per relationem). Pertanto, l'Ufficio può allegare il pvc all'avviso di accertamento ovvero riprodurne il contenuto minimo per consentire al contribuente di avere contezza delle ragioni della pretesa fiscale

In conclusione

La fase istruttoria del procedimento amministrativo tributario è, fuor di dubbio, la più complessa, perché determina l'interazione tra due interessi contrapposti: l'uno fiscale, di cui è portatore l'ente impositore; l'altro, invece, che fa capo al contribuente, si traduce nell'interesse alla tutela delle posizioni soggettive che potrebbero essere pregiudicate da un esercizio dei poteri istruttori contra legem.

In particolare, quando l'istruttoria non avviene “a tavolino”, ma mediante l'ingresso dell'Ufficio nei locali in cui il contribuente svolge la propria attività è necessario individuare il punto di confine tra i due interessi.

Assume, in tal senso, rilevanza il requisito della “volontà” del contribuente, in taluni casi “sanante” del vizio procedimentale in cui sia incorso l'Ufficio. L'impianto statutario, infatti, promuove un accertamento dell'imposta “collaborativo” attribuendo, in tal modo, rilievo alla volontà che, se manifestata in modo espresso ed incondizionato, può assurgere a valore portante dell'intero procedimento. Così, l'apertura di una borsa avvenuta con la partecipazione del contribuente non costituisce violazione di un diritto costituzionale, ma un atto strumentale alla verifica eseguito con il consenso dell'interessato. Per effetto del consenso, purché preventivo ed informato, l'Amministrazione Finanziaria è legittimata ad immettersi nella realtà del contribuente, con il fine ultimo di rideterminare la pretesa fiscale in conformità alla capacità contributiva dell'interessato. Quanto suesposto si pone in linea con una amministrazione efficace ed efficiente che opera nell'ottica dell'economicità dell'azione amministrativa.

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