Diritto alla conoscenza delle proprie origini vs diritto all’anonimato della madre biologica
01 Ottobre 2021
Massima
Il diritto del figlio a conoscere le proprie origini può essere esercitato anche qualora la madre, la quale abbia originariamente chiesto di non essere nominata, non possa essere interpellata in quanto ormai deceduta Il caso
La ricorrente, nata da una donna che all'epoca aveva scelto di non essere nominata, ha chiesto al Tribunale per i Minorenni di Milano di poter accedere a qualsiasi informazione relativa alle proprie origini, previo interpello della propria madre biologica; i giudici aditi, dopo aver verificato che l'interpellanda era purtroppo deceduta nel 1992, con un primo provvedimento emesso in data 08.09.2015 hanno dichiarato non esservi luogo a provvedere sull'istanza e poi, con successivo decreto emesso in data 07.09.2020, hanno autorizzato l'estrazione di copia dell'atto integrale di nascita e della cartella sanitaria relativa alla ricorrente, con omissione tuttavia “di ogni atto utile all'identificazione della madre”. All'esito del reclamo proposto avverso tale provvedimento, la Corte d'Appello di Milano ha emesso un decreto interlocutorio con cui ha disposto l'acquisizione del fascicolo integrale formato dal Tribunale per i Minorenni (comprensivo del certificato di assistenza al parto, della cartella clinica integrale e del certificato di morte della madre naturale), dichiarando comunque sin d'ora il diritto della ricorrente ad “accedere alle informazioni relative alla identità della propria madre biologica”. La questione
Il diritto a conoscere le proprie origini non può esercitarsi in violazione dei diritti, di analoga natura e contenuto, dei terzi interessati? Le soluzioni giuridiche
Con la nota pronuncia emessa in data 25.09.2012 dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, lo Stato Italiano è stato condannato per non aver consentito alla parte ricorrente di accedere alle informazioni relative alle proprie origini, senza neppure operare un bilanciamento tra tale diritto (riconducibile alla tutela prevista dall'art.8 della CEDU) e quello esercitato dalla madre della ricorrente nel momento in cui aveva scelto di partorire senza essere nominata. Tali principi sono stati poi ribaditi dalla Corte Costituzionale nella sentenza Corte cost. n. 278/2013, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 28 comma 7, l. n. 184/1983 nella parte in cui non prevede la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio, di interpellare la madre al fine di verificare se intenda o meno revocare la propria scelta di restare anonima; tenuto conto tuttavia della necessità di assicurare la massima riservatezza (in considerazione delle peculiari circostanze che possono aver indotto la donna a tale scelta ed anche dell'opportunità di tutelare eventuali terzi, con particolare riferimento ai familiari), la Corte ha evidenziato la necessità che sia regolato dalla legge il procedimento volto all'interpello della madre. La perdurante inerzia del legislatore ha determinato un contrasto nella giurisprudenza di merito tra chi riteneva inattuabile il diritto alla conoscenza delle proprie origini sino a quando non fossero state regolate per legge le modalità di tale interpello e chi invece riteneva possibile e doveroso attuare comunque in via giudiziaria i principi sanciti dalla Corte Costituzionale. Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza Cass. n. 1946/2017 hanno infine condiviso tale secondo orientamento, ritenendo che il giudice debba dare immediata attuazione a tale diritto secondo le modalità procedimentali attualmente vigenti (ed in particolar modo attraverso il procedimento in camera di consiglio), valorizzando anche i protocolli che taluni Tribunali per i Minorenni hanno adottato per tutelare la riservatezza delle parti. La carenza di una specifica disciplina sostanziale e processuale continua peraltro a rendere ardua l'attuazione del diritto alle origini, con particolare riferimento alle ipotesi in cui la madre non possa essere più interpellata in quanto ormai deceduta o non più in grado di prestare un valido consenso. Secondo parte della giurisprudenza di merito che ha affrontato tali peculiari aspetti, l'intervenuto decesso della madre non determinerebbe l'automatica revoca del diritto di restare anonima, permanendo anche dopo la morte l'interesse a mantenere nei confronti dei familiari superstiti un'immagine non caratterizzata dall'abbandono di un figlio alla nascita; in tali situazioni, il segreto scelto al momento del parto resterebbe quindi irreversibile, precludendo il diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini. La Corte di Cassazione ha censurato tale interpretazione, ritenendo che le ragioni di protezione su cui si fonda il diritto all'anonimato siano affievolite, se non ormai cessate, a seguito del decesso della titolare del diritto (leggasi ad esempio Cass. civ., sez. I, sent., 21 luglio 2016, n. 15024). Anche in tali ipotesi tuttavia (cfr. Cass. civ. sez. I, sent., 09 novembre 2016, n. 22838) sarà necessario procedere “ad un adeguato bilanciamento degli interessi potenzialmente confliggenti”, tenuto conto che anche “il diritto a conoscere le proprie origini non può esercitarsi in violazione dei diritti, di analoga natura e contenuto, dei terzi interessati”. È stata così condivisa l'opportunità (già evidenziata dalla citata giurisprudenza di merito) di tutelare l'identità sociale costruita in vita dalla madre biologica, “in relazione al nucleo familiare e/o relazionale eventualmente costituito dopo aver esercitato il diritto all'anonimato”. Si ribadisce in conclusione che le informazioni relative alla propria origine dovranno essere trattate “senza cagionare danno anche non patrimoniale all'immagine, alla reputazione e ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati (discendenti o familiari)”. La valutazione risulta ancor più complessa ove la madre non sia deceduta, ma non sia più in grado di prestare un valido consenso: secondo quanto recentemente ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. I, sent., 15 luglio 2021, n. 22497), occorre infatti evitare che l'accesso alle notizie sulle proprie origini determini un “grave turbamento dell'equilibrio psico-fisico” non soltanto ai danni del figlio ricorrente, ma anche alla madre biologica; deve del resto rammentarsi che, secondo quanto sin dall'inizio evidenziato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite Cass. n. 1946/2017, l'interpello riservato deve comunque svolgersi “con la massima prudenza ed il massimo rispetto, oltre che della libertà di autodeterminazione, della dignità della donna, tenendo conto della sua età, del suo stato di salute e della sua condizione personale e familiare”. Nel procedimento da ultimo citato, è stato così consentito alla ricorrente di accedere alle sole informazioni sanitarie, restando in ogni caso oscurati i dati relativi all'identità della madre biologica. Osservazioni
Il provvedimento oggetto della presente nota fa ampio riferimento alle pronunce sopra citate, evidenziando la necessità di “individuare un punto di equilibrio nel bilanciamento tra diritti di rango primario”; la prima parte della motivazione non dà conto tuttavia di tale ponderazione, limitandosi a “ritenere meritevole di tutela, con prevalenza, il diritto del figlio, nato da parto anonimo, alla conoscenza delle proprie origini” ed affermando pertanto il suo diritto “ad accedere alle informazioni relative alla identità della propria madre biologica”, senza fare alcun riferimento ad eventuali esigenze o diritti astrattamente confliggenti. La posizione giuridica di eventuali terzi cointrointeressati viene peraltro presa in considerazione nella seconda parte della motivazione, nell'ambito della quale la Corte d'Appello dispone l'acquisizione del fascicolo integrale (comprensivo dei dati sensibili), ma riserva all'esito la valutazione della richiesta avanzata dalla ricorrente affinché le vengano materialmente rese disponibili tali informazioni. Secondo quanto ritenuto dai giudici del reclamo, infatti, «una volta accertato il diritto, si tratta di verificare se ed in quale misura sia possibile (….) contemperare l'esigenza di concreta tutela della reclamante con gli effetti che dalla pronuncia derivano rispetto a rapporti giuridici estranei a quello dedotto in giudizio», con particolare riferimento ai diritti dei terzi coinvolti; la Corte evidenzia del resto che il diritto alla riservatezza risulta tutelato dal medesimo art.8 della Carta Europea dei Diritti dell'Uomo su cui si fondano le richieste di poter accedere alle proprie origini. La presente pronuncia si discosta pertanto dall'orientamento desumibile dalla giurisprudenza sopra citata nella parte in cui ritiene che, in buona sostanza, gli eventuali diritti dei terzi controinteressati non siano di per sé ostativi rispetto al riconoscimento del diritto di accesso da parte del figlio, ma possano semplicemente limitarne il concreto esercizio. |