Minori nati a seguito del ricorso all'estero alla PMA eterologa: quali tutele?
24 Settembre 2021
Massima
Va confermata la decisione assunta in primo grado relativamente alla legittimità del riconoscimento, da parte della madre intenzionale, del figlio, nato nell'ambito di una relazione affettiva intercorsa tra due donne e concepito all'estero a seguito di PMA, dovendosi dare rilevanza, in applicazione del principio del best interest of the child, al preminente diritto del minore a veder riconosciuto il suo status filiationis, apparendo, peraltro, ininfluente la successiva rottura del rapporto sentimentale esistente tra le due donne. Il caso
Il Ministero dell'Interno e la Prefettura di Cagliari proponevano reclamo dinanzi la competente Corte di Appello al fine di pervenire alla riforma della pronuncia resa in primo grado, con la quale era stato ritenuto legittimo l'atto di nascita formato dall'Ufficiale di Stato Civile nella parte in cui attribuiva la genitorialità di un minore, nato a seguito del ricorso in Germania alla PMA, sia alla madre biologica che alla madre intenzionale. In particolare, i reclamanti ritenevano la decisione ingiusta poiché fondata su un iter logico – argomentativo del tutto errato laddove i giudici di merito, scostandosi immotivatamente dall'orientamento da ultimo assunto dalla Suprema Corte, sostenevano l'indipendenza delle due diverse questioni giuridiche in esame, ossia quella afferente all'illiceità della PMA e l'altra connessa all'acquisizione dello status filitionis, escludendo che l'una potesse inficiare l'altra. Si costituivano in giudizio, separatamente, le donne esercenti la responsabilità genitoriale sul minore, evidenziando, la prima, l'intervenuta rottura della relazione affettiva e la pendenza di un procedimento ex art 337-bis c.c.avente ad oggetto la regolamentazione della responsabilità genitoriale, e concludendo per l'accoglimento del proposto gravame, e la seconda, che – invece – confermava le deduzioni svolte in primo grado, insistendo per il rigetto del proposto reclamo. Rimaneva contumace il Comune di Cagliari, mentre si costituiva in giudizio il curatore del minore appositamente nominata, richiedendo, anch'essa, l'accoglimento del gravame. La Corte territoriale, alla luce di una lunga disamina della questione, rigettava il proposto reclamo, confermando la pronuncia resa in primo grado. La questione
La problematica posta all'attenzione della Corte attiene alla legittimità dello status filiationis acquisito a seguito del ricorso alla PMA, da parte della coppia omo-affettiva, in violazione alle limitazioni imposte dall'ordinamento interno e soprattutto all'individuazione degli strumenti di tutela da apprestare in favore del minore. Le soluzioni giuridiche
Con la pronuncia in esame, la Corte, sulla scorta di un approfondito esame del panorama giurisprudenziale formatosi sul punto, ha concluso per la conferma della decisione impugnata, ritenendo configurabile in capo ai giudici di merito, il potere di procedere all'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa vigente e, in particolare, degli art. 8 e 9 della legge 40/2004 al fine di assicurare piena tutela al minore nato a seguito di PMA. Si tratta di una possibilità che per i giudici territoriali non appare affatto preclusa pur a seguito delle pronunce n. 230/2020, e n. 32 e 33/2021 della Corte Costituzionale, posto che la prima e la terza attengono a profili differenti rispetto a quelli oggetto di causa, mentre la n. 32/2021, chiudendosi con un giudizio di inammissibilità, non osta a tale valutazione che, peraltro, appare pienamente rispondente al tenore delle argomentazioni ivi espresse, nella parte in cui si sollecita l'intervento del legislatore ad apprestare strumenti volti alla tutela del minore nato a seguito di PMA praticata da una coppia di sesso femminile. Per la Corte cagliaritana, infatti, il fulcro della questione sottoposta al suo esame è rappresentato dalla necessità di garantire il preminente interesse del nato a vedersi riconosciuto il suo status filiationis, ovvero il suo diritto all'identità personale, familiare e sociale, nonchè alla certezza delle relazioni con coloro che ne hanno voluto la nascita nell'ambito di un comune progetto di vita, alla cui tutela – in mancanza di uno specifico strumento normativo - non può che pervenirsi in virtù di una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di riferimento. Sulla scorta di tali considerazioni, i giudici territoriali hanno negato valenza ai motivi di gravame, e in particolare al dedotto carattere ostativo, rispetto al riconoscimento dello status filiationis, dell'illegittimo ricorso alla PMA, confermando la necessità di una valutazione separata dei due aspetti, come derivante sia dal tenore letterale dell'art. 8 del menzionato testo normativo, nella parte in cui non subordina il conseguimento di tale status al presupposto che il ricorso alla PMA sia avvento nel rispetto dei requisiti soggettivi e oggettivi di cui alla legge stessa, che dalle previsioni di cui al successivo art. 12 nella parte in cui stabilisce, per il caso di violazione dei requisiti soggettivi per l'accesso alla PMA, l'applicabilità di sole sanzioni amministrative a carico dei sanitari che vi abbiano proceduto. In via più generale, a dire della Corte, è lo stesso ordinamento interno che consente il riconoscimento, a condizione che lo stesso non sia in contrasto con l'ordine pubblico, violazione che non pare potersi dire integrata nel caso di specie, posto che la stessa Consulta con la sentenza 32/2021, ne ha escluso la configurabilità in quanto il mancato rispetto dei limiti di cui all'art. 5 della legge 40/2004 non può dirsi contrario a un principio avente valenza costituzionale, né l'inserimento del minore nell'ambito di una famiglia omoaffettiva può ritenersi, di per sé, pregiudizievole per l'interesse del minore. Peraltro, qualsivoglia diversa interpretazione delle norme in esame e soprattutto delle disposizioni di cui all'art. 8, finirebbe per far ricadere sul nato, e dunque su un soggetto privo di responsabilità, gli effetti di una scelta illegittima compiuta da altri, dando origine ad una situazione del tutto inaccettabile, in contrasto con l'art. 2 della Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo. Da ultimo, la Corte ha posto l'attenzione su due ulteriori aspetti, ovvero sulle ragioni per le quali ha ritenuto non condivisibile l'orientamento espresso dalla Suprema Corte con la pronuncia Cass. n. 8029/2020, ponendo l'accento sulla necessità di discostarsi dal modello di filiazione ivi rappresentato, fondato “sulla genitorialità riproduttiva per atto sessuale”, a fronte, invece, di differenti modelli previsti dall'ordinamento, tra cui quello introdotto della stessa legge n. 40/2004, che prescindono dal legame genetico con entrambi i componenti della coppia, ma che non possono che dare luogo ad un unico status di figlio, nonché sugli effetti della successiva rottura della relazione sentimentale tra le due donne, ritenendola irrilevante rispetto al progetto di genitorialità condivisa dalle stesse attuato. In virtù di tali considerazioni, la Corte territoriale ha confermato la decisione impugnata. Osservazioni
La pronuncia in esame offre rilevanti spunti di riflessione soprattutto in considerazione del tenore della recente pronuncia resa dalla Corte Costituzionale, n. 32/2021, nel cui solco si inseriscono le argomentazioni rese dalla Corte territoriale. Invero, dal tenore della citata pronuncia si ricava la necessità della predisposizione di strumenti di tutela volti a garantire la posizione dei minori, nati a seguito del ricorso alla tecnica della PMA in assenza dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dal testo normativo di riferimento, essendo indubbio che non possa farsi ricadere su soggetti incolpevoli, quale il nato, l'illiceità di una condotta ad altri riferibile. Si tratta di una necessità che la Corte territoriale, chiamata a fornire una risposta concreta all'esigenza di tutela del minore, ha risolto ammettendo la possibilità di una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni della legge 40/2004, da attuarsi sulla scorta del preminente interesse del minore a vedersi riconosciuto lo status filiationis, ovvero il suo diritto all'identità personale, familiare e sociale, nonchè alla certezza delle relazioni con coloro che ne hanno voluto la nascita nell'ambito di un comune progetto di vita. Tale problematica è stata affrontata anche della Corte Costituzionale che, nella pronuncia innanzi citata, nel riconoscere la preminenza dei diritti e degli interessi dei nati in Italia a seguito di PMA eterologa praticata all'estero, non ha potuto che evidenziare le lacune dell'ordinamento interno, sottolineando l'inidoneità dei mezzi attualmente esistenti, quali il ricorso all'adozione ex art. 44 della legge n. 184/1983, la cui applicabilità, presupponendo l'assenso della madre biologica, è sostanzialmente subordinato all'accordo di entrambi i genitori. Per tale ragione la Consulta ha sollecitato l'intervento del legislatore al fine di individuare «un ragionevole punto di equilibrio tra diversi beni costituzionalmente coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana»così da colmare «il denunciato vuoto di tutela, a fronte di incomprimibili diritti dei minori», attraverso la predisposizione di una disciplina organica della materia che «individui le modalità più congrue di riconoscimento di legami affettivi stabili del minore nato da PMA praticate da coppie dello stesso sesso, anche nei confronti della madre intenzionale». Non resta, dunque, che attendere l'intervento del legislatore che, ci si auspica, possa avvenire in tempi brevissimi data la rilevanza della questione in esame. |