Tutela delle vittime da “codice rosso”: la legge n. 134/2021 amplia le ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza

11 Ottobre 2021

La legge 27 settembre 2021, n. 134, con l'articolo 2, comma 15 è intervenuta, tra l'altro, sull'art. 380 c.p.p., relativo ai delitti per i quali è obbligatorio procedere all'arresto in flagranza di reato. La disposizione inserisce nel catalogo di tali delitti la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa di cui all'art. 387-bis c.p.
Premessa

La legge 27 settembre 2021, n. 134, con l'articolo 2, comma 15 è intervenuta, tra l'altro, sull'art. 380 c.p.p., relativo ai delitti per i quali è obbligatorio procedere all'arresto in flagranza di reato.

La disposizione inserisce nel catalogo di tali delitti la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa di cui all'art. 387-bis c.p.

Quest'ultima stabilisce che chiunque, essendovi legalmente sottoposto, violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari di cui agli articoli 282-bis e 282-ter del codice di procedurapenale o dall'ordine di cui all'articolo 384-bis del medesimo codice è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Le ipotesi di arresto obbligatorio e facoltativo nel codice di procedura penale

Al fine di comprendere la portata del novum, va premesso che l'arresto è una misura coercitiva di natura precautelare mediante la quale un soggetto, in presenza dei requisiti di legge, viene provvisoriamente privato della libertà personale; in quanto tale si differenzia dall'arresto quale pena detentiva prevista per le contravvenzioni dal codice penale, all'art. 17.

L'arresto presuppone la sussistenza dello stato di flagranza: ai sensi dell'art. 382 c.p.p., lo stato di flagranza è la condizione di chi viene colto nell'atto di commettere il reato, ovvero di chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (c.d. quasi flagranza), con la precisazione che il requisito della sorpresa del reo con cose o tracce del reato non richiede la diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, né che la “sorpresa” non avvenga in maniera casuale, ma solo l'esistenza di una stretta contiguità fra la commissione del fatto e la successiva sorpresa del presunto autore di esso con le “cose” o le “tracce” del reato e dunque il susseguirsi, senza soluzione di continuità, della condotta del reo e dell'intervento degli operanti a seguito della percezione delle cose o delle tracce (Cass. pen., Sez. IV, 16 settembre 2008, n. 46159).

La flagranza è dunque configurabile tutte le volte che sia possibile stabilire un nesso tra il soggetto ed il reato, in particolare con l'elemento materiale dello stesso, dovendo la condotta in cui il reato si sostanzia essere ancora in corso, sicché sussiste un rapporto di contestualità tra il comportamento del reo e l'intervento della polizia giudiziaria.

Quanto alla nozione di quasi flagranza, va detto che la stessa si caratterizza per lo stretto collegamento tra la condotta commissiva del reato, o quella ad essa immediatamente successiva, e la percezione della medesima da parte della polizia giudiziaria. Tale collegamento sussiste laddove la polizia giudiziaria abbia avuto immediata e contestuale percezione della commissione del reato e, in forza della stessa, abbia posto in essere una tempestiva attività di localizzazione ed apprensione degli autori del reato, nonché quando sia trascorso un certo lasso di tempo, anche non breve, durante il quale, però, l'azione della polizia giudiziaria si sia svolta senza soluzione di continuità, anche per l'espletamento degli accertamenti volti a qualificare la gravità del fatto, al fine di valutare l'esercizio della facoltà di arresto (Cass. pen., sez. V, 17 giugno 2014, n. 26017). È illegittimo l'arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell'immediatezza del fatto, poiché, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di ‘quasi flagranza', la quale presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all'arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l'indiziato (Cass. Pen., sez. VI, 20 dicembre 2016, n. 643)

L'arresto ha carattere strumentale perché tende ad evitare che il tempo necessario all'accertamento penale possa compromettere la proficuità dell'azione giudiziaria. La sua adozione mira a scongiurare le conseguenze pregiudizievoli che possano scaturire da situazioni di pericolo. Può trattarsi di un pericolo di inquinamento o di dispersione delle fonti di prova, di reiterazione della condotta criminosa, di sottrazione alla esecuzione della condanna nel caso di affermazione di penale responsabilità.

Stante la stretta correlazione con la situazione di pericolo che lo giustifica, l'arresto ha carattere provvisorio e, cioè, è destinato ad estinguersi nel momento in cui viene meno l'esigenza che con esso si è inteso perseguire.

Deve poi distinguersi tra due tipologie di arresto: obbligatorio e facoltativo.

Per quanto riguarda in particolare l'arresto obbligatorio, l'art. 380 c.p.p. individua quali soggetti legittimati ad eseguirlo gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria purché ricorrano le seguenti condizioni:

  1. la persona da arrestare deve essere colta in stato di flagranza (o quasi flagranza);
  2. la flagranza deve riguardare un delitto non colposo, consumato o tentato;
  3. per il delitto commesso deve essere prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni.

I reati alla presenza dei quali è legittimo procedere all'arresto in una situazione di flagranza o quasi flagranza sono individuati attraverso un duplice criterio. Il primo è di natura quantitativa, dovendosi trattare di delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni (art. 380, comma 1).

Il secondo si caratterizza sotto un profilo qualitativo, contemplando un elenco tassativo di fattispecie di reato per le quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, ferma restando la necessità della sussistenza dei requisiti di cui ai numeri 1) e 2), a prescindere dai limiti edittali di pena (art. 380, comma 2).

Si tratta, tra l'atro, dei delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori, previsti dall'articolo 572 e dall'articolo 612-bis del codice penale.

Nel caso in cui taluno sia colto in flagranza di un delitto perseguibile a querela, l'arresto è eseguito se la querela viene proposta oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo.

L'arresto facoltativo in flagranza eseguito per un reato perseguibile a querela è illegittimo qualora quest'ultima non sia stata proposta dalla persona offesa all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo, come richiesto dalla norma, non rilevando che essa sia stata presentata altrove nella stessa giornata (Cass. pen., n. 12309 del 2017).

In taluni casi, il codice riconosce all'autorità giudiziaria la facoltà di valutare discrezionalmente l'opportunità di procedere o meno ad un arresto in flagranza: si parla perciò di arresto facoltativo (art. 381 c.p.p.).

L'arresto in flagranza diviene dunque facoltativo nei casi di flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero di un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Inoltre, ufficiali ed agenti di P.G. hanno la facoltà di arrestare chiunque sia colto nella flagranza dei delitti tassativamente indicati dall'art. 381 c.p.p.

Condizioni generali affinché gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possano procedere all'arresto facoltativo sono:

  1. stato di flagranza;
  2. delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni;
  3. delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

La valutazione discrezionale della P.G. è ulteriormente condizionata da quanto stabilito nel comma quarto dell'articolo in esame, il quale stabilisce che, in presenza delle condizioni sopra indicate, la P.G. è facoltizzata ad eseguire l'arresto soltanto ove la misura sia giustificata, alternativamente o cumulativamente:

1) dalla gravità del fatto; trattasi di un parametro di carattere oggettivo che può reputarsi sussistente in presenza degli indici di cui al comma 1 dell'art. 133 c.p., dettati dal codice penale al giudice ai fini della determinazione della pena, consistenti in: a) natura, specie, mezzi, oggetto, tempo e luogo dell'azione; b) gravità del danno e o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; c) intensità del dolo e grado della colpa;

2) dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto; trattasi di un parametro di carattere soggettivo per cui il codice fa riferimento a due criteri: la personalità dell'indagato e le circostanze del fatto. Per la prima si può richiamare il disposto dell'art. 133 c.p. con particolare riferimento al comma 2 dello stesso. Esso è vicino a quello di pericolosità sociale utilizzato dall'art. 203 c.p. quale presupposto per l'applicazione di misure di sicurezza, in quanto richiede di effettuare una valutazione prognostica circa la condotta che l'indagato terrà in futuro, ma non si sovrappone a quest'ultimo, in quanto la misura precautelare interviene in una fase in cui non vi ancora alcuna sentenza irrevocabile da eseguire e con una finalità completamente diversa. Per le seconde si tratta di valorizzare in chiave soggettiva gli indici già rilevanti a livello di gravità del fatto.

Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno altresì facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di un delitto espressamente indicati nell'art. 381, comma 2, c.p.p., ad esempio: peculato mediante profitto dell'errore altrui; violenza o minaccia a un pubblico ufficiale; corruzione di minorenni; lesione personale; truffa; furto; danneggiamento aggravato; ecc.

Si osserva che l'aggettivo “facoltativo” non deve trarre in inganno: concedere alla polizia la “facoltà” di procedere all'applicazione della misura restrittiva nei casi previsti dalla norma e subordinare, al contempo, tale facoltà alla condizione che l'arresto sia giustificato dalla gravità del fatto, ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità e dalle circostanze del fatto come esige il successivo art. 381, comma 4 c.p.p., sta ad indicare che non di “facoltà” vera e propria si tratta, bensì di quella particolare forma di dovere definibile come “discrezionalità” o “discrezionalità normativamente orientata”. Anche l'arresto facoltativo è atto dovuto in ognuno dei contesti configurati dai commi 1 e 2 dell'art. 381 c.p.p. Non è consentito l'arresto della persona richiesta di fornire informazioni, dalla p.g. o dal p.m., per reati concernenti il contenuto delle informazioni o il rifiuto di fornirle. Del tutto eccezionale è l'arresto facoltativo, anche fuori dai casi di flagranza, di chi assume la qualità di “evaso” (385 c.p.).

Il novum legislativo nel contesto ordinamentale di tutela della vittima di particolari categorie di reato

La riforma integra la lettera l-ter) del comma 2 dell'art. 380 c.p., la quale attualmente già consentiva l'arresto obbligatorio in flagranza dei delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) e di atti persecutori (art. 612-bis c.p.), inserendo accanto agli stessi, in un'ottica di tutela dei cd. “codici rossi”, l'art. 387-bis c.p.

Tale ultimo articolo è stato inserito nel codice penale dalla l. 19 luglio 2019, n. 69, relativa ai cd. “codici rossi”, punendo il delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

In particolare, detto articolo stabilisce che chiunque, essendovi legalmente sottoposto, violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. o dall'ordine di cui all'art. 384-bis del medesimo codice è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Pur essendo collocata tra i delitti contro l'amministrazione della giustizia, ed in particolare contro l'autorità delle decisioni giudiziarie, la fattispecie tutela anche la persona (o le persone) a salvaguardia delle quali è stato adottato uno dei provvedimenti di cui agli artt. 282-bis, 282-ter e 384-bis c.p.p., violato dal soggetto attivo del delitto di cui all'art. 387 bis c.p. (B. Romano, Codice rosso (profili penali sostanziali), in Dig. Disc. Pen., 2021, 142 ss.).

Al fine di comprendere appieno il delitto per cui è oggi preveduto l'arresto obbligatorio in flagranza, è opportuno chiarire preliminarmente cosa dispongano gli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. e l'art. 384-bis, stesso codice, nonché le ulteriori disposizioni ad esse collegate.

In particolare, l'art. 282-bis c.p.p. è stato introdotto nel codice di rito penale dall'art. 1, comma 2, della l. 4 aprile 2001, n. 154, recante Misure contro la violenza nelle relazioni familiari.

Con il nuovo art. 282-bis c.p.p. si è arricchito il panorama delle misure cautelari esistenti prevedendo che, con il provvedimento che dispone l'allontanamento, il giudice possa prescrivere all'imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede. Qualora sussistano esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro (B. Romano, Codice rosso (profili penali sostanziali), cit., 142 ss.).

Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli artt. 570, 571, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-septies.1, 600-septies.2, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612, comma 2, 612 bis del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 280 c.p.p., e pure con le modalità di controllo previste all'art. 275-bis c.p.p.

L'art. 282-ter c.p.p., a sua volta, è stato inserito nel codice di procedura penale dall'art. 9, comma 1, lett. a), d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, in l. 23 aprile 2009, n. 38.

In particolare, con l'inserimento nel codice di rito dell'art. 282-ter, si è introdotta una nuova misura coercitiva personale, che può essere disposta nel corso del procedimento penale, consistente nel divieto di avvicinamento dell'imputato ai luoghi frequentati dalla persona offesa ovvero nell'obbligo di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, e ciò (con modifica dovuta all'art. 15 comma 2, l. 19 luglio 2019, n. 69) anche disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'art. 275 bis c.p.p. (B. Romano, Codice rosso (profili penali sostanziali), cit., 142 ss.).

In presenza di ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone. Quando la frequentazione dei luoghi precedentemente individuati sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.

Per rendere effettivi ed efficaci i provvedimenti di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p., l'art. 9 comma 1 lett. a), d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, in l. 23 aprile 2009, n. 38, ha introdotto nel codice procedura penale l'art. 282-quater, relativo ai cd. obblighi di comunicazione.

Quanto all'art. 384-bis c.p.p., rubricato Allontanamento d'urgenza dalla casa familiare, si prevede che gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica, l'allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all'art. 282 bis, co. 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l'integrità fisica o psichica della persona offesa (B. Romano, Codice rosso (profili penali sostanziali), cit., 142 ss.).

Va poi brevemente richiamata anche la disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari esistenti in sede civile, segnatamente la legge 4 aprile 2001, n. 154, recante Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, che, oltre a prevedere la possibile adozione di misure cautelari da parte del giudice penale, prevede misure analoghe (consentendo qui gli opportuni rinvii) ad opera del giudice civile.

Nell'impianto originario della legge n. 154/2001, il giudice civile poteva adottare l'ordine di protezione, su richiesta di parte, ma solo se il fatto non costituiva reato perseguibile d'ufficio. Rimaneva, così, una lacuna nell'ipotesi che il fatto costituisse reato perseguibile d'ufficio (e, dunque, il giudice civile non poteva intervenire), e, allo stesso tempo, con limiti edittali o nomen iuris diversi da quelli per i quali il giudice penale potesse agire ai sensi dell'art. 282 bis c.p.p. (B. Romano, Codice rosso (profili penali sostanziali), cit., 142 ss.).

L'art. 1, della legge 6 novembre 2003, n. 304 ha reso possibile il ricorso del giudice civile all'ordine di protezione anche nell'eventualità che si sia in presenza di un fatto che può presentare i caratteri del reato perseguibile d'ufficio.

In tal modo, se si è colmata la lacuna, si è però determinata la astratta possibilità di adozione congiunta della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare, ai sensi dell'art. 282-bis c.p.p., e dell'ordine di protezione di cui all'art. 342 bis c.c.

Per effetto del d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 e delle modifiche dovute all'art. 2 comma 1, lett. b), sono state inserite al secondo comma dell'art. 388 c.p., dopo le parole “a chi elude”, le seguenti: “l'ordine di protezione previsto dall'articolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora”.

La violazione delle prescrizioni imposte ai sensi degli artt. 282-bis, 282-ter e 384-bis c.p.p. aveva, fino all'introduzione dell'art. 387 bis c.p., rilevanza sul piano processualpenalistico (B. Romano, Codice rosso (profili penali sostanziali), cit., 142 ss.).

In particolare, rilevava quanto previsto dall'art. 276 c.p.p., in base al quale, in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell'entità, dei motivi e delle circostanze della violazione. Ma occorre anche considerare il quarto comma dell'art. 299 c.p.p. stabiliva che, fermo quanto previsto dal citato art. 276, stesso codice, quando le esigenze cautelari risultano aggravate, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, sostituisce la misura applicata con un'altra più grave ovvero ne dispone l'applicazione con modalità più gravose o applica congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva.

Quanto alla fattispecie di cui all'art. 387-bis c.p., soggetto attivo può essere chiunque sia legalmente sottoposto agli obblighi o ai divieti derivanti dalle misure cautelari o precautelari menzionate nel medesimo articolo; né potrebbe avere rilievo l'eventuale successiva revoca o non convalida della misura (B. Romano, Codice rosso (profili penali sostanziali), cit., 142 ss.).

Poiché la norma fa generico riferimento alla violazione degli obblighi o dei divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. o dall'ordine di cui all'art. 384 bis del medesimo codice, si potrebbe concludere che la violazione costituente reato potrebbe riferirsi a qualunque prescrizione impartita dal giudice con uno dei provvedimenti citati, e non solo all'allontanamento dalla casa familiare o al divieto di avvicinamento (B. Romano, Codice rosso (profili penali sostanziali), cit., 142 ss.). Tuttavia, tale opzione, pur in presenza di una norma tecnicamente imperfetta, e delle comprensibili ragioni di tutela della persona, ci sembra ampli eccessivamente l'ambito del penalmente rilevante: preferiremmo che, in quelle ipotesi, potessero rilevare esclusivamente i richiamati provvedimenti di aggravamento delle misure in sede processuale (B. Romano, Codice rosso (profili penali sostanziali), cit., 142 ss.).

In conclusione

È così possibile comprendere le ragioni dell'inserimento della previsione del delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, disciplinato dall'art. 387 bis c.p., tra le ipotesi tassative per cui è previsto l'arresto obbligatorio.

Benché sussistessero i richiamati rimedi di stampo processualpenalistico, in relazione alle misure di cui agli artt. 282-bis, 282-ter e 384-bis c.p.p., la introduzione della norma penale nel novero delle fattispecie di arresto obbligatorio conduce ad affermare che, in presenza delle richiamate condotte illecite, all'inevitabile aggravamento del regime cautelare, si accompagni anche l'irrogazione di un'autonoma sanzione penale e l'applicazione di un ulteriore provvedimento precautelare coercitivo, al pari di quanto avviene per le misure più gravi con il reato di evasione, la cui forbice edittale è molto vicina a quella di cui all'art. 387-bis c.p.

L'innesto, dunque, si colloca nel progressivo rafforzamento della sfera di libertà delle vittime di delitti e condotte che costituiscono estrinsecazione di gravi fenomeni delittuosi, i quali si sono, purtroppo, ripetuti con sempre più inquietante frequenza nella realtà contemporanea.

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