Gli illeciti e le sanzioni disciplinari previsti dall'ordinamento penitenziario

Leonardo Degl'Innocenti
15 Ottobre 2021

L'ordinato svolgimento della vita intramuraria è assicurato dal c.d. “regime disciplinare” (art. 36 ord. penit.), strutturato sul tradizionale binomio ricompensa - punizione. La prima costituisce il riconoscimento del senso di responsabilità mostrato dal detenuto nella condotta personale e nelle attività organizzate nell'Istituto di pena (art. 37 ord. penit.), la seconda si ricollega alla commissione di una condotta che il regolamento penitenziario qualifica come infrazione disciplinare (artt. 38, 39 e 40 ord. penit.).
Le infrazioni disciplinari

L'ordinato svolgimento della vita intramuraria è assicurato dal c.d. “regime disciplinare” (art. 36 ord. penit.), strutturato sul tradizionale binomio ricompensa - punizione.

La prima costituisce il riconoscimento del senso di responsabilità mostrato dal detenuto nella condotta personale e nelle attività organizzate nell'Istituto di pena (art. 37 ord. penit.), la seconda si ricollega alla commissione di una condotta che il regolamento penitenziario qualifica come infrazione disciplinare (artt. 38, 39 e 40 ord. penit.).

In forza di quanto prevede il citato art. 36 ord. penit. il regime disciplinare deve essere attuato in modo da stimolare il senso di responsabilità e la capacità di autocontrollo del detenuto; la finalità che il legislatore ha assegnato al regime disciplinare ha indotto la dottrina ad evidenziare come esso non costituisca soltanto uno strumento di gestione del carcere, ma rappresenti anche un elemento che concorre al trattamento collocandosi nella più ampia prospettiva del finalismo rieducativo della pena (cfr., in argomento, M. G. COPPETTA, in Ordinamento Penitenziario Commentato, Padova 2019, pagg. 514 e s.)

L'art. 38 comma 1 ord. penit. prevede il principio di tipicità delle infrazioni disciplinari stabilendo che i detenuti e gli internati non possono essere puniti per un fatto che non sia espressamente previsto come infrazione dal regolamento.

L'art. 77 del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), nei numeri da 1) a 21) del primo comma, descrive le condotte integrative dell'illecito disciplinare ordinate “secondo una scala di tendenziale crescente gravità” (così Cass. pen. sez. I, 15 luglio 2021, n. 33748, D'Avola, n.m.).

A tali condotte devono aggiungersi quelle previste direttamente dalla legge penitenziaria e costituite: dal ritardo ingiustificato nel rientro dal permesso per gravi motivi (art. 30, comma 3 ord. penit.) e dal permesso premio (art. 30-ter, comma 6 ord. penit.) nonché, limitatamente al detenuto ammesso ad espiare la pena in regime di semilibertà, dal ritardo ingiustificato nel rientro serale (art. 51, comma 2, ord. penit.) o nel rientro dalla licenza premio (art. 52, ultimo comma, ord. penit.).

Il secondo comma del citato art. 77 stabilisce, poi, che le sanzioni disciplinari previste dall'ordinamento penitenziario sono inflitte anche nell'ipotesi di tentativo.

L'illecito disciplinare può integrare gli estremi di una condotta costituente reato.

In tal caso trova applicazione l'art. 331 c.p.p. e pertanto l'Autorità penitenziaria competente per il procedimento disciplinare deve provvedere, quando si profila un reato perseguibile d'ufficio, nei termini indicati dal comma 4 della norma inoltrando alla Procura della Repubblica competente per territorio la relativa denuncia.

In tal caso il Regolamento attribuisce al Consiglio di Disciplina la facoltà di sospendere il procedimento disciplinare in attesa dell'esito del procedimento penale (art 79 d.P.R. n. 230 del 2000).

In materia di rapporti tra infrazione disciplinare e illecito penale la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato, con riferimento ai reati di resistenza od oltraggio a pubblico ufficiale (artt. 337 e 341-bis c.p.) ed al reato di danneggiamento aggravato (art. 635 cpv. c.p.), che non costituisce una violazione del principio di ne bis in idem di cui all'art. 649 c.p.p. (divieto di un secondo giudizio), l'irrogazione, per lo stesso fatto sanzionato penalmente, anche di una sanzione disciplinare prevista dall'ordinamento penitenziario in quanto tale ultima sanzione non può essere equiparata, per qualificazione giuridica, natura o grado di severità, a quella penale secondo l'interpretazione data dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo nella causa “Grande Stevens contro Italia” del 4.3.2014 (cfr., per quanto attiene rispettivamente al reato di resistenza a pubblico ufficiale e al reato di oltraggio a pubblico ufficiale, Cass. pen. sez. VI, 12 novembre 2019, n. 1645, Montella, in CED Cass. n. 278099 e Cass. pen. sez. VI, 9 maggio 2017, n. 31873, Basco, in CED Cass. n. 270852; per ciò che riguarda il reato di danneggiamento aggravato di beni dell'Amministrazione, Cass. pen. sez. II, 16 febbraio 2018, n. 23043, Gentile, n.m., nonché Cass. pen. sez. II, 20 giugno 2017, n. 43435, Cataldo, n.m., ove si afferma che «divieto di bis idem tra procedimento disciplinare e procedimento penale non è stato fin qui affermato dalla Corte EDU, che anzi lo ha espressamente escluso … come peraltro già chiarito nel Rapporto esplicativo al Protocollo 7 e, comunque, alla sanzione disciplinare de qua, in applicazione dei cc.dd. “criteri Engel”, non può essere attribuita natura penale»; sulla natura della sanzione disciplinare cfr. anche Cass. pen. sez. I, 9 maggio 2017, n. 31873, Basco, n.m., infra par. 4).

Nel procedimento disciplinare dell'Amministrazione penitenziaria opera, invece, il principio del divieto di bis in idem nel senso che, una volta concluso il procedimento a carico di un detenuto o di un internato, è preclusa la possibilità di una riapertura dello stesso finalizzata all'applicazione di una sanzione disciplinare per lo stesso fatto tenuto conto della natura sanzionatoria del procedimento e della mancanza di una esplicita previsione normativa che la consenta (cfr., in termini, Cass. pen. sez. I, 3 marzo 2021, n. 15865, E., in CED Cass. n. 281190).

Le sanzioni disciplinari

Il principio di tipicità vige non solo con riguardo alle infrazioni, ma opera anche rispetto alle sanzioni applicabili: al detenuto o internato che si sia reso responsabile di una delle infrazioni disciplinari previste dal più volte menzionato art. 77 d.P.R. n. 230 del 2000 o direttamente dalla legge penitenziaira può essere applicata soltanto una delle sanzioni contemplate dell'art. 39, comma 1, nn. 1) - 5), ord. penit. e cioè:

  1. richiamo;
  2. ammonizione;
  3. esclusione delle attività ricreative e sportive per non più di dieci giorni;
  4. isolamento durante la permanenza all'aria aperta per non più di dieci giorni;
  5. esclusione dalle attività in comune per non più di quindici giorni.

Le sanzioni del richiamo e dell'ammonizione sono disposte dal Direttore dell'Istituto mentre le più gravi sanzioni previste dai ricordati nn. 3), 4) e 5) sono irrogate dal Consiglio di Disciplina dell'Istituto.

In ogni caso, in forza di quanto prevede l'art. 38 comma 3 ord. penit. l'Autorità penitenziaria nell'applicare la sanzione disciplinare deve tener conto della natura e della gravità dell'infrazione commessa, del comportamento e delle condizioni personali del detenuto (criterio di proporzionalità).

Altro criterio al quale è vincolata l'Autorità competente a decidere è quello previsto dall'art. 77 comma 3 del d.P.R. n. 230 del 2000 in forza del quale la sanzione dell'esclusione dalle attività in comune non può essere inflitta per le infrazioni disciplinari previste dai numeri da 1) a 8) del primo comma della stessa norma salvo il caso di c.d. recidiva specifica infra trimestrale e cioè il caso in cui l'infrazione sia stata commessa nel termine di tre mesi dalla commissione di una precedente infrazione della stessa natura.

Mette conto evidenziare che, eccezione fatta per quanto previsto dalla norma regolamentare da ultimo richiamata, la disciplina vigente non prevede alcuna correlazione tra l'illecito disciplinare e la sanzione applicabile, la scelta di quest'ultima è pertanto rimessa alla valutazione discrezionale dell'Amministrazione penitenziaria.

In quest'ottica è agevole comprendere l'importanza del criterio stabilito dall'art. 38, comma 3, ord. penit., la cui applicazione dovrà trovare riscontro nella motivazione del provvedimento sanzionatorio.

L'art. 78 del regolamento di esecuzione prevede che, in caso di assoluta urgenza, determinata dalla necessità di prevenire danni a persone o a cose, nonché l'insorgenza o la diffusione di disordini o in presenza di fatti di particolare gravità per la sicurezza e l'ordine dell'Istituto, il Direttore può disporre, in via cautelare, con provvedimento motivato, che il detenuto o l'internato, che abbia commesso una infrazione sanzionabile con la esclusione dalle attività in comune, permanga in una camera individuale, in attesa della convocazione del Consiglio di Disciplina.

Subito dopo l'adozione del provvedimento cautelare, il sanitario visita il soggetto e rilascia la certificazione prevista dall'ordinamento penitenziario.

Il Direttore attiva e svolge al più presto il procedimento disciplinare.

La durata della misura cautelare disciplinare non può comunque eccedere i dieci giorni, mentre il tempo trascorso in misura cautelare si detrae dalla durata della sanzione eventualmente applicata.

Come detto l'art. 36 ord. penit. prevede espressamente che il regime disciplinare deve essere adeguato alle condizioni fisiche e psichiche dei detenuti ed internati e deve, altresì, stimolare il senso di responsabilità e la capacità di autocontrollo dei medesimi.

Coerentemente con questi principi l'art. 80 del regolamento contempla la possibilità di sospendere condizionalmente l'esecuzione della sanzione disciplinare applicata, per il termine di sei mesi, quando si presuma che il responsabile si asterrà dal commettere ulteriori infrazioni.

Qualora il detenuto e l'internato commetta, entro il predetto termine, altre infrazioni disciplinari, la sospensione è revocata e la sanzione è eseguita; in caso contrario l'infrazione è estinta.

L'autorità che ha deliberato la sanzione può, inoltre e per eccezionali circostanze, condonarla (art. 80 D.P.R. n. 230 del 2000).

Il sistema disciplinare è, dunque, “informato ai principi di tipicità, offensività e gradualità” (cfr., in termini, Cass. pen. sez. I, 15 luglio2021, n. 33748, D'Avola, n.m., cit.).

Per concludere, deve essere evidenziato come la Suprema Corte abbia affermato che in tema di ordinamento penitenziario l'istituto della prescrizione non è applicabile alla sanzione disciplinare definitivamente inflitta all'interessato, ma non espiata (così Cass. pen. sez.I, 2 luglio 2020, n. 23463, Attanasio, in CED Cass. n. 279442, con la quale è stato osservato come una siffatta opzione normativa non comporti una lacuna giustificativa di un'integrazione analogica del sistema in quanto nel settore in esame, diverso dal diritto penale proprio, gli interessi primari della tutela della libertà personale e della risocializzazione non ricorrono necessariamente o, comunque, possono risultare sub valenti rispetto all'esigenza del mantenimento dell'ordine e della sicurezza interna agli Istituti di pena).

Il procedimento disciplinare

Il legislatore ha inteso vincolare l'esercizio del potere disciplinare attribuito agli organi della Amministrazione penitenziaria ad alcune garanzie fondamentali in modo da assicurare al detenuto la facoltà di difendersi e di contestare davanti al Giudice di sorveglianza il provvedimento applicativo della sanzione disciplinare, che, come tutti i provvedimenti amministrativi (art. 3 comma 1 della legge n. 241 del 1990) deve essere adeguatamente motivato (come noto la norma da ultimo richiamata dispone che la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria)

L'art. 38 comma 2 ord. penit. stabilisce che nessuna delle ricordate sanzioni disciplinari può essere inflitta se non con provvedimento motivato dopo la contestazione dell'addebito all'interessato, il quale è ammesso ad esporre le proprie discolpe.

L'art. 81 d.P.R. n. 230 del 2000 scandisce, pertanto, i tempi ed i modi del procedimento disciplinare finalizzato all'applicazione di una delle ricordate sanzioni disciplinari stabilendo:

  1. la constatazione diretta o indiretta da parte dell'operatore penitenziario della commissione di un'infrazione disciplinare e la redazione di un rapporto, contenente tutte le circostanze del fatto, che deve essere trasmesso al Direttore dell'Istituto per via gerarchica;
  2. la contestazione formale al detenuto da parte del Direttore ed alla presenza del Comandante del reparto del relativo addebito “sollecitamente e non oltre dieci giorni dal rapporto” con contemporanea informazione del diritto dell'interessato ad esporre le proprie discolpe;
  3. gli eventuali accertamenti ulteriori sul fatto svolti dal Direttore direttamente o a mezzo del personale dipendente; 4) la convocazione diretta dell'interessato davanti al Direttore o la convocazione del Consiglio di Disciplina entro dieci giorni dalla contestazione dell'addebito.

Nel corso dell'udienza l'accusato ha facoltà di essere sentito e di esporre personalmente le proprie discolpe.

La sanzione disciplinare viene deliberata e pronunciata nel corso della predetta udienza o dell'eventuale sommario processo verbale e il provvedimento definitivo è tempestivamente comunicato dalla Direzione al detenuto o all'internato nonché al Magistrato di Sorveglianza oltre ad essere annotato nella cartella personale.

Tale scansione, anche temporale, del procedimento mira a salvaguardare le esigenze di difesa dell'incolpato che deve avere il tempo materiale per articolare una eventuale difesa, in aderenza alle Regole Penitenziarie Europee del 2006 (Raccomandazione 2006/2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle regole penitenziarie europee), le quali, alla regola n. 59, prevedono che: «... i detenuti accusati di un'infrazione disciplinare devono: 1. essere prontamente informati, in dettaglio e in una lingua che comprendono, in merito alla natura delle accuse rivolte contro di loro; 2. avere tempo e mezzi adeguati per la preparazione della loro difesa; 3. avere il permesso di difendersi da soli o per mezzo di un assistente legale qualora ciò sia necessario nell'interesse della giustizia; 4. avere il permesso di ottenere la presenza di testimoni e di interrogarli o farli interrogare; 5. avere l'assistenza gratuita di un interprete qualora non comprendano o non parlino la lingua usata nel procedimento».

Tanto premesso deve essere ricordato come la Corte di Cassazione abbia avuto modo di affermare che:

  • la contestazione di una violazione disciplinare può essere delegata dal Direttore al Comandante del Reparto di Polizia Penitenziaria (cfr., in termini, Cass. pen. sez. I, 5 febbraio 2008, n. 8986, Campisi, in CED Cass. n. 239512 e Cass. pen. sez. I, 3 luglio2008, n. 29940, Campisi, in CED Cass. 240935) e deve avvenire in forma chiara e precisa (cfr. Cass. pen. sez. I, 12 novembre 2009, n. 48828, Mele, in CED Cass. n. 245904);
  • l'applicazione di una sanzione disciplinare deve necessariamente essere preceduta della contestazione della relativa violazione «pena la lesione di principi fondamentali di garanzia e la conseguente illegittimità della decisione adottata, in tal senso sindacabile dal giudice» (cfr. Cass. pen. sez. I, 16 settembre 2013, n. 42420, Barretta, in CED Cass. n. 42420 e, in senso conforme, Cass. pen. sez. I, 21 dicembre 2017, n. 16914/2018, Palumbo, in CED Cass. n. 272786, a tenore della quale «[...] l'omissione della previa contestazione dell'addebito al detenuto nelle forme previste dalla normativa regolamentare ha effetti sulla validità del provvedimento adottato, dovendo intercorrere tra il momento della contestazione e quello dell'udienza disciplinare un ragionevole lasso temporale in modo da consentire all'incolpato di predisporre adeguata difesa»);
  • è illegittimo il provvedimento di irrogazione di una sanzione disciplinare adottato senza l'osservanza non soltanto delle modalità ma anche dei termini previsti dalle ricordate disposizioni mentre la tardiva comunicazione all'interessato della decisione assunta nei suoi confronti non è causa di nullità posto che non determina alcuna lesione del diritto di difesa, ma rileva unicamente per quanto attiene alla decorrenza dei termini di impugnazione del provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare (così Cass. pen. sez. I, 26 giugno2017, n. 33848, Attanasio, in CED Cass. n. 270832);
  • nel caso di rituale contestazione dell'addebito ove il detenuto abbia volontariamente rinunciato a presentarsi davanti al Direttore dell'Istituto o a partecipare all'udienza dinanzi al Consiglio di Disciplina, non sussiste l'obbligo di comunicare allo stesso, oltre al dispositivo del provvedimento con cui è stata deliberata la sanzione adottata, anche la relativa motivazione poiché questi può acquisire la motivazione del provvedimento e conoscere il contenuto del provvedimento la cui esistenza gli è stata comunicata (cfr., in termini, Cass., Sez. I, 12 settembre 2018, n. 57891, Attanasio, in CED Cass. n. 275316).

Ciò ricordato deve, però, essere evidenziato che ogni violazione della scansione procedimentale prevista dall'art. 81 d.P.R. n. 230 del 2000, costituente appunto una violazione del diritto di difesa dell'interessato, deve, in caso di contestazione dell'infrazione davanti al Consiglio di Discplina, essere eccepita, a pena di decadenza, al momento dell'apertura dell'udienza trovando applicazione le regole generali dettate in materia di deducibilità delle nullità e, quindi, anche la disposizione dell'art. 182 commi 2 e 3 c.p.p. a tenore della quale la violazione deve essere eccepita dalla parte che abbia patito una lesione delle sue facoltà prima del compimento della attività processuale cui essa si riferiva (cfr., in questo senso, Cass. pen. sez. I, 15 febbraio 2021, n. 22381, Corso, n.m; Cass. pen. sez. I, 22 settembre 2020, n. 30038, Corso, in CED Cass. n. 279773; Cass. pen. sez. I, 6 marzo 2020, n. 13805, Dell'Aquila, in CED Cass. e n. 278894 e Cass. pen. sez. I, 18 aprile 2019, n. 33145, Pagano, in CED Cass. n. 276722).

Il regime delle impugnazioni

L'art. 69 ord. penit. nel testo risultante dalle modificazioni introdotte dal decreto legge 23.12.2013 n. 146, convertito con modificazioni nella legge 21 febbraio 2014 n. 10, prevede che avverso i provvedimenti applicativi di sanzioni disciplinari il condannato può proporre, entro il termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento applicativo della sanzione stessa, reclamo al Magistrato di Sorveglianza ex art. 35-bisord. penit.

Il sindacato esercitabile dal Magistrato di Sorveglianza concerne le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell'organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa nonché, nei soli casi previsti dall'art. 39, comma 1 nn. 4) e 5), ord. penit. (e cioè nei casi in cui siano state inflitte le sanzioni disciplinari dell'isolamento e dell'esclusione dalle attività in comune), anche il merito del provvedimento adottato, escluso di contro nei casi in cui è stata inflitta una delle altre sanzioni disciplinari previste dai nn. 1), 2) e 3) del primo comma della citata norma.

Il riferimento al merito del provvedimento riguarda essenzialmente due aspetti: la fondatezza dell'addebito (insussistenza del fatto, non attribuibilità dello stesso al detenuto) e la violazione del principio di proporzionalità tra illecito commesso e sanzione inflitta (ipotesi che nel diritto amministrativo integra quella particolare, e residuale, fattispecie sintomatica dell'eccesso di potere costituita dalla ingiustizia manifesta).

La Corte di Cassazione ha ripetutamente escluso che siffatta differenziazione in ordine ai motivi deducibili sia in contrasto con l'art. 24 Cost. (cfr. Cass. pen. sez. I, 31 marzo 2021, n. 21348, Graviano, in CED Cass. n. 281227, giusta la quale è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 35-bis e 6, comma 6, lett. a), ord. penit., sollevata per contrasto con gli artt. 3, 113 e 117 Cost. in relazione all'art. 6 CEDU, nella parte in cui riservano al Magistrato di Sorveglianza, investito di un reclamo contro una sanzione disciplinare diversa dall'isolamento e dall'esclusione dalle attività in comune, un sindacato limitato ai profili di legittimità della sanzione stessa e del relativo procedimento e gli inibiscono ogni valutazione di merito, non costituendo tale scelta legislativa per gli illeciti meno gravi fonte di irrazionale disparità di trattamento, concernendo la garanzia costituzionale di cui all'art. 113, comma 2, Cost. il solo controllo giurisdizionale di legittimità degli atti, anche sanzionatori, adottati dalle pubbliche amministrazioni, che le citate disposizioni dell'ordinamento penitenziario non rinnegano, e potendosi considerare penali sotto il profilo contenutistico, ai fini dell'applicazione delle garanzie di cui all'art. 6 CEDU, le sole sanzioni disciplinari carcerarie più severe, interferenti con beni personali primari del detenuto, tra i quali non rientra la mera esclusione temporanea dalle attività ricreative e sportive; nello stesso senso cfr. Cass. pen. sez. VII 25 gennaio 2019, n. 10487, Carolei, in CED Cass. n. 276351, a tenore della quale non appare «arbitraria una tale scelta legislativa per gli illeciti meno gravi e conservando comunque il detenuto la possibilità di dispiegare incidentalmente piene difese in eventuali procedimenti nei quali le condotte sanzionate disciplinarmente dovessero, ad altri fini, acquisire rilevanza»; cfr. anche Cass. pen. sez. I, 30 maggio 2019, n. 30379, Gallico, in CED Cass. n. 276605, secondo la quale al Magistrato di Sorveglianza, investito di un reclamo contro una sanzione disciplinare diversa dall'isolamento e dall'esclusione dalle attività in comune, è preclusa ogni valutazione nel merito della sanzione stessa].

Il reclamo giurisdizionale di cui all'art. 35-bis ord. penit. si svolge nelle forme previste per il procedimento in contraddittorio ex artt. 666 e 678 c.p.p.

A questo riguardo occorre evidenziare come la deduzione di motivi di reclamo non consentiti in ragione della tipologia della sanzione disciplinare adottata si risolva in una causa di inammissibilità dell'impugnazione che potrà essere dichiarata dal Magistrato di Sorveglianza ai sensi dell'art. 666 comma 2 c.p.p. con provvedimento de plano (cfr., in termini, Cass. pen. sez. I, 16 dicembre 2019, n. 766, Inserra, n.m., la quale afferma che «... il magistrato di sorveglianza correttamente ha dichiarato inammissibile il reclamo per motivi attinenti al merito non sindacabili da esso magistrato, essendo stata inflitta una sanzione diversa da quelle di cui all'art 39, comma 1, n. 4 e 5 …)»; nello stesso senso cfr. Cass. pen. sez. I, 10 novembre 2017, n. 56501, Vitale, n.m. e Cass. pen. sez. I, 5.12.2012, n. 25470, Caratozzolo, n.m.).

Avverso il decreto di inammissibilità pronunciato dal Magistrato di Sorveglianza è esperibile il ricorso per Cassazione e non il reclamo al Tribunale di Sorveglianza (cfr., in relazione al reclamo ex art. 35-ter ord. penit. e tra le altre, Cass. pen. sez. I, 19 luglio 2016, n. 38808, Carcione, in CED Cass. n. 268119 e Cass. pen. sez. I, 16.7.2015, n. 46967, Mecikian, in CED Cass. n. 265366).

Nei confronti dell'ordinanza con la quale il Magistrato di Sorveglianza definisce (eventualmente anche nel merito) il reclamo dell'interessato è, di contro, esperibile unicamente reclamo al Tribunale di Sorveglianza nel termine di dieci giorni dalla notificazione o della comunicazione dell'avviso di deposito della decisione stessa (cfr., al riguardo, Cass. pen. sez. I, 21 dicembre 2017, n. 16914, Palumbo, in C.E.D. Cass. n. 272785, che ha escluso che l'ordinanza emessa dal Magistrato di Sorveglianza sia impugnabile con ricorso immediato per Cassazione “essendo tale provvedimento privo della natura di sentenza ed espressamente impugnabile col reclamo al Tribunale di sorveglianza”).

Il reclamo deve essere corredato, a pena di inammissibilità, dall'indicazione dei motivi, vale a dire nella specifica indicazione delle ragioni di fatto e di diritto per le quali viene censurato il provvedimento impugnato.

Il Tribunale decide all'esito del procedimento in contraddittorio appunto regolato dall'art. 678 c.p.p. con ordinanza impugnabile con ricorso per Cassazione per violazione di legge (art 35-bis comma 4-bis ord. penit.)

Con l'ordinanza che accoglie il reclamo il Giudice annulla il provvedimento applicativo della sanzione disciplinare che si configura come un atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo in quanto emesso da una Autorità amministrativa (a seconda dei casi il Direttore o il Consiglio di Disciplina dell'Istituto) nell'esercizio di una funzione amministrativa conferita dalla legge in vista della tutela di un determinato interesse pubblico (la salvaguardia dell'ordinato svolgimento della vita intramuraria).

In proposito deve essere evidenziato che la natura amministrativa del provvedimento applicativo di una sanzione disciplinare è stata affermata da Cass. pen. sez. I, 9 maggio 2017, n. 31873, Basco, n.m., cit., con la quale la Corte ha escluso che la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attività in comune per non più di quindici giorni abbia natura penale in quanto essa «comporta soltanto una diversa modalità della restrizione carceraria ed è suscettibile di dare luogo ad un aggravamento dello status detentionis assai modesto, visti la durata ed il grado di intensità dell'inasprimento al regime limitativo della libertà personale. Si tratta di misura non commensurabile con nessuna delle sanzioni previste dal sistema penale come pene principali e, finanche, delle misure alternative alla pena detentiva» (in merito anche alla natura della sanzione disciplinare cfr. anche le pronunce della S.C. di Cassazione riportate infra par. 1).

Per concludere, deve essere evidenziato come l'ordinanza di annullamento abbia natura costitutiva ed effetto retroattivo producendo l'eliminazione ex tunc del provvedimento impugnato (c.d. effetto demolitorio o caducatorio) anche se detta ordinanza può produrre altri effetti che dipendono dalle ragioni giuridiche dell'annullamento e che si aggiungono all'effetto eliminatorio (in argomento cfr. G. MELCHIORRE NAPOLI, in La tutela preventiva e compensativa dei diritti dei detenuti, a cura di F. FIORENTIN, Torino, 2019, pagg. 248 e ss).

Ad esempio, qualora l'annullamento sia stato determinato dall'accertamento della insussistenza del fatto addebitato al detenuto, lo stesso potrà ottenere la rivalutazione in bonam partem della domanda di liberazione anticipata che il Magistrato di Sorveglianza aveva rigettato sul presupposto che nel corso di quel semestre la condotta intramuraria risultava essere stata inficiata dalla commissione dell'infrazione disciplinare sanzionata con il provvedimento poi annullato (sul punto cfr., però e tra le altre, Cass. pen. sez. I, 8 marzo 2019, n. 35796, De Martino, in CED Cass. n. 276615, giusta la quale le decisioni in tema di liberazione anticipata, una volta divenute definitive, precludono il successivo riesame del comportamento del condannato in relazione al medesimo periodo già preso in considerazione).

Nel caso in cui l'annullamento del provvedimento applicativo della sanzione disciplinare sia stato determinato dalla accertata sussistenza di vizi attinenti al procedimento lo stesso non produce, invece, alcun effetto vincolante rispetto alla valutazione ed alla decisione che il Magistrato di Sorveglianza è chiamato ad effettuare in materia di liberazione anticipata con la conseguenza che il Giudice anche in presenza di una decisione di annullamento fondata su tali ragioni potrà rigettare la domanda di riduzione pena ove ritenga la condotta posta in essere dal detenuto dimostrativa della mancata partecipazione all'opera di rieducazione (cfr., in termini e tra le altre, Cass. pen. sez. I, 8 ottobre 2020, n. 13233, Piccinini, in CED Cass. n. 280985, a tenore della quale in tema di liberazione anticipata il Tribunale di Sorveglianza può tenere conto, al fine della reiezione della relativa istanza, del contenuto di un rapporto disciplinare anche nel caso in cui esso sia viziato per omessa contestazione o non sia seguito dalla irrogazione di alcuna sanzione, in quanto per la concessione della detrazione di pena le infrazioni commesse non rilevano per le loro conseguenze sanzionatorie, ma esclusivamente come elemento sintomatico della mancata disponibilità al trattamento rieducativo).

Ove l'annullamento sia stato determinato dall'accertato difetto del criterio della proporzione tra la natura e la gravità della violazione commessa, da un lato, e l'entità della sanzione inflitta, dall'altro, (criterio stabilito dall'art. 38, comma 3, ord. penit. e che costituisce un vincolo al quale l'Amministrazione penitenziaria deve attenersi nell'esercizio del potere sanzionatorio) deve ritenersi che il Magistrato di Sorveglianza possa disporre la rimessione degli atti al Consiglio di Disciplina affinché quest'organo ridetermini la sanzione ritenuta eccessivamente severa.

Più in generale sembra possibile affermare che la possibilità per l'Amministrazione penitenziaria di rinnovare l'esercizio del potere disciplinare deve ritenersi sussistente in tutti i casi nei quali l'annullamento del provvedimento applicativo della sanzione disciplinare non sia stato determinatodalla violazione dei termini perentori all'uopo stabiliti dalle norme che regolano il procedimento o dall'accertamento che il detenuto non ha commesso il fatto o che il fatto posto in essere non costituisce un illecito disciplinare.

Nel primo caso l'inosservanza dei termini comporta la consumazione del potere disciplinare, nel secondo, assimilabile, per così dire, ad una “assoluzione nel merito”, l'ulteriore sottoposizione del detenuto al procedimento disciplinare si risolverebbe nella violazione del principio generale del ne bis in idem (quanto all'operatività di detto principio nel procedimento disciplinare cfr. Cass. pen. sez. I, 3 marzo 2021, n. 15865, E., in CED Cass. n. 281190, cit.).

Il procedimento disciplinare dovrebbe riprendere dalla fase nella quale si è verificato il vizio di legittimità accertato dal Giudice di sorveglianza: così se il provvedimento applicativo è stato annullato a causa della mancata contestazione dell'addebito, l'iter del procedimento dovrà riprendere dalla rinnovazione di tale atto; se l'annullamento è stato determinato dalla carenza, o illogicità della motivazione, l'Autorità competente a decidere dovrà riesaminare la fattispecie in modo da adottare un provvedimento congruamente motivato (che potrà a sua volta formare oggetto di reclamo ai sensi dell'art. 35-bis ord. penit.).

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