Imprese Sociali. Nuovi criteri di computo dei ricavi per una corretta coesistenza tra attività istituzionali e commerciali

04 Ottobre 2021

Il Decreto 22 giugno 2021 del Ministro dello sviluppo economico (pubblicato in Gazzetta n. 203, 25 agosto 2021) definisce i criteri di computo dei ricavi per le imprese sociali, ai fini di un corretto riparto tra attività di interesse generale e attività diverse. Si tratta di un provvedimento atteso e particolarmente importante perché interviene su un profilo di grande rilevanza, rappresentato dalla corretta coesistenza tra attività istituzionali e commerciali degli enti no profit.
Il recente D.M. in materia di computo dei ricavi conseguiti dalle I.S.

Il Decreto 22 giugno 2021 del Ministro dello sviluppo economico (pubblicato in Gazzetta n. 203, 25 agosto 2021) definisce i criteri di computo dei ricavi per le imprese sociali, ai fini di un corretto riparto tra attività di interesse generale e attività diverse. Si tratta di un provvedimento atteso e particolarmente importante perché interviene su un profilo di grande rilevanza, rappresentato dalla corretta coesistenza tra attività istituzionali e commerciali degli enti no profit.

Sul piano normativo, il decreto è stato emanato in attuazione dell'art. 2, comma 3, d.lgs. n. 112/2017 a mente del quale si considera svolta in via principale, da parte di un'impresa sociale, l'attività in relazione alla quale i ricavi conseguiti risultino superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi dell'impresa medesima (secondo criteri di computo definiti, appunto con apposito D.M).

Del resto, ai sensi del citato art. 2, l'impresa sociale può esercitare, in via stabile e principale, una o più attività di interesse generale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale; la norma contiene, al riguardo, una corposa elencazione di possibili attività di interesse generale che, rispetto all'abrogato d.lgs. n. 155/2006 risulta ampliata e ridefinita, anche alla luce dei progressivi mutamenti del contesto sociale e giuridico succedutisi nel tempo.

Le disposizioni in esame si applicano a partire dal 1° gennaio 2022 (sono escluse le cooperative sociali e ai loro consorzi di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381).

I criteri di computo

Con il D.M. in esame si definiscono i criteri per il computo del rapporto – stabilito nel valore del 70% - tra i ricavi relativi all'attività d'impresa di interesse generale e quelli complessivi conseguiti dall'I.S., ai fini della qualificazione come principale dell'attività di interesse generale.

A tal fine sono considerati al numeratore del rapporto, per ciascun anno di esercizio, esclusivamente i ricavi direttamente generati dal complesso delle attività d'impresa di interesse generale, come definite dall'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 112/2017.

Non sono, invece, considerati né al numeratore né al denominatore del rapporto i ricavi relativi a:

  • proventi da rendite finanziarie o immobiliari;
  • plusvalenze di tipo finanziario o patrimoniale;
  • sopravvenienze attive;
  • contratti o convenzioni con società o enti controllati dall'impresa sociale o controllanti la medesima.

Nell'ipotesi in cui i ricavi non risultino chiaramente attribuibili alle attività di interesse generale ovvero a quelle cd. diverse, l'attribuzione degli importi è effettuata in base alla media annua del numero di lavoratori impiegati in ciascuna delle due categorie di attività, calcolati per teste.

Superamento dei limiti, obblighi e sanzioni. Analogie con il D.M. in materia di attività diverse degli ETS

Il decreto stabilisce un preciso impianto sanzionatorio in caso di mancato rispetto dei limiti percentuali e attribuisce responsabilità all'organo di amministrazione. Nel dettaglio tale organo ha l'obbligo di documentare il carattere principale dell'attività d'impresa di interesse generale nel bilancio sociale.

Di conseguenza, nel caso di mancato rispetto della percentuale minima del 70%, l'impresa sociale effettua, nel termine di trenta giorni dalla data di approvazione del bilancio, apposita segnalazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Analogo obbligo di segnalazione incombe in capo alle imprese sociali costituite in forma di cooperativa; mentre per quelle aventi sede nelle Regioni a Statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e Bolzano, l'obbligo è adempiuto mediante segnalazione ai relativi Uffici territorialmente competenti.

Nel caso di superamento di tale percentuale, l'impresa sociale è tenuta a regolarizzare il computo nell'esercizio successivo: deve infatti rispettare un rapporto tra ricavi relativi all'attività d'impresa di interesse generale e ricavi complessivi che sia superiore al 70% e sia inoltre incrementato della misura almeno pari alla percentuale non raggiunta nell'esercizio precedente.

In caso di inadempimento la sanzione risulta essere molto gravosa per l'ente: il Ministro del lavoro e delle politiche sociali con proprio decreto dispone, appunto, nei confronti delle imprese sociali non costituite in forma cooperativa la perdita della qualifica di I.S. e la conseguente devoluzione del patrimonio residuo nei termini stabiliti dalla legge di riferimento.

In analogia a tale previsione, qualora l'I.S. sia costituita in forma di cooperativa, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali con proprio decreto dispone comunque la perdita della qualifica. Tuttavia, tale provvedimento non comporta l'obbligo di devoluzione del patrimonio, restando tali enti assoggettati al regime proprio delle società cooperative.

Il regime sanzionatorio previsto nel decreto in analisi si armonizza con quanto disposto dal D.M. 19 maggio 2021 n. 107, in materia di individuazione di criteri e limiti delle attività diverse degli enti di Terzo settore (v., al riguardo, G. Rivetti, F. Moroni, Terzo settore. Pubblicato il D.M. sulle attività diverse, in Questa Riv., Focus del 2 agosto 2021).

Al riguardo, il citato D.M. definisce i criteri di “secondarietà” e “strumentalità” delle attività diverse esercitabili dagli ETS e si stabiliscono i parametri per la corretta valutazione del rapporto tra ricavi e costi.

Sul punto, qualora si presenti uno “sforamento” delle percentuali indicate nel Decreto stesso, l'ETS è tenuto in primis ad effettuare una segnalazione al competente ufficio territoriale del RUNTS e, nell'esercizio successivo è tenuto a riequilibrare il rapporto tra attività secondarie e istituzionali.

In ipotesi di mancato adempimento dell'obbligo di segnalazione o di regolarizzazione della soglia percentuale, l'ufficio del RUNTS territorialmente competente, dispone la cancellazione dell'ETS dal Registro medesimo (art. 4, comma 3, norma cit.).

Le novità introdotte dalla Governance del PNRR in relazione al “ramo I.S.” dell'ente religioso

Oltre al D.M. in esame, sono state introdotte dalla Governance per il PNRR (ossia decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, conv. con mod. in Legge 29 luglio 2021, n. 108) modifiche di rilievo alla disciplina del ramo I.S. degli enti religiosi. In tale contesto, si ricorda come gli enti religiosi civilmente riconosciuti, possano costituire un “ramo I.S.” a cui si applicano le norme del d.lgs. n. 112/2017, ma limitatamente allo svolgimento delle attività di interesse generale.

In relazione a tali attività l'ente deve adottare un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e delle finalità dell'ente religioso, recepisca le norme sempre previste dal d.lgs. n. 112/2017. Per lo svolgimento di tali attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili.

La legge in materia di governance del PNRR apporta modifiche sostanziali aggiungendo un periodo finale all'art. 1, comma 3, d.lgs. n. 112/2017, del seguente tenore:

«I beni che compongono il patrimonio destinato sono indicati nel regolamento, anche con atto distinto ad esso allegato. Per le obbligazioni contratte in relazione alle attività di cui all'articolo 2, gli enti religiosi civilmente riconosciuti rispondono nei limiti del patrimonio destinato. Gli altri creditori dell'ente religioso civilmente riconosciuto non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo svolgimento delle attività di cui al citato articolo 2» (v. ai sensi l'art. 66, comma 02, punto 1-bis, norma cit.).

Analoga modifica viene prevista anche per gli enti religiosi che decidono di costituire un «ramo ETS» (art. 66, comma 01, lett. a, Legge n. 108/2021 che modifica l'art. 4, comma 3, CTS).

La novella alla norma appare orientata ad assicurare forme di tutela più incisive non solo nei confronti dei creditori dell'ente che vantano diritti maturati in rifermento alle sole attività esercitate dal Ramo IS, ma rappresenta anche una garanzia per lostesso ente confessionale, a sua volta interessato a non pregiudicare il patrimonio destinato allo svolgimento delle proprie attività istituzionali, di religione o di culto (cd. patrimonio stabile).

Inoltre, rappresenta una efficiente garanzia anche in ipotesi di avvio di procedure esecutive o concorsuali.

In conclusione

Le recenti modifiche in analisi rafforzano sempre di più la nuova prospettiva di qualificazione dei soggetti giuridici operanti nel variegato universo del no profit (sia nella veste giuridica di ETS che in qualità di IS). Siamo, infatti, di fronte ad enti che operano in una situazione di concorrenza nel settore di riferimento e sono destinati ad entrare in un “mercato” delle preferenze, caratterizzato da un regime di competizione per le scelte.

Di conseguenza, è necessario realizzare un vero e proprio mutamento di mentalità e prevedere rinnovate forme di gestione dell'organizzazione (sempre ovviamente in armonia con le finalità istituzionali) ispirate di criteri teoricamente assimilabili a quelli aziendali. L'insieme di strategie di mercato, è utile precisare, non incide sui contenuti istituzionali degli organismi no profit, bensì sulle metodologie e sulle proposte: in altri termini sulle modalità attraverso cui le organizzazioni non profit realizzano le loro finalità istituzionali.

Lo stesso sistema economico di riferimento, per certi aspetti concorrenziale, impone sempre più spesso la necessità di dotarsi di strumenti gestionali e di supporti finanziari, al fine di rendere maggiormente visibile l'azione delle singole associazioni.

In altre parole, si realizza una sorta di concorrenza interna alle organizzazioni non lucrative le quali sono chiamate a dividersi le risorse umane ed economiche del settore. L'esigenza di una piena efficienza (anche economica) dell'organizzazione diventa fondamentale, e altrettanto basilare risulta lo sviluppo dell'organizzazione stessa, per conseguire direttamente gli obiettivi istituzionali. Per altro verso realizza una forma indiretta di finanziamento, a favore delle organizzazioni ritenute più meritevoli nel campo delle attività sociali (v. G. Rivetti, Enti senza scopo di lucro, Milano, Giuffrè, 2017, 244 ss.).

Le recenti modifiche normative introdotte dai richiamati decreti risultano finalizzate a garantire una corretta individuazione rinnovati parametri per la definizione delle attività di interesse generale, nonché ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza e correttezza nella gestione del patrimonio e nella redazione dei bilanci.

Questo anche nell'ottica per cui è necessario sgomberare il campo da una visione idilliaca del mondo del privato sociale, non ignorando che anche in questo ambito agiscono soggetti non sempre trasparenti che, talvolta, usufruiscono di benefici o attuano modelli di concorrenza utilizzando la struttura associativa per aggirare obblighi di legge (v., Linee guida per una Riforma del Terzo Settore, 2014).

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