È revocata la disposizione testamentaria a favore del legittimario se il de cuius conferisce al bene un'altra destinazione
12 Ottobre 2021
Il caso. Un uomo, con testamento pubblico, riconosceva, in parti uguali, a due figli, l'asse ereditario al netto dei legati e delle quote di legittima lasciate al coniuge e al terzo figlio. In particolare, con riferimento a quest'ultimo, la quota di legittima avrebbe dovuto formarsi mediante il distacco di una porzione dalla maggiore superficie di un fondo. Il de cuius, poi, aveva disposto in favore della moglie anche l'usufrutto di un terreno e sui mobili di arredo della casa di abitazione. Veniva proposta causa successoria dalla signora nei confronti dei tre figli dinanzi al Tribunale di Palermo. La decisione veniva poi impugnata davanti alla Corte d'Appello della stessa città, la quale confermava la pronuncia di prime cure nella parte relativa alla formazione della quota di legittima del figlio e riconosceva agli altri due figli, seguendo le volontà testamentarie, l'asse ereditario in parti uguali. Avverso la sentenza della Corte territoriale la figlia del de cuius proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di sei motivi. Uno dei figli proponeva ricorso incidentale adesivo al ricorso principale, escludendo il quarto motivo. L'altro erede resisteva in giudizio con controricorso.
Osservazioni. In particolare, con il quarto motivo di ricorso si lamenta il fatto che la Corte palermitana abbia operato una divisione ereditaria, conformemente all'istituzione testamentaria, non tenendo però conto delle donazioni di beni, di valore diverso, fatte ai discendenti dal de cuius. Una tale soluzione si ritiene legittima solo se le donazioni siano state elargite con dispensa da collazione. In assenza di dispensa, invece, le donazioni fatte in vita dal de cuius, al coniuge e ai discendenti, condizionano il riparto poiché il valore delle quote ereditarie si commisura anche sulle donazioni. La funzione della collazione, infatti, è quella di conservare tra gli eredi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, consentendo ai coeredi di calcolare il valore della quota non soltanto sui beni relitti ma altresì su quelli donati in vita a ciascuno di loro. Pertanto, se i coeredi sono stati gratificati con atti di liberalità di diversa entità, il coerede donatario che ha ricevuto di meno deve recuperare la differenza sui beni relitti, salvo il conferimento in natura da parte di chi ha ricevuto di più, se consentito. La Corte d'Appello ha proceduto a suddividere il relictum in parti uguali tra i due figli non perché ha riconosciuto che le donazioni fossero state fatte con dispensa, ma per il fatto che ciascuno dei coeredi donatari aveva avuto più della legittima. Orbene, la Suprema Corte ritiene questa considerazione irrilevante in quanto le donazioni, tra le parti di cui all'art. 737 c.c., sono soggette a collazione anche se non lesive della legittima. Nel caso in esame nessuno dei due coeredi donatari ha conferito in natura le donazioni e, quindi, ad avviso dei Supremi Giudici la sentenza va cassata in relazione a tale motivo e rinviata alla Corte d'Appello affinchè operi la divisione dei beni relitti, tenendo conto delle donazioni ricevute in vita dai coeredi senza dispensa, nella misura in cui il valore complessivamente donato a uno dei due superi il valore donato all'altro. Il coerede che ha ricevuto di meno, quindi, avrà diritto a concorrere alla ripartizione del relictum in misura maggiore, in modo che, una volta conteggiate le donazioni ricevute in vita, sia assicurata la proporzione stabilita dal testatore. Inoltre, con il quinto motivo di ricorso, si fa rilevare che la disposizione testamentaria relativa alla formazione della porzione del terzo figlio doveva intendersi revocata per effetto di successivi comportamenti del testatore. Infatti, nel lasso di tempo intercorso tra la formazione del testamento e l'apertura della successione, il de cuius aveva posto in essere una pluralità di atti di disposizione da cui risultava che aveva dato al fondo una destinazione incompatibile con la volontà espressa nella scheda testamentaria. Si ritiene significativo il raffronto con la disciplina dettata dall'art. 686 c.c. per il legato, il quale deve intendersi revocato anche quando la cosa oggetto di legato sia stata trasformata dal testatore. Ad avviso dei giudici di legittimità la disposizione in esame viene intesa dalla parti e dalla Corte territoriale come norma impartita dal testatore, ex art. 733 c.c. , ossia come assegno divisionale semplice. In particolare, per assegno divisionale semplice deve intendersi un legato obbligatorio a carico degli altri coeredi, i quali sono obbligati a lasciare che il bene, o la categoria di beni indicati dal testatore, siano inclusi nella porzione ereditaria dell'onorato. Orbene, l'art. 686 c.c. prevede la presunzione di revoca non soltanto nel caso di alienazione ma altresì in quello di trasformazione della cosa legata, che ricorre quando essa ha perduto la precedente forma e la primitiva denominazione. Trattasi di una presunzione iuris tantum che può essere vinta da prova contraria. Per la Cassazione la trasformazione così intesa può verificarsi anche in relazione a una disposizione testamentaria, ai sensi dell'art. 733 c.c., e rileva se sia riconducibile alla volontà del testatore. Per i giudici di piazza Cavour è ammessa dunque la revoca tacita.
Conclusione. La Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza in oggetto, accoglie il quarto e quinto motivo del ricorso principale, rigetta i primi tre, dichiara inammissibile il sesto motivo e, in quanto tardivo, il ricorso incidentale adesivo a quello principale proposto da un controricorrente. Cassa il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti, rinviando la causa alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, la quale deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Fonte: dirittoegiustizia.it |