La Grande Sezione della CGUE sull’obbligo di rinvio pregiudiziale alla CGUE: precisazioni sulla giurisprudenza «Cilfit»

07 Ottobre 2021

In risposta al rinvio pregiudiziale effettuato nel 2019 dal Consiglio di Stato, la CGUE ha confermato, precisandoli, i criteri affermati nel caso «Cilfit» relativamente alle ipotesi in cui i giudici nazionali di ultima istanza non sono soggetti all'obbligo di rinvio pregiudiziale.

Il caso. RFI aggiudicava ad un'associazione temporanea d'imprese un appalto relativo a servizi di pulizia, di mantenimento del decoro dei locali ed altre aree aperte al pubblico e servizi accessori ubicati in stazioni, impianti, uffici ed officine variamente dislocati nell'ambito della Direzione compartimentale movimento di Cagliari. Durante l'esecuzione di tale appalto si instaurava una controversia prima dinanzi al TAR Sardegna e poi, in sede di appello, al Consiglio di Stato. Nel corso del giudizio, quest'ultimo sottoponeva delle questioni pregiudiziali alla CGUE che si pronunciava con la sentenza del 19 aprile 2018, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi (C‑152/17). Nel giudizio principale, tornato dinanzi al Consiglio di Stato, le parti sollevavano, per la prima volta, nuove questioni pregiudiziali da sottoporre alla CGUE. Nel 2019 il Consiglio di Stato si rivolgeva quindi nuovamente alla Corte con un nuovo rinvio pregiudiziale per domandare:

«1) [S]e, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, il giudice nazionale, le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale, è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell'Unione europea, anche nei casi in cui tale questione gli venga proposta da una delle parti del processo dopo il suo primo atto di instaurazione del giudizio o di costituzione nel medesimo, ovvero dopo che la causa sia stata trattenuta per la prima volta in decisione, ovvero anche dopo che vi sia già stato un primo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea;

2) se (...) siano conformi al diritto dell'Unione europea (in particolare agli articoli 4, paragrafo 2, 9, 101, paragrafo 1, lettera e), 106, 151 – ed alla Carta sociale europea ed alla Carta dei diritti sociali da esso richiamate – 152, 153, 156 TFUE; agli articoli 2 e 3 TUE; nonché all'articolo 28 [della Carta]) gli articoli 115, 206 e 217 [del] d. lgs. 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai (…) settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la direttiva [2004/17], ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità;

3) se (...) siano conformi al diritto dell'Unione europea (in particolare all'articolo 28 della Carta, al principio di parità di trattamento sancito dagli articoli 26 e 34 TFUE, nonché al principio di libertà di impresa riconosciuto anche dall'articolo 16 [della Carta]) gli articoli 115, 206 e 217 [del] d. lgs. 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai (…) settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la direttiva [2004/17], ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità».

La risposta della CGUE sulla prima questione pregiudiziale. Con riferimento alla prima questione, la Grande Sezione della Corte conferma, precisandoli, i criteri elaborati nella giurisprudenza “Cilfit” secondo cui i giudici nazionali di ultima istanza non sono soggetti all'obbligo di rinvio pregiudiziale quando:

i) la questione non è rilevante per dirimere la controversia;

ii) la disposizione del diritto dell'Unione di cui trattasi è già stata oggetto di interpretazione da parte della Corte;

iii) la corretta applicazione del diritto dell'Unione si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi.

La Corte afferma in primo luogo che un giudice nazionale di ultima istanza non può essere sollevato dall'obbligo di rinvio pregiudiziale per il solo fatto di aver già adito la Corte in via pregiudiziale nell'ambito del medesimo procedimento.

Con riferimento al criterio sub iii), la Corte precisa che siffatta ipotesi deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell'Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all'Unione. Prima di concludere per l'assenza di un ragionevole dubbio sulla corretta interpretazione del diritto dell'Unione, il giudice nazionale di ultima istanza deve infatti “maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe altresì ai giudici di ultima istanza degli altri Stati membri e alla Corte”.

Tale valutazione deve essere effettuata tenendo conto “del fatto che le disposizioni del diritto dell'Unione sono redatte in diverse lingue e che le varie versioni linguistiche fanno fede nella stessa misura”. Ne consegue che “se un giudice nazionale di ultima istanza non può certamente essere tenuto a effettuare, a tal riguardo, un esame di ciascuna delle versioni linguistiche della disposizione dell'Unione di cui trattasi, ciò non toglie che esso deve tener conto delle divergenze tra le versioni linguistiche di tale disposizione di cui è a conoscenza, segnatamente quando tali divergenze sono esposte dalle parti e sono comprovate”. La Corte tuttavia precisa che “la mera possibilità di effettuare una o diverse altre letture di una disposizione del diritto dell'Unione, nei limiti in cui nessuna di queste altre letture appaia sufficientemente plausibile al giudice nazionale interessato, segnatamente alla luce del contesto e della finalità di detta disposizione, nonché del sistema normativo in cui essa si inserisce, non può essere sufficiente per considerare che sussista un dubbio ragionevole quanto all'interpretazione corretta di tale disposizione”.

La sentenza precisa inoltre che “quando l'esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti – in seno agli organi giurisdizionali di un medesimo Stato membro o tra organi giurisdizionali di Stati membri diversi – relativi all'interpretazione di una disposizione del diritto dell'Unione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale è portata a conoscenza del giudice nazionale di ultima istanza, esso deve prestare particolare attenzione nella sua valutazione riguardo a un'eventuale assenza di ragionevole dubbio quanto all'interpretazione corretta della disposizione dell'Unione di cui trattasi e tenere conto, segnatamente, dell'obiettivo perseguito dalla procedura pregiudiziale che è quello di assicurare l'unità di interpretazione del diritto dell'Unione”. Ne consegue che “i giudici nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno devono valutare, sotto la propria responsabilità, in maniera indipendente e con tutta la dovuta attenzione, se si trovino in una delle ipotesi che consentono loro di astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell'Unione che è stata sollevata dinanzi ad esse”.

Infine la CGUE evidenzia che “nell'ipotesi in cui, in forza delle norme processuali dello Stato membro interessato che rispettino i principi di equivalenza e di effettività, i motivi sollevati dinanzi a un giudice di cui all'articolo 267, terzo comma, TFUE, debbano essere dichiarati irricevibili, una domanda di pronuncia pregiudiziale non può essere considerata necessaria e rilevante affinché tale giudice possa decidere”.

Sulla seconda e terza questione pregiudiziale. In risposta agli ulteriori due quesiti, la Corte richiama la propria costante giurisprudenza in base a cui “nell'ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, la necessità di pervenire a un'interpretazione del diritto dell'Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest'ultimo rispetti scrupolosamente i requisiti relativi al contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale e indicati in maniera esplicita all'articolo 94 del regolamento di procedura, i quali si presumono noti al giudice del rinvio”. Tali requisiti richiamati nelle Raccomandazioni della Corte all'attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale prescrivono che “la decisione di rinvio contenga l'illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull'interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell'Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui al procedimento principale”.

In conclusione la CGUE ha quindi affermato i seguenti principi di diritto:

L'articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all'interpretazione del diritto dell'Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell'Unione di cui trattasi è già stata oggetto d'interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell'Unione s'impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi.

La configurabilità di siffatta eventualità deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell'Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all'Unione.

Tale giudice non può essere esonerato da detto obbligo per il solo motivo che ha già adito la Corte in via pregiudiziale nell'ambito del medesimo procedimento nazionale. Tuttavia, esso può astenersi dal sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte per motivi d'irricevibilità inerenti al procedimento dinanzi a detto giudice, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

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