Le coordinate del nuovo 'processo in assenza' tracciate dalla legge n. 134/2021

07 Ottobre 2021

La legge 27 settembre 2021, n. 134 , cd. riforma Cartabia. e le indicazioni che tale articolato contiene in tema di processo in assenza impongono nuove modifiche da apportare all'attuale disciplina. Lo scopo dichiarato è quello di adeguare il nostro sistema ai principi contenuti nella direttiva (UE) 343/2016 che tratta, oltre che della presunzione di innocenza, anche del diritto di presenziare al processo. L'opera di armonizzazione si rende necessaria in quanto...
Abstract

Il contributo analizza i criteri direttivi dettati dall'art. 1 comma 7 della cd. riforma Cartabia (legge 27 settembre 2021, n. 134) attraverso i quali il legislatore intende orientare il Governo verso l'auspicata riscrittura del processo in assenza.

La Riforma ha l'obiettivo di razionalizzare i tempi del processo e di contribuire alla sua durata ragionevole ma, contemporaneamente, mira a garantire un rafforzamento delle garanzie procedurali. Ecco che il diritto alla presenza processuale torna ad essere oggetto di attenzione, con lo scopo dichiarato di adeguare la disciplina interna al diritto dell'Unione europea e, in particolare, alla direttiva UE 343(2016), che in tema di presenza processuale ha recepito gli insegnamenti di una giurisprudenza ultradecennale della Corte di Strasburgo. I principi che il Governo è chiamato a rispettare nell'esercizio della delega non sono, dunque, nuovi ma più vincolanti in quanto fissati come regole comuni in una direttiva che può giovarsi di strumenti impositivi ben più forti e diretti rispetto a quelli di cui dispone il sistema Cedu.

Premessa

La legge 27 settembre 2021, n. 134 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 237 del 4 ottobre), cd. riforma Cartabia e le indicazioni che tale articolato contiene in tema di processo in assenza impongono nuove modifiche da apportare all'attuale disciplina. Lo scopo dichiarato è quello di adeguare il nostro sistema ai principi contenuti nella direttiva (UE) 343/2016 che tratta, oltre che della presunzione di innocenza, anche del diritto di presenziare al processo. L'opera di armonizzazione si rende necessaria in quanto, neanche con l'ultimo intervento normativo in materia (l. 28 aprile 2014, n. 67), il legislatore è riuscito a delineare una disciplina che fosse conforme ai parametri europei. In effetti, mentre in base ai principi convenzionali, poi recepiti dal legislatore europeo, è possibile che un giudizio si svolga in assenza purché ciò rappresenti il frutto di una scelta e, dunque, solo se l'accusato è stato posto nelle condizioni per esercitare il diritto alla presenza - il che postula la conoscenza effettiva dell'imputazione e della data e del luogo dell'udienza - l'attuale assetto non assicura all'imputato la conoscenza della citazione a giudizio, conservando, altresì, la possibilità di procedere reo absente, in ragione della mera sussistenza di indici presuntivi di conoscenza del procedimento. La Riforma si propone proprio di riaffermare il principio in base al quale si può procedere in assenza dell'imputato solo quando esistono elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una scelta volontaria e consapevole. Non a caso, prevede che si intervenga sulla disciplina delle notificazioni (sul punto v. NERUCCI TRINCI, Riforma Cartabia: la delega in tema di notificazioni), stabilendo che la vocatio in iudicium sia notificata tempestivamente e a mani proprie o con altre modalità comunque idonee a garantire che l'imputato venga a conoscenza della data e del luogo del processo. In effetti, è solo garantendo la conoscenza della citazione a giudizio che l'imputato è messo nella condizione di poter decidere se partecipare o meno al giudizio. Al contempo, il Governo è delegato ad ampliare l'ambito di operatività dei rimedi successivi da mettere a disposizione dell'imputato – e del condannato in assenza – che dimostrino di non aver avuto effettiva conoscenza del processo penale. In effetti, la conformità ai parametri europei del giudizio in assenza si misura anche guardando alla disciplina dei rimedi successivi. Sotto tale profilo, la l. 28 aprile 2014, n. 67 è stata più incisiva, avendo ampliato il novero dei rimedi esperibili dall'interessato e previsto la regressione del procedimento in modo da assicurare un più ampio recupero delle garanzie difensive perdute. Sennonché, la scelta di subordinarne la fruibilità alla capacità dell'imputato di dimostrare la sua assenza di colpa nel non aver conosciuto il processo, li ha resi difficilmente accessibili, in aperto contrasto con l'art. 9 della direttiva (UE) 2016/343, che nel demandare agli Stati il compito di assicurare, agli indagati o imputati che non siano stati presenti al giudizio un rimedio che consenta di riesaminare il merito della causa, pare riconoscere un diritto incondizionato al nuovo giudizio, negabile solo a chi si sia volontariamente sottratto al processo.

I nuovi criteri direttivi: la certezza della conoscenza del processo quale condizione per procedere in assenza

Tra i criteri della legge delega che possono essere ricondotti alla finalità di bilanciare le esigenze di velocizzazione del procedimento con quelle di mantenere elevate garanzie difensive, rientrano sicuramente anche quelli delineati nell'articolo 1 comma 7 con il quale s'intende riaffermare il principio in base al quale si può procedere in assenza dell'imputato solo se si ha la certezza che la sua mancata partecipazione al processo sia volontaria. Ecco che in base alla lettera a) dovranno essere ridefiniti i casi in cui l'imputato si deve ritenere presente o assente nel processo, prevedendo che il processo possa svolgersi reo absente solo quando vi sia certezza del fatto che tale assenza è volontaria e consapevole. Ciò postula, evidentemente l'acquisizione, da parte del giudice, di elementi idonei a consentire di affermare che l'imputato è a conoscenza della pendenza del giudizio e ha volontariamente deciso di sottrarvisi. Per soddisfare questo requisito si stabilisce alla successiva lettera b) che l'imputato sia tempestivamente citato per il processo a mani proprie o con altre modalità comunque idonee a garantire che lo stesso venga a conoscenza della data e del luogo del processo.

Si tratta di una novità di non poco conto, oltretutto rafforzata dalla possibilità di avvalersi della polizia giudiziaria per la notificazione. Non si dimentichi, infatti, che nell'attuale sistema la notificazione personale dell'atto introduttivo del processo tramite polizia giudiziaria è prevista solo quando la prima notificazione sia fallita o sia stata eseguita in modo tale da non dare conto dell'effettiva conoscenza dell'atto da parte dell'imputato (art. 420-quater comma 1 c.p.p.). Peraltro, proprio perché su questa notificazione poggia la legittimità dello svolgimento del giudizio senza imputato, si sottolinea, la necessità che l'interessato sia anche reso edotto del fatto che la decisione potrà essere presa anche in sua assenza. In altri termini, dal momento che la rinuncia a comparire deve essere volontaria si prevede un arricchimento del corredo di informazioni da fornire all'imputato: egli deve essere edotto dello svolgimento del processo a suo carico, del suo diritto di parteciparvi e del fatto che una sua eventuale rinuncia alla partecipazione non ostacolerà lo svolgimento del giudizio e l'assunzione di una decisione, prescrizione quest'ultima reiterata anche nella lett. i). Piuttosto, dovrà attentamente essere modulato il riferimento ad “altre modalità” di notificazione della vocatio in iudicium alternative a quella a mani – previsione con cui si traduce il riferimento ad altri mezzi contenuto nella direttiva – in quanto, trattandosi di un criterio che si presta a soluzioni attuative molto diverse, occorrerà evitare che esso serva a legittimare forme di notifica destinate a garantire solo la conoscenza legale. In base al successivo criterio, enucleato nella lett. c), anche quando non si abbia certezza dell'effettiva conoscenza del procedimento penale, si dovrà prevedere la possibilità di procedere comunque in assenza se il giudice, valutate le modalità di notificazione e ogni altra circostanza, ritiene provata la conoscenza della pendenza del processo e che l'assenza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole. A tal fine, si suggerisce di guardare, ad esempio, alle modalità in cui è avvenuta la notifica della vocatio in iudicium, ben potendo esistere situazioni - da verificarsi sempre in concreto - in cui nonostante l'atto non sia stato notificato a mani del destinatario, esso è stato comunque ricevuto da altro soggetto titolato (es. il convivente). Pare che sulla base dei descritti criteri il Governo debba armonizzare il sistema attraverso una attenta cernita delle situazioni che oggi legittimano la celebrazione di un giudizio in assenza dell'imputato.

In effetti, l'art. 420-bis c.p.p., come riformulato nel 2014, già prevede la possibilità di procedere in assenza quando l'imputato abbia ricevuto personalmente la notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza o abbia rinunciato espressamente a comparire ad essa, situazioni in cui vi è la certezza della conoscenza della data della prima udienza da parte dell'imputato. Prevede, però, anche una serie di situazioni in cui si può comunque procedere in assenza, potendosi ritenere che l'imputato sia al corrente del procedimento. In particolare, a norma del comma 2 del medesimo articolo, qualora l'imputato «nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio, ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare, ovvero abbia nominato un difensore di fiducia», sul presupposto che tali situazioni dimostrino che l'interessato è quantomeno a conoscenza dell'esistenza di un procedimento a proprio carico. Si tratta, nel complesso, di situazioni in cui si continua a permettere che il processo si svolga in forza di presunzioni di conoscenza. Invero, le ‘‘ipotesi di conoscenza tipizzata'', altro non sono che situazioni in cui si valorizza il contatto con l'autorità o l'attivazione del soggetto ‘‘per superare l'obbligo di citazione al processo'', senza che risulti in alcun modo dimostrato che da esse discenda sempre e comunque quella conoscenza ‘qualificata' del processo su cui tanto insistono il giudice di Strasburgo e il legislatore europeo. Non a caso la Commissione Lattanzi aveva evidenziato criticamente quanto incidesse negativamente sull'impianto portante dell'ultimo intervento normativo «anche in confronto con l'articolazione delle situazioni delineate dalla direttiva, la circostanza di aver considerato in modo omogeneo e indifferenziato una varietà di ipotesi differenti di assenza, che vanno dalla mera assenza ad un momento dell'iter processuale, all'assenza indubbiamente volontaria e consapevole, all'assenza solo “probabilmente” volontaria e consapevole». Orbene, sebbene non si possa escludere che gli indici individuati dal legislatore del 2014 possano essere talvolta sintomatici di conoscenza, sicuramente è stata di dubbia ragionevolezza la scelta del legislatore di generalizzarne il valore, imponendo al giudice rigidi automatismi. Sarebbe stato, infatti, preferibile rimettere l'individuazione delle situazioni, in cui è possibile presumere la conoscenza del processo da parte dell'interessato, alla libera valutazione dell'organo giudicante. Non a caso sia la dottrina, sia la giurisprudenza (Cass. pen.,sez. unite, 28 novembre 2019, n. 23948, RV 279420; Cass. pen., sez. III, 24 novembre 2020, n. 118813, RV 281483) hanno suggerito una lettura correttiva dell'attuale disciplina, riconoscendo che spetti comunque al giudice, pur in presenza di uno degli indici sintomatici, il compito di accertare la sussistenza nel caso concreto di elementi da cui desumere con certezza l'acquisita conoscenza del processo da parte dell'imputato.

Dunque il Governo, nell'esercizio della delega (art. 1 comma 6 lett. c)) dovrà intervenire su questo profilo della disciplina, espungendo dal sistema ogni indice presuntivo di conoscenza e stabilendo che sia il giudice dell'udienza preliminare (o della prima udienza fissata per il giudizio, se il rito non contempla l'udienza preliminare), una volta constatata l'assenza dell'imputato, che non sia stato raggiunto da una notifica a mani della vocatio in iudicium e che non abbia addotto alcun legittimo impedimento a comparire, a verificare la sussistenza di altri indici di conoscenza -non presunti né tipizzati ex ante dal legislatore ma accertati nel caso concreto - dai quali sia possibile affermare che l'imputato è a conoscenza del giudizio. In presenza di elementi di tale tenore, sarà possibile procedere sul presupposto che l'imputato abbia volontariamente rinunciato al suo diritto di partecipare al giudizio. In sostanza, sarà il giudice a valutare in modo autonomo la capacità informativa di atti di natura diversa (es. l'interrogatorio), sottraendo così l'interessato ai rigidi automatismi decisori fondati su presunzioni.

L'alternativa al processo senza imputato: la sentenza inappellabile di non doversi procedere

Qualora il giudice non ritenga provate la conoscenza della pendenza del processo e che l'assenza è dovuta a una scelta volontaria e consapevole, dovrà, in base alla lettera e) della legge delega, pronunciare sentenza inappellabile di non doversi procedere. Si sostituisce, dunque, al provvedimento di sospensione del processo di cui all'art. 420-quater c.p.p., l'emissione di un provvedimento definitorio (seppure efficace rebus sic stantibus), delegando il Governo a prevedere innanzitutto che le ricerche della persona nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza inappellabile di non doversi procedere proseguano fino alla scadenza del doppio dei termini di prescrizione del reato. Il criterio direttivo evidenzia la necessità che le ricerche dell'imputato non si svolgano a singhiozzo allo scadere di ogni anno dalla pronuncia dell'ordinanza che ha sospeso il processo, come avviene in base all'attuale disciplina (salvo che il giudice non ravvisi l'esigenza di disporle prima), ma che si sviluppino senza soluzione di continuità. Si precisa, inoltre, in linea con quanto attualmente previsto dall'art. 420-quater c.p.p. che durante le ricerche, su richiesta di parte, debba essere prevista la possibilità di assumere le prove non rinviabili, osservando le forme previste per il dibattimento.

Diversamente dal provvedimento di sospensione che sin da subito è sembrato essere destinato a pochi soggetti – coloro che non siano mai entrati in contatto con l'autorità giudiziaria, i quali siano poi risultati irreperibili o ai quali, a prescindere dalla dichiarazione ex art. 159 c.p.p., e in difetto di indici presuntivi di conoscenza, ex art. 420-bis comma 2 c.p.p., non sia stato possibile notificare l'atto a mani ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p. – il nuovo provvedimento di non doversi procedere pare rivolto ad una platea di soggetti ben più ampia dovendo, come detto, essere emesso ogni qualvolta non vi sia la prova certa della conoscenza della pendenza del processo e che l'assenza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole e quindi, in ipotesi, anche in molte delle situazioni in cui attualmente si procede sulla base di una mera presunzione di conoscenza del procedimento.

Naturalmente all'estensione dell'ambito di operatività di tale provvedimento corrisponderà un ridimensionamento del numero dei casi in cui si procederà in assenza dell'interessato. Ciò solo apparentemente a discapito dell'efficienza del sistema che, anziché impiegare energie per giudicare soggetti assenti che ex post potrebbero vanificare l'attività svolta, accedendo ai rimedi che l'ordinamento offre a chi erroneamente è processato in assenza, potrà impiegare diversamente le sue risorse. Ma non è solo questo il valore aggiunto delle indicazioni del legislatore delegato. Il Governo è anche chiamato a prevedere che una volta rintracciata la persona ricercata, l'autorità giudiziaria proceda alla revoca della sentenza inappellabile di non doversi procedere e alla fissazione di una nuova udienza per la prosecuzione, udienza di cui l'imputato dovrà essere notiziato mediante notifica a mani proprie o con altre modalità comunque idonee a garantire che lo stesso venga a conoscenza della data e del luogo del processo (v. lett. b)). In sostanza, con tale indicazione s'intende orientare il Governo a superare i limiti dell'attuale assetto normativo che non disciplina in modo soddisfacente l'attività di ricerca dell'assente inconsapevole. L'attività della polizia giudiziaria appare, infatti, diretta a consentire l'identificazione dell'interessato e l'elezione di un domicilio, non anche l'instaurazione di un rapporto effettivo tra imputato e autorità che procede al processo. In effetti, tali adempimenti formali non garantiscono affatto, nel vigente sistema, che l'interessato acquisisca, dopo la revoca della sospensione, conoscenza della nuova udienza fissata dal giudice per lo svolgimento del giudizio. Non essendo, infatti, previsto che la notificazione di tale atto avvenga a mani del destinatario esiste il rischio che si proceda in assenza senza alcuna certezza in ordine alla volontà dell'imputato di non comparire alla nuova udienza.

Nell'esercizio della delega, il Governo dovrà, poi, stabilire che nel periodo compreso tra la sentenza di non doversi procedere e il momento in cui la persona ricercata è rintracciata, il termine di prescrizione resti sospeso. Naturalmente la sospensione non operererà sine die ma solo fino al termine di estinzione del reato nel caso in cui sia superato il doppio dei termini stabiliti dall'art. 157 c.p. Rispetto all'attuale disciplina la riforma prevede, dunque, un allungamento dei termini di prescrizione, allo scopo di evitare che il meccanismo sospensivo (recte il provvedimento di non doversi procedere) spinga l'imputato a sottrarsi dolosamente al processo, al solo scopo di far maturare i termini di prescrizione del reato. In effetti, attualmente, in base all'art. 159 c.p., nel caso di sospensione del procedimento per assenza dell'imputato (ex art. 420-quater c.p.p.), si sospende anche la prescrizione per un periodo non superiore (ex art. 161 secondo comma, c.p.) a un quarto del termine massimo, elevabile alla metà in funzione del reato per il quale si procede e dell'eventuale recidiva: ciò determina, almeno quanto ai processi per fatti non particolarmente gravi, il rischio della sospensione fino alla maturazione della prescrizione.

Le indicazioni in tema di latitanza

Sebbene, come si è visto, lo spirito della riforma sia quello di riaffermare il principio in base al quale si può procedere in assenza dell'imputato solo se si ha la certezza che la sua mancata partecipazione al processo è volontaria, dovendo il giudice in mancanza di questa prova pronunciare sentenza inappellabile di non doversi procedere, il Governo è autorizzato (lett. f)) a prevedere una disciplina derogatoria per il processo nei confronti dell'imputato latitante, consentendo di procedere in sua assenza anche qualora non si abbia certezza dell'effettiva conoscenza della citazione a giudizio e della sua rinuncia a comparire al dibattimento, prevendendo contestualmente la possibilità per tale soggetto di accedere ad un rimedio successivo. Il senso di questa deroga si coglie ponendo mente al fatto che il Governo è contestualmente chiamato a rivedere la disciplina di cui agli articoli 295 e 296 del codice di procedura penale, al fine di assicurare che la dichiarazione di latitanza sia sorretta da specifica motivazione circa l'effettiva conoscenza della misura cautelare e la volontà del destinatario di sottrarvisi. L'intento pare quello di superare l'attuale regime in cui la dichiarazione di latitanza nasconde spesso situazioni molto diverse e difficili da distinguere per riaffermare che lo status di latitante presuppone un inequivoco atteggiamento soggettivo da parte del ricercato volto ad eludere l'esecuzione di un provvedimento cautelare emesso dall'autorità, atteggiamento soggettivo che non può essere presunto ma deve essere oggetto di specifico accertamento. Sicché una volta verificata la sussistenza di tale situazione e, quindi, ove non sussistano dubbi sulle ragioni per le quali non è stato possibile rintracciare l'interessato, il processo si potrà svolgere in absentia, prevedendo contestualmente la possibilità per l'assente di accedere al rimedio restitutorio. La legge delega pare, infatti, avere fatto proprie le indicazioni contenute nella direttiva (UE) 343/2016 riguardo alla posizione del latitante. In particolare, dalla lettura del considerando n. 39 emerge che anche nei casi di “fuga o latitanza”, ovvero di comportamenti che sottintendono la volontà di sottrarsi alla giustizia, si deve garantire all'interessato informato della decisione la possibilità di impugnarla e il diritto ad un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale. Nel sistema delineato dal legislatore europeo, la semplice qualità di latitante o la condizione di fuggitivo non è sufficiente a presumere che l'imputato fosse a conoscenza del suo processo e abbia rinunciato a presenziare. Fino al momento in cui non è raggiunto dall'autorità, l'individuo versa in una posizione di assoluta libertà rispetto all'interesse dell'ordinamento alla repressione penale sicché o l'autorità riesce a dimostrare la sua volontà di eludere il processo o, in difetto di tale prova, deve essere riconosciuto all'accusato un pieno recupero delle garanzie perdute. D'altro canto, nel rispetto dei criteri stabiliti nella legge delega, il processo non potrà più svolgersi in assenza nei confronti dei soggetti cui non sia stato possibile notificare l'ordinanza cautelare, ove manchi la prova della volontaria sottrazione all'esecuzione del provvedimento, ciò indipendentemente dal fatto che abbiano avuto un qualche contatto con l'autorità prima del tentativo di notifica non andato a buon fine, dal momento che non dovrebbe più essere sufficiente, ai fini del procedere reo absente, la conoscenza del procedimento. Insomma, ove non risulti provata la volontà del soggetto di sottrarsi al processo di cui non è mai stato informato dall'autorità, il giudice dovrà optare per la sentenza inappellabile di non doversi procedere, in quanto, il fatto di allontanarsi dalla dimora abituale, senza avere ricevuto comunicazione formale di un procedimento a proprio carico, dovrebbe essere considerato un atteggiamento neutro, espressione della originaria autonomia di movimento di cui gode ogni individuo.

I criteri per garantire l'accesso ai rimedi successivi

Le indicazioni che seguono riguardano le garanzie da riconoscere al soggetto che sia stato giudicato senza avere avuto effettiva conoscenza della celebrazione del processo (lett. g) e i)).

In primis, la legge delega precisa che occorrerà ampliare la possibilità di accedere ai rimedi in linea con quanto previsto nell'art. 9 della direttiva (UE) 343/2016. A questa indicazione si accompagna, poi, quella contenuta nella successiva lett. i) in forza della quale occorrerà prevedere che nel provvedimento di esecuzione, sia contenuto l'avviso al condannato che, ove si sia proceduto in sua assenza senza che egli abbia avuto conoscenza del processo, lo stesso potrà ottenere la riapertura del procedimento o la possibilità di accedere ad una impugnazione in grado di fornire un riesame del merito. Dalla combinazione dei due criteri emerge la chiara volontà di rafforzare la possibilità di accedere ai rimedi restitutori, in primis prevedendo che il condannato in assenza sia informato del suo diritto ad un nuovo giudizio, sul presupposto che l'informativa sul diritto sia la prima condizione per il suo esercizio. Riguardo, invece, all'indicazione di ampliare la possibilità di accesso a tali rimedi questa deve essere intesa come un chiaro invito a rivedere l'attuale assetto normativo nella parte in cui subordina l'accesso al nuovo giudizio (a seguito della regressione del procedimento o della rescissione del giudicato) alla prova dell'assenza di colpa nel non aver conosciuto il processo. Tale aspetto dell'attuale disciplina è stato da subito oggetto di critiche in quanto palesemente in contrasto con gli insegnamenti della Corte di Strasburgo che, in diverse occasioni, in costanza del regime contumaciale, ha censurato il nostro ordinamento, chiarendo che la compatibilità convenzionale del giudizio senza l'imputato passa per la possibilità per il medesimo di beneficiare ex post di una tutela effettiva e non illusoria del suo diritto alla presenza. In effetti, il limite maggiore del sistema italiano è sempre stato individuato dal giudice europeo nell'assenza di un meccanismo effettivo volto a concretizzare il diritto delle persone condannate in contumacia ad ottenere che una giurisdizione esamini nuovamente il caso, dopo averle ascoltate sul merito delle accuse, un limite che produceva delle ricadute anche nei rapporti di cooperazione tra Stati.

Non a caso, dopo le marginali modifiche apportate alla disciplina del giudizio contumaciale nel 1999, nel 2005 divenne necessario intervenire nuovamente e l'attenzione del legislatore si concentrò proprio sull'art. 175 comma 2 c.p.p., posto che all'istituto della restituzione nel termine per impugnare era allora affidata la tutela postuma dei diritti del contumace. E, nell'ottica di rendere il rimedio una garanzia non illusoria ma effettiva, il legislatore interveniva sul termine previsto per la richiesta, fissato non più in dieci, ma in trenta giorni decorrenti da quello in cui l'imputato aveva avuto effettiva conoscenza del provvedimento e stabiliva che l'imputato contumace fosse restituito nel termine per impugnare all'unica condizione che ne facesse richiesta, fatta eccezione per i casi in cui avesse avuto conoscenza del procedimento o del provvedimento e avesse volontariamente rinunciato a comparire o a proporre impugnazione (od opposizione a decreto penale). L'accertamento di tali circostanze era rimesso all'autorità giudiziaria, chiamata a compiere ogni necessaria verifica, sicché l'imputato non doveva più soddisfare alcun onere probatorio, e l'accesso al rimedio cessava di essere una mera possibilità, assurgendo al rango di diritto. Anche perché l'eventuale dubbio in ordine all'esistenza o meno dei presupposti richiesti dall'art. 175 comma 2 c.p.p. avrebbe giocato a favore del contumace. Fu proprio grazie a tale modifica normativa che il contenzioso con il giudice di Strasburgo subì una battuta d'arresto. Difficile è, dunque, comprendere perché la l. 28 aprile 2014, n. 67, abbia reintrodotto quell'onere probatorio, subordinando l'accesso ai diversi rimedi alla prova «che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo». Si è trattato, invero, di una scelta improvvida che ha vanificato fortemente la portata innovativa della riforma. Infatti, sebbene il novero dei rimedi esperibili dal soggetto giudicato in assenza sia stato ampliato e permetta un più ampio recupero delle garanzie difensive perdute, l'averne subordinato la fruibilità all'assolvimento di un gravoso onere probatorio li rende non facilmente accessibili, in palese contrasto con gli insegnamenti del giudice di Strasburgo e, ora, della direttiva che configura la possibilità di avvelersi del rimedio restitutorio come un diritto incondizionato a godere di una seconda chance.

Il Governo è, dunque, chiamato a rimodulare l'attuale disciplina, assicurando che chi sia stato inconsapevolmente giudicato in assenza possa ottenere un nuovo giudizio senza dover dimostrare l'assenza di colpa nel non aver conosciuto la celebrazione del processo.

Le novità in tema di impugnazioni: mandato ad hoc e nuovi termini per il difensore

La legge delega prevede l'introduzione di qualche novità anche nella disciplina delle impugnazioni. Nello specifico, in base alla lettera h) il Governo dovrà stabilire che il difensore dell'imputato assente possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza. Contestualmente, dovrà disporre che l'imputato, coerentemente con i principi espressi nell'art. 1 comma 6 della legge delega in materia di notificazioni, nel rilasciare il mandato a impugnare provveda ad eleggere domicilio. A tutela delle esigenze di pieno e impregiudicato esercizio del diritto di difesa, la modifica è accompagnata dall'allungamento dei termini per impugnare a favore del difensore. L'intervento sulla legittimazione ad impugnare – come ben sottolineato dalla Commissione Lattanzi – rappresenta uno snodo essenziale, sia in chiave di effettiva garanzia dell'imputato, sia in chiave di razionale e utile impiego delle risorse giudiziarie: la misura è, infatti, volta ad assicurare la celebrazione delle impugnazioni solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza da parte dell'imputato giudicato in assenza in modo da evitare l'inutile celebrazione di gradi di giudizio destinati ad essere travolti dalla rescissione del giudicato. Ciò senza che ne derivi un pregiudizio per il diritto di difesa in quanto le modifiche che contestualmente devono essere apportate alla disciplina dei rimedi 'restitutori' mirano a renderli accessibili e, dunque, effettivi. La previsione del mandato ad hoc per impugnare non è una novità per il nostro sistema. Nella sua versione originaria il codice del 1988 prevedeva, infatti, che il difensore potesse proporre impugnazione contro una sentenza contumaciale solo se munito di specifico mandato (art. 571 comma 3 c.p.p.), e, dall'altro, stabiliva che l'imputato potesse essere restituito nel termine per impugnare, ricorrendone i presupposti, purché l'impugnazione non fosse già stata proposta dal difensore (art. 175 comma 2 c.p.p.). Non si sarebbe, dunque, mai potuto assistere ad una duplicazione di giudizi, in quanto il difensore avrebbe potuto impugnare la sentenza pronunciata in contumacia solo se munito di uno specifico mandato. E l'imputato non avrebbe mai potuto ottenere la restituzione nel termine nel caso in cui l'impugnazione fosse già stata proposta dal suo difensore. Si trattava di una disciplina mutuata da quella contenuta nel codice previgente, volta proprio ad evitare che autonome iniziative del difensore potessero precludere al contumace la restituzione nel termine. Come è noto, questo assetto fu oggetto di critiche ritenendosi da un lato, che ne derivasse una ingiustificata compressione del ruolo della difesa tecnica e, dall'altro, una totale negazione del diritto di impugnare nei casi, non infrequenti, in cui il soggetto non avesse potuto essere restituito nel termine per essersi sottratto volontariamente alla conoscenza del giudizio, o per la difficoltà di provare l'assenza di colpa nel non avere conosciuto il provvedimento. In realtà, quel limite era tutt'altro che irragionevole e al fine di assicurare maggiore tutela al diritto di difesa, sarebbe stato necessario intervenire sulla disciplina della restituzione nel termine per impugnare che poneva a carico del contumace un onere probatorio talmente gravoso e da soddisfare entro termini così brevi da rendere quasi impossibile l'accesso al rimedio restitutorio. Si decise, invece, di eliminare il mandato ad hoc ovvero di compensare i limiti della disciplina allora vigente con un ampliamento delle prerogative del difensore.

La riproposizione di tale requisito appare congrua rispetto al nuovo assetto che la legge delega si propone di dare al giudizio in assenza. Essa, infatti, risponde alla logica efficientistica che anima tutta la riforma, in quanto permette di evitare inutili sprechi di risorse. Non potrà, infatti, più accadere che dopo l'esperimento da parte del difensore di tutte le impugnazioni, i diversi gradi di giudizio siano travolti dalla rescissione del giudicato, in quanto l'impugnazione verrà proposta solo su delega specifica dell'interessato che ha acquisito contezza della sentenza pronunciata in sua assenza. E questi, naturalmente, in quanto a conoscenza del processo, come attestato dal rilascio dello specifico mandato al difensore, non potrà successivamente pretendere (salvi, ovviamente, casi limite) di accedere al rimedio restitutorio post iudicatum. Forse risulterà un po' sacrificato l'autonomo potere di valutazione del difensore rispetto all'interesse ad impugnare soprattutto nelle situazioni in cui è difficile stabilire un contatto con il proprio assistito, ma questo limite dovrebbe essere compensato dalla ridefinizione dell'ambito di operatività dell'istituto della rescissione cui si potrà accedere, senza la necessità di assolvere alcun onere probatorio, per ottenere la revoca di ogni sentenza di condanna in absentia non impugnata e quindi passata in giudicato.

In conclusione

Le coordinate del nuovo processo in assenza delineano un quadro piuttosto coerente e finalmente rispettoso dei principi enucleati dal giudice di Strasburgo, poi recepiti dalla direttiva (UE) 343 /2016.

Si interviene in nome dell'efficienza, ma in una prospettiva di maggior rispetto dei diritti coinvolti che non dovrebbero conoscere compressioni in nome di altri valori.

In effetti, le modifiche suggerite, oltre a realizzare un risparmio di tempi e risorse, paiono volte a garantire una maggiore tutela del diritto alla presenza processuale.

Due, essenzialmente i fronti di intervento: quello dei rimedi preventivi all'assenza attraverso il riconoscimento di una serie di garanzie informative che sono il presupposto per l'instaurazione di un contraddittorio in nuce e per l'esercizio del diritto alla presenza, stabilendo finalmente che il giudizio non possa svolgersi nei confronti di un soggetto che non abbia ricevuto la notifica a mani dell'avviso della data e del luogo della prima udienza; quello dei rimedi successivi, attraverso l'eliminazione di ogni onere probatorio in capo al soggetto assente in modo da rendere, l'accesso alla tutela postuma del diritto, effettivo e certo.

Il primo effetto di questi interventi dovrebbe essere il ridimensionamento del numero dei casi in cui si procede in assenza, ciò solo apparentemente a discapito dell'efficienza del sistema.

Un sistema processuale che si arresta di fronte all'impossibilità di raggiungere il soggetto accusato sembra non in grado di rispondere alle esigenze di giustizia e vittima di possibili strumentalizzazioni, in realtà è un sistema che non impiega inutilmente risorse per la pronuncia di un provvedimento di accertamento destinato ad essere posto nel nulla, magari dopo l'inutile esperimento di diversi gradi di giudizio, a fronte dell'attivazione da parte dell'assente dei rimedi che l'ordinamento gli offre per recuperare le prerogative connesse alla presenza processuale.

Naturalmente, si tratta di una opzione che è stata giustamente accompagnata dalla previsione di alcuni correttivi, al fine di preservare al contempo le esigenze di accertamento, ed è in questa chiave mi pare che dovranno essere lette e attuate le indicazioni in tema di latitanza e di decorso e sospensione della prescrizione.

Al contempo, dovranno essere modulati con attenzione e il riferimento ad “altre modalità” di notificazione della vocatio in iudicium alternative a quella a mani – previsione con cui traduce il riferimento ad 'altri mezzi' contenuto nella direttiva – e il criterio che autorizza a prevedere la possibilità per il giudice, sulla base di un accertamento in concreto, di procedere comunque in assenza, al di fuori di notifica a mani della vocatio in iudicium, ove sussistano delle circostanze che provino la conoscenza del processo in capo all'interessato e, dunque, che l'assenza è dovuta ad una scelta volontaria. Infatti, se non si vuole vanificare lo spirito e la coerenza dell'impianto riformatore questi criteri non dovranno rappresentare l'occasione per continuare ad attribuire valore a forme di notifica destinate a garantire solo la conoscenza legale.

Guida all'approfondimento

AA.VV., Il giudizio in assenza dell'imputato, in Vigoni (a cura di), Torino, 2015; Belluta, Le impugnazioni come rimedi ripristinatori: verso il giusto processo in assenza dell'imputato, in Daniele – Paulesu (a cura di), Strategie di deflazione penale e rimodulazione del giudizio in absentia, Torino, 2015, 249; Biscardi, Eclissi della contumacia e sospensione per irreperibilità, tra conoscenza legale e conoscenza reale del processo, in Processo penale e giustizia, 2014, 6, 108; Bricchetti – Cassano, Il procedimento in absentia. Principi sovranazionali e profili applicativi a confronto, Milano, 2015, 83; Canestrini, Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? Da Strasburgo una nuova condanna per la disciplina del processo contumaciale italiano, in Cass. pen., 2017, 362; Caprioli, “Giusto processo” e rito degli irreperibili, in Leg. pen., 2004, 589; Ciavola, Alcune considerazioni sulla nuova disciplina del processo in assenza e nei confronti degli irreperibili, in Riv.trim.dir.pen.cont., 2015, 214; Conti – Tonini, Il tramonto della contumacia, l'alba radiosa della sospensione e le nubi dell'assenza “consapevole”, in Dir pen. proc., 2015, 514; AA.VV., Il giudizio in assenza dell'imputato, a cura di Vigoni, Torino, 2015; Filippi, Il processo in absentia, in Id. (a cura di), Equo processo: normativa italiana ed europea a confronto, Padova, 2006, 232;Mangiaracina, Garanzie partecipative e giudizio in absentia, Torino, 2010, 147; Ead., Il “tramonto” della contumacia e l'affermazione di una assenza “multiforme”, in Leg. pen., 2014, 4, 563; Moscarini, La contumacia dell'imputato, Milano, 1997; Id., Una riforma da tempo necessaria: l'abolizione della contumacia penale e la sospensione del processo contro l'imputato irreperibile, in Conti- Marandola- Varraso (a cura di), Le nuove norme sulla giustizia penale, Padova, 2014, 270; Nacar, Il processo in absentia tra fonti internazionali, disciplina codicistica e recenti interventi riformatori, Padova, 2014; Negri, Il processo nei confronti dell'imputato “assente” al tortuoso crocevia tra svolgimento e sospensione, in Daniele- Paulesu (a cura di), Strategie di deflazione penale e rimodulazione del giudizio in absentia, Torino, 2015, 221; Nerucci-Trinci, Riforma Cartabia: la delega in tema di notificazioni, in Il penalista, 21 settembre 2021; Quattrocolo, Il contumace cede la scena processuale all'assente, mentre l'irreperibile l'abbandona. Riflessioni a prima lettura sulla nuova disciplina del procedimento senza imputato, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 30 aprile 2014.

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