Protezione internazionale e sottrazione di minori a confronto: la CGUE sui rapporti tra i regolamenti Dublino III e Bruxelles II-bis

Paolo Bruno
18 Ottobre 2021

La questione di diritto affrontata dai giudici di Lussemburgo verte da un lato sul concetto di trasferimento o mancato rientro illeciti, come descritti nel Reg. Bruxelles II-bis ed interpretati dalla Corte di Giustizia nel contesto delle procedure di ritorno del minore illecitamente sottratto da uno dei genitori, e dall'altro sui rapporti tra detto regolamento e quello n.604/2013 (c.d. Dublino III) in materia di protezione internazionale.
Massima

La situazione in cui uno dei genitori, senza il consenso dell'altro, trasferisce il figlio dallo Stato membro di residenza abituale ad un altro Stato membro in esecuzione di una decisione di trasferimento adottata sulla base del Reg. Dublino III in materia di protezione internazionale non costituisce trasferimento illecito ai sensi del Reg. Bruxelles II-bis in materia di responsabilità genitoriale. La stessa valutazione va operata laddove il suddetto genitore abbia omesso di fare rientro nello Stato membro della precedente residenza abituale dopo l'annullamento della decisione di trasferimento, quando le autorità dello Stato membro di origine abbiano omesso di disporre la ripresa in carico delle persone trasferite o di autorizzarne il soggiorno

Il caso

La vicenda riguarda due cittadini di un Paese terzo dapprima residenti in Finlandia ed in seguito trasferitisi in Svezia, ove nasce il figlio su cui entrambi esercitano il diritto di affidamento. A seguito di violenze familiari commesse dal marito, la moglie chiede aiuto alle autorità svedesi che la prendono in carico disponendone il ricovero in una casa di accoglienza unitamente al figlio. La donna presenta domanda di asilo in Svezia, temendo di subire ritorsioni da parte della famiglia del marito in caso di rientro nello Stato terzo da cui proveniva, ma le autorità nazionali – rilevata la competenza delle autorità finlandesi in virtù di quanto stabilito dal Reg. Dublino III – da un lato rigettano la domanda di asilo e dall'altro ordinano il trasferimento della richiedente e del figlio in Finlandia (Stato nel quale la prima ha un titolo di soggiorno in corso di validità) ove entrambi effettivamente si recano. L'ordine di trasferimento disposto dalle autorità svedesi viene successivamente annullato su ricorso del padre, per vizi procedurali, ma le stesse autorità confermano che la donna ed il figlio non dispongono più di un titolo di soggiorno in Svezia. Davanti alle autorità finlandesi il padre chiede dunque l'immediato rientro del figlio in Svezia in base alla Convenzione dell'Aia del 1980 e la Corte Suprema finlandese interroga la Corte di Giustizia in merito ai rapporti tra la procedura di asilo tratteggiata nel Reg. Dublino III e quella di ritorno del minore sottratto di cui al Reg. Bruxelles II-bis.

La questione

La questione di diritto affrontata dai giudici di Lussemburgo verte da un lato sul concetto di trasferimento o mancato rientro illeciti, come descritti nel Reg. Bruxelles II-bis ed interpretati dalla Corte di Giustizia nel contesto delle procedure di ritorno del minore illecitamente sottratto da uno dei genitori, e dall'altro sui rapporti tra detto regolamento e quello n.604/2013 (c.d. Dublino III) in materia di protezione internazionale.

In particolare, a fronte di un trasferimento in altro Stato membro diverso da quello in cui il minore aveva la residenza abituale, attuato in assenza di consenso di uno dei genitori che esercita il proprio diritto di affidamento, si è posto il problema di valutare se detto trasferimento fosse da ritenersi illecito anche laddove effettuato in ottemperanza ad una decisione delle autorità competenti successivamente revocata. I giudici si sono anche interrogati sull'eventualità che il mancato rientro dopo l'annullamento della decisione di trasferimento potesse essere definito illecito alla stregua del Reg. Bruxelles II-bis laddove – nelle more della procedura – la madre ed il figlio avessero perso il titolo di soggiorno nello Stato membro di precedente residenza abituale e fossero dunque impossibilitati a rientrarvi.

Le soluzioni giuridiche

La Corte risponde al quesito posto dalla Corte Suprema finlandese qualificando innanzitutto il concetto di trasferimento illecito o di mancato ritorno, sulla base della propria consolidata giurisprudenza. Come tale, ricordano i giudici di Lussemburgo, si intende un cambio di residenza abituale effettuato da un genitore senza il consenso dell'altro genitore in violazione del suo diritto di affidamento regolarmente esercitato. In questo senso, dunque, il diritto deve esistere ma deve anche essere effettivamente goduto.

Appurato che le due condizioni ricorrevano nel caso di specie, la Corte richiama i principi alla base tanto del Reg. Bruxelles II-bis quanto della Convenzione dell'Aia del 1980 – che tra loro si compenetrano – ricordando che i due testi normativi perseguono un obiettivo comune: l'immediato rientro del minore sottratto, sul presupposto che il cambio di residenza abituale effettuato contro la volontà di un genitore affidatario sia contrario all'interesse superiore del minore.

Poste tali premesse, e constatato che nel caso di specie la madre del minore si era trasferita dalla Svezia alla Finlandia in esecuzione di una decisione adottata dalle autorità svedesi ai sensi dell'art.18 del Reg. UE n.604/2013, i giudici hanno tuttavia ritenuto che l'ottemperanza ad un ordine dell'autorità elimini alla radice il carattere illecito del trasferimento; d'altro canto, che il successivo annullamento di tale decisione (in quanto il padre non era stato sentito durante il procedimento che aveva dato luogo alla stessa) non possa far divenire illecita ex post una condotta che originariamente non lo era, e ciò anche alla luce del fatto che – risultava dagli atti – frattanto la madre ed il figlio avevano perso il diritto a risiedere in Svezia.

Osservazioni

La pronuncia in commento si pone in linea di continuità con la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'UE in materia di sottrazione internazionale di minori.

Essa, infatti, ribadisce i caratteri essenziali del trasferimento illecito, che si realizza quando viola i diritti di custodia assegnati in virtù della legge dello Stato in cui il minore aveva la sua residenza abituale prima del trasferimento, se tali diritti erano effettivamente esercitati o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate le circostanze dedotte. Tali diritti di custodia, in particolare, possono derivare dalla legge, da una decisione del giudice o di una autorità amministrativa, o da un accordo valido ai sensi della legge medesima (Cfr. al riguardo Corte di Giustizia UE, 9.10.2014, C. contro M., C-376/14).

Il dubbio che si era posto il giudice finlandese rimettente risiedeva nei rapporti tra il “sistema” composto dal Reg. Bruxelles II-bis e dalla Convenzione dell'Aia del 1980, da una parte, e la legislazione in tema di protezione internazionale, dall'altra; in particolare, se rispetto all'esigenza di immediato ritorno di un minore sottratto rilevasse o meno la perdita – nelle more della vicenda – del titolo per soggiornare nello Stato della precedente residenza abituale.

Al dubbio del giudice rimettente la Corte risponde con un rinvio all'obbligatorietà della condotta del genitore sottraente, che in quanto destinatario di una decisione di trasferimento non aveva alcuna alternativa se non ottemperarvi (anche perché, specificano i giudici in motivazione, nel corso del procedimento le autorità svedesi avevano puntualmente preso in considerazione il superiore interesse del minore prima di disporne l'invio in Finlandia ed avevano ritenuto che nulla vi ostasse, in considerazione delle condotte violente attribuite al padre).

È vero che nelle pieghe dei rapporti tra la procedura di rientro del minore sottratto e quella per l'ottenimento della protezione internazionale possono annidarsi dei tentativi di aggirare le regole di competenza che presiedono alla prima, ma è pur vero che nel caso di specie sembra che la Corte abbia correttamente valutato tutti gli elementi a sua disposizione.

Emerge infatti dal riassunto del procedimento principale che la madre aveva richiesto il rilascio di un titolo di soggiorno per sé ed il minore in Svezia, e che proprio in tale Stato la stessa aveva per la prima volta presentato domanda di asilo, per cui non poteva esserle imputato un surrettizio tentativo di precostituirsi un titolo legittimo per lasciare lo Stato di residenza abituale: ed invero, la decisione di trasferirla in Finlandia con il figlio è stata presa dalle autorità svedesi sulla base della constatata maggiore durata del titolo di soggiorno finlandese rispetto a quello svedese.

L'avvenuto annullamento di tale decisione – che era stata presa in violazione del diritto all'ascolto del padre del minore – non ha dunque reso illecito un trasferimento che era stato effettuato sulla base di un ordine fino a quel momento valido.

L'impressione è, tuttavia, che le peculiarità della vicenda abbiano impedito alla Corte di scandagliare adeguatamente i rapporti tra i due regolamenti sopra citati; i giudici rilevano infatti che oltre alla perdita sopravvenuta del titolo di soggiorno in Svezia risultava come nessuna decisione di ripresa in carico della madre e del figlio fosse stata adottata dalle autorità di quello Stato membro.

Poiché dal campo di applicazione del Reg. Bruxelles II-bis esulano “le decisioni sul diritto di asilo e nel settore dell'immigrazione” (cfr. Considerando 10) sarebbe stato interessante capire come la Corte avrebbe deciso – laddove tale decisione di ripresa in carico fosse stata adottata e dunque non vi fosse stato alcun ostacolo al rientro in Svezia – in caso di persistente rifiuto della madre per motivi attinenti alla sicurezza personale sua e del minore.