Gli effetti della procedura concordataria sui contratti bancari in essere

Beatrice Simonetti
09 Dicembre 2020

Quali sono gli effetti che il concordato preventivo produce sulle c.d. linee di credito autoliquidanti e, in particolare, nel caso in cui queste ultime siano suscettibili di sospensione e/o scioglimento ex art. 169 bis L.fall.?

Quali sono gli effetti che il concordato preventivo produce sulle c.d. linee di credito autoliquidanti e, in particolare, nel caso in cui queste ultime siano suscettibili di sospensione e/o scioglimento ex art. 169 bis L.fall.?

Caso pratico - La sentenza pronunciata dalla prima sezione civile della Corte di cassazione (Cass. Civ., 15 giugno 2020, n. 11524) trae origine dal reclamo proposto da una banca avverso il provvedimento con cui il Giudice Delegato ha autorizzato - nella procedura di concordato preventivo della società convenuta - lo scioglimento del contratto di anticipazione bancaria in conto corrente contro cessione di credito e annesso patto di compensazione, stipulato dall'allora società in bonis con l'istituto di credito.

Il Tribunale ha rigettato il reclamo rilevando che il contratto fosse ancora “pendente” alla data di presentazione del ricorso con conseguente assoggettabilità dello stesso alla disciplina dello scioglimento ex art. 169 bis l. fall. Difatti, nonostante la banca avesse proceduto all'erogazione del credito prima dell'apertura del concordato, la sua prestazione non poteva dirsi per ciò solo esaurita.

L'istituto creditizio ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, deducendo inter alia violazione o falsa applicazione dell'art. 169 bis l. fall. con riferimento alla nozione di “pendenza” contrattuale.

Il Supremo Consesso ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso e formulato il principio di diritto nell'interesse della legge a norma dell'art. 363 c.p.c.

Spiegazioni e conclusioni - La quaestio iuris attiene agli effetti che la procedura concordataria spiega sulle linee di credito autoliquidanti e, nello specifico, sugli smobilizzi rispetto ai quali la banca abbia già effettuato la propria erogazione a favore del cliente prima dell'apertura del concordato ma la riscossione del credito a copertura della stessa sia avvenuta successivamente.

È d'uopo una premessa: le c.d. operazioni autoliquidanti si compongono di un contratto quadro, che disciplina le singole operazioni di anticipazione bancaria in conto corrente, e alternativamente una cessione di credito pro solvendo o un mandato all'incasso.

Dunque, due sono i negozi possibili. Entrambi perseguono la medesima finalità solutoria o di garanzia ma si distinguono per un elemento di tipo sostanziale. L'uno trasferisce la titolarità, l'altro la legittimazione all'esercizio del diritto creditorio.

Più specificamente, nel primo – la cessione del credito pro solvendo – il cliente cedente offre alla banca cessionaria, a fronte dell'erogazione del credito da parte di quest'ultima, uno o più crediti vantati nei confronti di un terzo debitore ceduto. Il contratto si perfeziona con l'incontro delle volontà di cedente e cessionario in virtù del principio del consenso traslativo ex art. 1376 c.c. Di conseguenza, l'istituto bancario diviene, in qualità di parte cessionaria, immediatamente titolare del diritto di credito e, in quanto tale, unico soggetto legittimato a pretendere il pagamento dal debitore ceduto.

Nel secondo – il mandato all'incasso – il cliente, a fronte dell'erogazione del credito da parte della banca, conferisce a questa mandato all'incasso di modo che essa ottenga, in veste di mandataria, la legittimazione a riscuotere il credito; non invece, a differenza del precedente schema negoziale, la titolarità, che resta in capo al cliente mandante.

Sovente al mandato si aggiunge il c.d. patto di compensazione (o di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto) secondo il quale la banca ha diritto a compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente” (Cass. Civ., 19 febbraio 2016 n. 3336; Cass. Civ., 1 settembre 2011 n. 17999; Cass. Civ., 23 marzo 2001 n. 4205; Cass. Civ., 7 marzo 1998 n. 2539).

Tutto ciò posto, è evidente che, ove l'impresa accedesse ad un concordato liquidatorio, prediligerebbe lo scioglimento da un contratto bancario di tal sorta affinché le somme originariamente spettanti alla banca vadano a rimpinguare l'attivo concordatario, favorendo così la soddisfazione dei creditori concorsuali. Ne discende il precipuo interesse del soggetto, che è ammesso alla procedura, a domandare la sospensione o lo scioglimento dell'operazione autoliquidante in essere ai sensi dell'art. 169 bis l. fall.

Tuttavia, detto interesse va coordinato con la regola generale della prosecuzione dei contratti che vige per l'istituto concordatario (al contrario del fallimento, ove vale il principio della sospensione del contratto fino alla scelta del curatore). Difatti, l'applicazione dell'uno (scioglimento) esclude quella dell'altro (prosecuzione) e viceversa.

Nel caso in esame si dà risposta all'interrogativo circa l'esperibilità del rimedio di cui all'art. 169 bis l. fall., tenendo conto della tempistica del concordato preventivo.

L'individuazione dell'ambito di applicazione dello strumento dello scioglimento del contratto bancario nella procedura minore impone l'analisi di tre tematiche di diritto con ripercussioni dal taglio eminentemente pratico: (i) la definizione di pendenza contrattuale ai sensi e per gli effetti dell'art. 169 bis l. fall.; (ii) l'ammissibilità o meno dello scioglimento dei contratti bancari di anticipazione del credito; (iii) i termini di operatività del patto di compensazione in corso di procedura.

A queste problematiche si cercherà sinteticamente di rispondere di seguito.

Il primo nodo problematico da sciogliere riguarda l'ambito di applicazione dell'art. 169 bis l. fall.

Innanzitutto, occorre rilevare che i rapporti pendenti nel concordato preventivo sono stati disciplinati per la prima volta in modo organico con l'art. 33, comma 1, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella l. 7 agosto 2012, n. 134, che ha introdotto la norma in esame all'interno della legge fallimentare.

Nella versione originaria la rubrica dell'art. 169 bis recitava “contratti in corso di esecuzione”. Ciò dava adito a non poche perplessità.

Parte della dottrina e della giurisprudenza ricavavano invero una disomogeneità applicativa rispetto all'art. 72 l. fall., che utilizzava (e utilizza) la locuzione di “rapporti pendenti” per definire i contratti in essere alla data della dichiarazione di fallimento. In altri termini, il differente lessico adoperato per descrivere i rapporti contrattuali in essere nel fallimento e nella procedura concorsuale minore era ritenuto, da più voci, sintomatico di un diverso regime.

In particolare, si associava all'art. 169 bis un ambito applicativo più esteso, ammettendo la possibilità di sospendere e sciogliere i contratti c.d. unilaterali, quelli parzialmente adempiuti e finanche quelli in cui una parte non avesse eseguito integralmente la propria obbligazione.

I dubbi interpretativi sono stati, poi, appianati dalla novella del 2015 (art. 8, d.l. n. 83 del 2015) che ha modificato l'art 169 bis l. fall. La sua portata innovatrice emerge da due dati letterali: la nuova rubrica “contratti pendenti” e la sostituzione nel corpo normativo dell'espressione “contratti in corso di esecuzione” con quella di “contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti”.

In questo modo viene tracciato un perimetro dai contorni più stringenti. È, infatti, ormai opinione unanime presso la giurisprudenza di legittimità - di cui è portavoce la pronuncia in commento - che siano suscettibili di scioglimento non più i rapporti sinallagmatici eseguiti da una sola parte, bensì da entrambi i contraenti. È così che viene riconosciuta identità contenutistica – quantomeno sotto il profilo dell'oggetto – agli artt. 72 e 169 bis l. fall.

Un altro argomento utile in questa direzione è fornito dall'art. 97 CCI, rubricato “Contratti pendenti”; esso statuisce che i contratti ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data di deposito della domanda di concordato, proseguono anche durante la procedura. Ciò avvalora la tesi secondo cui ad oggi possono sciogliersi solamente i contratti perfezionati in data anteriore all'inizio formale della procedura concorsuale e le cui prestazioni principali appaiono inseguite da ambo le parti.

Sono, invece, isolate quelle pronunce di merito che continuano a sostenere una difformità contenutistica tra gli artt. 72 e 169 bis l. fall. sull'assunto dell'autosufficienza della seconda norma e della mancanza di un espresso richiamo della corrispondente previsione relativa alla procedura fallimentare (art. 72 l. fall.).

Così chiarita la nozione di “pendenza contrattuale” in corso di concordato, è opportuno affrontare la seconda questione problematica, relativa alla sorte di una particolare tipologia contrattuale, le linee di credito autoliquidanti nel concordato preventivo.

Come detto, i contratti di anticipazione bancaria più frequenti sono cessione del credito pro solvendo e mandato all'incasso con patto di compensazione.

È pacifico che il contratto quadro – il quale disciplina le operazioni di anticipazione in conto corrente – sia estinguibile per scioglimento ex art. 169 bis l. fall., atteso che, fintanto che non viene meno il rapporto contrattuale tra le parti, la banca è tenuta a versare le anticipazioni su fatture o altri documenti commerciali fino al raggiungimento del tetto massimo pattuito.

Il discorso varia per le operazioni già eseguite, in attuazione del contratto quadro, precedentemente all'apertura del concordato preventivo e in relazione alle quali non è stato incassato il credito. Se c'è unanimità di vedute relativamente alla cessione del credito, non può dirsi altrettanto per il mandato a riscuotere.

Con riguardo al primo caso, è opinione condivisa che non sussista un problema di pendenza del singolo contratto di anticipazione bancaria, atteso che i suoi effetti si esauriscono al momento del perfezionamento dell'accordo. L'immediato trasferimento del diritto di credito dal cliente alla banca comporta che quest'ultima diventi subito titolare del credito ceduto e che, conseguentemente, possa trattenere le somme riscosse presso il terzo qualora il cedente acceda alla procedura concordataria. Ergo la cessione di credito a scopo di garanzia non può essere sciolta in corso di concordato.

Il mandato all'incasso, invece, ha dato adito a vivaci contrasti dottrinali e giurisprudenziali.

Secondo un orientamento (Trib. Perugia 18 luglio 2018; Trib. Como 3 ottobre 2016; Trib. Milano 28 maggio 2014), la banca, in qualità di mandante, non esaurisce le sue obbligazioni mediante l'anticipazione all'imprenditore dell'importo del credito ma residua a suo capo l'adempimento del mandato all'incasso. Pertanto, il rapporto contrattuale non può dirsi compiutamente esaurito ed è sussumibile nell'art. 169 bis l. fall.

Per contro, la pronuncia in commento della Cassazione sostiene l'opposta tesi interpretativa secondo cui, anche in questo diverso schema negoziale, l'istituto di credito esaurisce la propria prestazione attraverso l'erogazione della somma al cliente.

Trattasi, infatti, di un mandato in rem propriam, in virtù del quale la banca ha un “onere”– e non un obbligo giuridico – ad incassare il denaro presso il terzo e il suo inadempimento ha, come unica conseguenza, la mancata riduzione o estinzione dell'esposizione debitoria. In altre parole, la riscossione è una mera modalità satisfattoria del credito.

Seppure l'attività di incasso si qualificasse come un'obbligazione, sarebbe accessoria e, come tale, inidonea ad incidere sulla nozione di pendenza. Non a caso si è pervenuti al medesimo esito interpretativo nell'ambito del fallimento agli effetti dell'art. 72 l. fall. (Cass. Civ. 30 maggio 1983 n. 3708).

D'altronde, l'espressa qualificazione della riscossione presso terzo come prestazione principale contenuta al comma 14 dell'art. 97 - introdotto dal decreto correttivo al Codice della Crisi - non deve trarre in inganno.

Invero nella Relazione illustrativa del decreto è specificato che la nuova disposizione è volta a sanare i dubbi interpretativi per il futuro. È, dunque, fuor di dubbio che la previsione normativa debba essere letta in chiave innovativa.

Argomentando a contrario, una esplicita indicazione in tal senso non può che confermare che, secondo il quadro normativo ad ora vigente, la banca ha compiutamente eseguito la sua prestazione con l'erogazione dell'anticipazione al cliente.

Ciò detto, si rammenta come sovente il contratto bancario – e in special modo il mandato all'incasso – sia stipulato insieme ad un pactum compensationis, in base al quale la banca anticipa la somma al cliente e, al momento del pagamento da parte di questi, la recupera.

Occorre, allora, rispondere all'ultimo degli interrogativi inizialmente posti, sulla possibilità o meno per l'istituto erogatore di trattenere le somme riscosse successivamente alla presentazione della domanda di concordato, in attuazione della compensazione con quanto anticipato dal creditore anteriormente all'ammissione alla procedura.

Difatti vige, nel concordato come nel fallimento, il divieto di soddisfare al di fuori del concorso formale le ragioni creditorie aventi titolo o causa anteriori all'introduzione della procedura ai sensi degli artt. 169 e 56 l. fall. È la c.d. cristallizzazione, intesa come rigida differenziazione tra debiti anteriori e posteriori al deposito della domanda concordataria.

E ciò ha significative ripercussioni sulla compensazione posto che le obbligazioni - il cui fatto genetico sia successivo alla domanda – non estinguono i controcrediti precedenti ex art. 56, comma 2, l. fall. (Cass. Civ. 22 novembre 2015, n. 24046; Cass. Civ. 20 gennaio 2015, n. 825; Cass. Civ. 21 ottobre 1964, n. 2636; App. Milano 23 febbraio 2016).

Se il patto di compensazione accede alla cessione di credito, la sua pattuizione è pressoché irrilevante, in quanto la banca acquisisce il diritto di incamerare le somme fin dal momento dell'acquisto della titolarità del credito, cioè dal perfezionamento del contratto traslativo.

Se, invece, accede al mandato a riscuotere, sorgono i maggiori dubbi interpretativi perché, come è noto, questo negozio determina l'obbligo del mandatario di restituire al mandante la somma riscossa (non trasferisce la titolarità del credito).

Per lungo tempo il tradizionale orientamento giurisprudenziale (ex multis Cass. Civ. 25 settembre 2017 n. 22277; Cass. Civ. 7 maggio 2009, n. 10548; Cass. Civ. 12 gennaio 2007 n. 578) è stato sfavorevole alla compensazione, da parte della banca, del pagamento del terzo con il credito vantato nei confronti del cliente entrato in procedura concorsuale minore. Questa soluzione trova la sua ragion d'essere nella seguente constatazione. Seppure il credito della banca - derivante dall'anticipazione concessa all'impresa – è antecedente al deposito della domanda di concordato, il corrispondente debito - consistente nella restituzione della somma ricevuta dal terzo ceduto - rinviene il suo fatto genetico nel pagamento incassato, che è invece successivo (alla domanda medesima).

Per converso, capofila di un filone giurisprudenziale innovativo e favorevole alla compensazione è la Cass. Civ. 15 aprile 2011, n. 8752 insieme alla successiva Cass. Civ. 1 settembre 2011, n. 17999, secondo le quali la banca ha sempre diritto a compensare il proprio credito con le somme riscosse successivamente all'ammissione del debitore alla procedura, non essendo ivi operante il principio di cristallizzazione e dello sfasamento temporale di crediti e debiti (ex multis Cass. Civ. 10 aprile 2019 n. 10091; Cass. Civ. 19 febbraio 2016 n. 3336; Cass. Civ. 23 marzo 2001 n. 4205; Cass. Civ. 7 marzo 1998 n. 2539); Trib. Milano 2 marzo 2017; Trib. Vicenza 12 giugno 2015).

A coronamento di questo filone giurisprudenziale, si pronunzia nell'anno corrente la Suprema Corte (Cass. Civ. 15 giugno 2020 n. 11524), occupandosi per la prima volta di un caso sorto dopo l'entrata in vigore della modifica dell'art. 169 bis l. fall. (datata 11 settembre 2012).

La Prima Sezione valorizza il collegamento negoziale esistente tra contratto di anticipazione e mandato all'incasso con patto di compensazione per sostenere come i rispettivi debiti e crediti tra banca e cliente traggano origine da un unico complesso rapporto obbligatorio.

In quest'ottica, si parla di compensazione impropria, la quale realizza l'elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza. È un mero accertamento contabile di saldi attivi e passivi che sono annotati nel medesimo conto corrente.

Ne discende l'inapplicabilità dell'art. 56 l. fall. per l'istituto di credito, il quale può legittimamente tenere presso di sé le somme riscosse dopo l'apertura del concordato preventivo.

Normativa

  • Art. 169 bis l. fall.
  • Art. 72 l. fall.
  • Art. 56 l. fall.
  • Art. 97 CCI

Per approfondire

  • F. CESARE, Ammissibili lo scioglimento e/o la sospensione delle linee di credito autoliquidanti, in Il fallimentarista.it, 17 maggio 2019;
  • V. BISIGNANO, Linee di credito autoliquidanti e scioglimento ex art. 169 bis l.fall., in Ilfallimentarista.it, 28 gennaio 2016.