Beni personali solo se ricorrono effettivamente le cause di esclusione dalla comunione legale
28 Settembre 2021
Massima
Nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all'atto dell'altro coniuge non acquirente, prevista dall'art. 179, comma 2, c.c., si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l'esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l'effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall'art. 179, comma 1, lett. c), d) ed f) c.c., con la conseguenza che l'eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi.Nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all'atto dell'altro coniuge non acquirente, prevista dall'art. 179, comma 2, c.c., si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l'esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l'effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall'art. 179, comma 1, lett. c), d) ed f) c.c., con la conseguenza che l'eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi. Il caso
Con atto di citazione ritualmente notificato Tizia evocava in giudizio il marito Caio, chiedendo accertarsi che l'immobile sito in (omissis), intestato al convenuto, ricadeva in effetti nella comunione legale ed apparteneva quindi ad essa attrice in ragione della metà indivisa. L'attrice esponeva di essere intervenuta nell'atto di acquisto, dichiarando che il bene era stato acquistato con il ricavato della vendita di altro bene personale del marito, ma che detta circostanza non corrispondeva al vero. Si costituiva in giudizio il convenuto, resistendo alla domanda, allegando che il bene era stato acquistato con denaro fornitogli dai propri genitori e depositando documentazione comprovante che questi ultimi avevano direttamente pagato alcune somme alla cooperativa dalla quale il convenuto aveva ottenuto l'assegnazione del bene. Il Tribunale, dopo aver ammesso la prova testimoniale articolata dal convenuto per dimostrare l'origine donativa del denaro utilizzato per l'acquisto dell'immobile, accoglieva parzialmente la domanda di Tizia, accertando che il bene era stato acquistato nella misura dell'80% mediante donazione indiretta proveniente dai genitori di Caio, mentre per il restante 20% ricadeva nella comunione legale. Dichiarava dunque l'immobile di proprietà del marito per il 90% e della moglie, attrice, per il 10%. Tizia proponeva appello avverso detta decisione, invocando l'appartenenza del bene alla comunione legale per l'intero. Resisteva all'impugnazione Caio, spiegando a sua volta appello incidentale, con il quale rivendicava la proprietà esclusiva del cespite. La Corte di Appello rigettava il gravame principale, accoglieva quello incidentale e dichiarava l'immobile appartenente per la totalità a Caio. Tizia ricorre in cassazione. La questione
In caso di acquisto di un immobile per donazione (diretta o indiretta) ai sensi dell'art. 179, comma 1, lett. b), c.c., affinché operi l'esclusione del bene dalla comunione, è necessario l'intervento in atto del coniuge non acquirente ai sensi dell'art. 179, ultimo comma, c.c.? Le soluzioni giuridiche
La Cassazione si richiama al principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza Cass. n. 22755/2009, secondo cui “nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all'atto dell'altro coniuge non acquirente, prevista dall'art. 179, comma 2, c.c. si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l'esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l'effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall'art. 179, comma 1, lett. c), d) ed f), c.c., con la conseguenza che l'eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi”. Ne consegue che l'esclusione del bene dalla comunione legale, ove esso ricada nelle ipotesi di cui alle lettere c), d) ed f) dell'art. 179, comma 1, c.c., si produce non già per effetto della dichiarazione resa dal coniuge non intestatario in atto di acquisto, ma in forza dell'effettiva natura personale del bene oggetto di acquisto. Devono dunque ricorrere ambedue gli elementi indicati dalla norma, rappresentati, rispettivamente, dalla natura personale del bene (prevista dall'art. 179, prima parte, u.c., c.c.), senza la quale non basta il consenso all'acquisto esclusivo manifestato in atto dal coniuge non intestatario, e dalla manifestazione del predetto consenso (prevista invece dalla seconda parte del richiamato ultimo comma), in assenza del quale non è sufficiente il solo presupposto oggettivo, costituito dalla natura personale del cespite. Su tali premesse logiche, la Cassazione con la pronuncia in commento ha ritenuto ammissibile l'azione di accertamento negativo con la quale il coniuge non intestatario dell'immobile faccia valere la natura non personale del cespite, ai fini di ottenere, per converso, l'accertamento della sua inclusione nel regime della comunione legale. Tuttavia – continuano i giudici - nel caso di specie viene in rilievo un acquisto eseguito ai sensi dell'art. 179, comma 1, lett. b), c.c. in quanto il bene di cui è causa è stato acquistato dal convenuto Caio, almeno in parte, con denaro proveniente da donazione dei suoi genitori. L'ipotesi di cui alla lett. b) non è compresa tra quelle indicate dall'art. 179, ultimo comma, c.c.: in relazione ad essa, dunque, non è neppure previsto il necessario intervento del coniuge non intestatario all'atto di acquisto. La Suprema Corte ritiene dunque di dare continuità al principio secondo cui «in tema di comunione legale dei coniugi, la donazione indiretta rientra nell'esclusione di cui all'art. 179, comma 1, lett. b), c.c. senza che sia necessaria l'espressa dichiarazione da parte del coniuge acquirente prevista dall'art. 179, comma 1, lett. f) c.c., né la partecipazione del coniuge non acquirente all'atto di acquisto e la sua adesione alla dichiarazione dell'altro coniuge acquirente ai sensi dell'art. 179, comma 2, c.c. trattandosi di disposizioni non richiamate». Pertanto, la Cassazione conclude affermando che nel caso in esame risulta del tutto irrilevante, ai fini della delibazione circa l'inclusione, o meno, del bene di cui è causa nel regime della comunione legale, la circostanza che il coniuge non intestatario sia intervenuto nell'atto di acquisto, o di assegnazione, e la dichiarazione di cd. “rifiuto al coacquisto” che il medesimo abbia in quel contesto formulato. Assume, invece, rilievo esclusivamente l'accertamento della provenienza del denaro utilizzato per l'acquisto: ove esso, infatti, abbia natura donativa, si configura l'ipotesi di cui all'art. 179, comma 1, lett. b), c.c. con conseguente automatica esclusione del cespite dal regime della comunione legale. Nello specifico, la Corte di Appello ha dato atto che il padre di Caio aveva versato a mezzo assegni quasi la totalità del prezzo di acquisto dell'immobile. Nel caso in cui l'immobile venga acquistato solo in parte, e non per l'intero, con denaro di provenienza donativa, deve farsi applicazione del principio secondo cui “si ha donazione indiretta di un bene (nella specie, un immobile) anche quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo della relativa compravendita dovuto dal donatario, laddove sia dimostrato lo specifico collegamento tra dazione e successivo impiego delle somme, dovendo, in tal caso, individuarsi l'oggetto della liberalità, analogamente a quanto affermato in tema di vendita mista a donazione, nella percentuale di proprietà del bene acquistato pari alla quota di prezzo corrisposta con la provvista fornita dal donante”. Ne consegue l'erroneità della decisione impugnata, con la quale la Corte distrettuale, pur confermando che l'istruttoria aveva accertato la provenienza donativa solo di una parte del denaro utilizzato da Caio per acquistare il cespite di cui è causa, ha accolto l'appello incidentale spiegato da quest'ultimo, dichiarando il bene di proprietà esclusiva del predetto soggetto. La Suprema Corte cassa dunque la sentenza impugnata solo in relazione a tale ultimo punto ed afferma il principio secondo cui in presenza di una ipotesi di acquisto rientrante nell'ambito dell'art. 179, comma 1, lett. b), c.c. non rileva la dichiarazione di cd. “rifiuto al coacquisto” eseguita dal coniuge non intestatario in atto, non essendo la predetta ipotesi di cui alla lettera b) del comma 1 richiamata del medesimo art. 179, ultimo comma c.c. Di conseguenza, in presenza di un accertamento di fatto che confermi la provenienza donativa non di tutto, ma soltanto di parte del denaro utilizzato per l'acquisto di un bene, quest'ultimo dovrà ritenersi di proprietà esclusiva del donatario soltanto per la parte del suo valore effettivamente corrispondente all'entità della donazione ricevuta, e non invece per l'intero, restando la residua parte del valore del cespite, non acquistata con denaro personale dell'intestatario, soggetta al regime della comunione legale tra i coniugi. Osservazioni
La Cassazione torna a pronunciarsi in merito alla natura giuridica ed agli effetti della dichiarazione del coniuge non acquirente prevista dall'art. 179, comma 2, c.c. La sentenza in commento non presenta su tale argomento elementi di novità in quanto si limita a richiamare in maniera adesiva il principio affermato dalla sentenza a Sezioni Unite Cass. n. 22755/2009. Inoltre, i giudici di legittimità confermano l'orientamento prevalente secondo cui sono personali (esclusi dalla comunione legale) anche i beni acquistati per donazione indiretta (art. 179, comma 1, lettera b), c.c.). Infatti, la donazione indiretta consiste nell'elargizione di una liberalità che viene attuata, anziché con il negozio tipico dell'art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l'effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l'arricchimento animus donandi del destinatario della liberalità medesima. Ne deriva che non sussiste un'ontologica incompatibilità della donazione indiretta con la norma dell'art. 179 lett. b) c.c., sicché il bene oggetto di essa non deve necessariamente rientrare nella comunione legale (Cass. 8 maggio 1998, n. 4680). La giurisprudenza ha appunto chiarito che la lettera dell'art. 179, comma 1, lettera b), c.c., che parla di “libertà” e non di “donazione”, non consente di limitarne la portata alle sole libertà previste dall'art. 769 c.c. D'altra parte la ratio della disciplina della comunione è quella di rendere comuni i beni alla cui acquisizione entrambi i coniugi (sia pure con modalità diverse) abbiano contribuito, sarebbe iniquo ricomprende nella comunione anche le libertà a favore di uno solo dei coniugi, trattandosi di un acquisto in relazione al quale l'altro coniuge non ha avuto alcuna influenza. Né si vede come un generico favore communionis possa di per sé, e per di più in spregio alla stessa lettera della disposizione, giustificare l'irrilevanza dei fini perseguiti dalle parti attraverso l'utilizzazione di un procedimento negoziale assolutamente lecito. Infine, che la espressa destinazione alla comunione possa escludere l'oggetto della liberalità fatta a uno dei coniugi dall'ambito dei suoi beni personali, ai sensi dell'art. 179, lettera b) c.c., non implica che per riconoscere la natura personale dell'acquisto sia necessaria una esplicita dichiarazione dell'attore della liberalità di volerla destinare esclusivamente a favore di uno dei coniugi. La “specificazione” della destinazione non è, in altri termini, un requisito essenziale per produrre l'effetto previsto dalla norma, essendosi il legislatore limitato a prevedere la rilevanza della dichiarazione di voler destinare la liberalità alla comunione, al fine di escludere il bene donato dall'ambito di quelli personali (Cass. 15 novembre 1997, n. 11327). In particolare, nell'ipotesi in cui un soggetto abbia erogato il danaro per l'acquisto di un immobile in capo al proprio figlio, si deve distinguere il caso della donazione diretta del danaro, in cui oggetto della liberalità rimane quest'ultimo, da quello in cui il danaro sia fornito quale mezzo per l'acquisto dell'immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale secondo caso, il collegamento tra l'elargizione del danaro paterno e l'acquisto dell'immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dell'immobile stesso, e non già del danaro impiegato per il suo acquisto. Ne consegue che, in tale ipotesi, il bene acquisito successivamente al matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale è ricompreso tra quelli esclusi da detto regime, ai sensi dell'art. 179, lett. b), c.c. senza che sia necessario che il comportamento del donante si articoli in attività tipiche, essendo invece sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio-mezzo con l'arricchimento di uno dei coniugi per spirito di liberalità (Cass. 11 dicembre 2018, n. 31978; Cass. 14 dicembre 2000, n. 15778). La Cassazione ha anche affermato che, nel regime della comunione legale fra i coniugi, l'acquisto di un bene personale effettuato da uno dei coniugi per donazione fattagli da un terzo, si sottrae al regime della comunione a norma dell'art. 179, comma 1, lett. b) c.c. ancorché la donazione sia dissimulata da una vendita, potendo l'acquirente opporre all'altro coniuge il carattere simulato di quest'ultima (Cass. 11 agosto 1997, n. 7470). Sul punto è fondamentale però precisare che la donazione indiretta rientra nell'esclusione di cui all'art. 179, comma 1, lett. b), c.c., senza che sia necessaria l'espressa dichiarazione da parte del coniuge acquirente prevista dall'art. 179, comma 1, lett. f), c.c., né la partecipazione del coniuge non acquirente all'atto di acquisto e la sua adesione alla dichiarazione dell'altro coniuge acquirente ai sensi dell'art. 179, comma 2, c.c., trattandosi di disposizione non richiamate (Cass. 5 giugno 2013, n. 14197). In conclusione, la Cassazione ribadisce il principio secondo cui l'art. 179 lettera b) c.c. trova applicazione anche quando la donazione indiretta proveniente da un terzo consista in una parte del denaro destinato all'acquisto di un bene, con la conseguenza di un'esclusione parziale e pro quota del bene stesso dalla comunione legale. (Cass. 7 maggio 2015, n. 9194). In altri termini, si ha donazione indiretta di un bene anche quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo della relativa compravendita dovuto dal donatario, laddove sia dimostrato lo specifico collegamento tra dazione e successivo impiego delle somme, dovendo, in tal caso, individuarsi l'oggetto della liberalità, analogamente a quanto affermato in tema di vendita mista a donazione, nella percentuale di proprietà del bene acquistato pari alla quota di prezzo corrisposta con la provvista fornita dal donante (Cass. 17 aprile 2019, n. 10759). Risulta così definitivamente superato il precedente orientamento, secondo cui la donazione indiretta dell'immobile non è configurabile quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo del bene, giacché la corresponsione del denaro costituisce una diversa modalità per attuare l'identico risultato giuridico-economico dell'attribuzione liberale dell'immobile esclusivamente nell'ipotesi in cui ne sostenga l'intero costo (Cass. 31 gennaio 2014, n. 2149).
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